La Coppa America in Italia, speranze e storia

Di seguito un articolo realizzato per la Fondazione Raul Gardini, che sarà on line anche sul sito ufficiale. E’ on line anche sul sito del Giornale della Vela ai link

https://www.giornaledellavela.com/2018/12/01/raul-gardini-story-luomo-che-ha-reso-velisti-gli-italiani/

 

“Mi piace molto stare dentro gli elementi, nella natura. Soprattutto amo il vento e tutto quello che porta con se. Mi piace capire da dove arriva: mi serve in barca, mi serve a caccia e negli affari. Devi essere pronto a cambiare rotta quando cambia il vento”. Raul Gardini era un uomo che conosceva la natura, che aveva assimilato la magie del mare e del vento sulla costa adriatica, respirando quelle atmosfere di grande dinamica emotiva, che possono passare dalla bonaccia totale fatta di seta e nebbia all’urlo della bora o le raffiche del Garbino. “Da ragazzo per me il mare era la libertà e ho sempre avuto una spinta verso quella libertà”.

Per Raul la vela non era solo una passione quotidiana, da alimentare ogni giorno con nuovi sogni di vittorie e navigazioni, era una compagna di vita. Ha iniziato a uscire in mare come ogni ragazzo di Ravenna e dintorni per vivere ogni estate in simbiosi con la pineta, la spiaggia, i pescatori, il profumo di pesce bianco alla griglia. Le prime rande che issa sono quella dei dinghy, del Finn, la massacrante deriva olimpica che si conduce da soli.

 

La prima barca d’altura, ovvero destinata alle regate d’alto mare, di cui è armatore si chiama Naso Blu. Il nome è ispirato a quello, Bluenose, di uno degli schooner più veloci della storia, vincitore di molte regate, una delle prime barche ad essere costruita con l’obiettivo della velocità. Naso Blu di Raul è un New Optimist costruito a Bologna dai Cantieri di Crespellano appena acquisiti da Giuseppe Giuliani Ricci che poi li trasformerà in Cantieri del Pardo. Dice Giuliani: “Raul con un prestito mi consentì di rilevare il cantiere dalla liquidazione e iniziare la mia attività”.  Era un progetto di Dick Carter che derivava dal disegno vincente di Tina, vincitrice della One Ton Cup: ne ha uno simile anche Herbert von Karajan, il direttore d’orchestra velista con cui Raul resterà in amicizia per anni. E’ lungo solo 37 piedi, poco più di undici metri: una misura che per le abitudini attuali è piccola. Il primo progetto originale, cioè commissionato e costruito direttamente per lui, è quello di Orca 43, si tratta di un altro disegno di Dick Carter che diventerà presto il prototipo di una piccola serie fortunata e diffusa sulle coste adriatiche anche questa è costruita a Crespellano. Con Orca 43 Raul vince il campionato del Mediterraneo, la Middle Sea Race e le regate di Porto Cervo. La Middle Sea Race allora è un appuntamento molto importante: si corre in Mediterraneo ma è lunga quanto la Fastnet Race, regata unica e famosa dei mari inglesi. Chi conclude una regata lunga almeno 600 miglia ha diritto ad iscriversi al Rorc, Royal Ocean Racing Club, un club storico per il mondo delle regate a gran distanza dalla costa.

In questi anni Raul Gardini incontra Angelo Vianello, l’uomo che diventerà per lui molto più di un comandante delle sue barche: è veneto, marinaio, buon bevitore. Angelo in mare e a terra diventa un autentico Angelo Custode: sempre vigile e presente, ascolta vede e provvede. In quegli anni di mare vissuto insieme nasce insomma una solida amicizia che non verrà mai interrotta. Storica una battuta che Raul somministrerà ai giornalisti molti anni dopo durante la Coppa America a bordo dello splendido fisherman Todd. Il nome è quello di un altro inseparabile di Gardini: un Labrador retriever, compagno anche di caccia. Raul risponde alla domanda del giornalista Carlo Marincovich di Repubblica: perché non partecipa alle grandi regate d’altura, le traversate atlantiche? “Senta… senza pensare agli odori che si formano sottocoperta dopo poche ore, io e Angelo consumiamo circa un litro di bianco a miglio, dovremmo riempire la sentina con un peso pazzesco. Ne ha idea?”.

Dopo Naso Blu e Orca 43 per entrare nel mondo con decisione nel mondo delle grandi regate, il suo obiettivo è l’Admiral’s Cup, ci vuole di più: un prima classe che tradotto in metri è poco più di quindici. Raul Gardini chiede al fidato Dick Carter un nuovo progetto, che viene costruito a Rimini dai cantieri Carlini in legno lamellare. Il sistema di costruzione è preso a prestito dall’aeronautica e consente costruzioni leggere ma resistenti. Siamo nel 73, la barca si chiama Naif, le sue foto fanno il giro del mondo perché, per i tempi, è fortemente innovativa con le sue due ruote del timone e le sue proporzioni. E’ una barca disegnata per le condizioni dure dell’Admiral’s Cup dove partecipa e fa parte della squadra italiana con Sagittarius di Giorgio Carriero, disegnato dal giovanissimo German Frers che si rivelerà il migliore, e Mabelle di Serena Zaffagni, un altro progetto di Carter. Lo skipper è Cino Ricci, il progettista californiano è anche il timoniere di Naif, questa è una delle prime volte in cui l’Italia partecipa con una squadra ufficiale alla grande regata inglese, un tempo il grande appuntamento internazionale cui non si poteva mancare. La classifica a squadre è vinta dalla squadra tedesca, gli italiani solo noni.

Raul realizza che il mondo delle regate in tempo compensato (la classifica viene compilata utilizzando un moltiplicatore che cerca di mettere sullo stesso piano barche diverse tra loro) non gli piace molto: vuole arrivare primo sulla linea del traguardo, correre più rapido degli altri. Per farlo bisogna navigare su un maxi. Serafino Ferruzzi gli da il via libera per la costruzione di una nuova grande barca. Raul e Arturo Ferruzzi volano a New York dove il giovane German Frers, che aveva lavorato nello studio Sparkman & Stephens ed è l’astro nascente, li convince…. Così sul suo tavolo da disegno prende forma una delle più belle barche a vela da regata del 900: si chiamerà Il Moro di Venezia, sarà costruito da Carlini come Naif, sarà di legno.

In quei mesi Raul e Tilli Antonelli, uno dei ragazzi che sgobbano su Naif e che fonderà i Cantieri Navali dell’Adriatico da cui nascono i Pershing, volano con una certa eccitazione a Cowes per vedere i primi disegni del Moro. A Cowes Raul conosce anche un altro grande compagno di vela: Gabriele Rafanelli, vive lì e gestisce il miglior negozio di articoli nautici, sulla via principale dello storico villaggio capitale della vela, qualche centinaio di metri prima dell’inaccessibile tempio della vela, il Royal Yacht Squadron.

In quel tempo il serbatoio di marinai per le barche di Gardini è il Circolo Velico Ravennate, che per tutta la vita resta un rifugio casalingo per Raul e Angelo, sempre in cerca di atmosfere dell’Adriatico Selvaggio per caricare le batterie: il caffè dell’alba, l’uscita in barca con Moretto, un quinta classe Ior arrivato insieme al Moro come utilitaria per partecipare ai campionati invernali o la folk boat Idacarissima su cui escono soli per meditare e decidere. Gardini fa costruire in legno anche Rumegal, un progetto di Frers di 17 metri che vince nel 79 la Middle Sea Race ma che non lo appassiona quanto il Moro e che vende quasi subito.

Quando il Moro di Venezia arriva per la prima volta al Real Club Nautico di Palma di Majorca, abitualmente frequentato dalla famiglia reale, è la barca da guardare. La novità. Una mattina presto un signore alto ed elegante si infila a bordo senza troppi preamboli… Per lui non ci sono mai segreti, ovunque vada in Spagna è sempre casa sua. Sotto coperta il panorama non proprio è ordinato: l’equipaggio tornato dai bagordi della notte spagnola dorme seminudo, si respira atmosfera di goliardia, insomma non esattamente profumo Chanel. Angelo Vianello, che in quel caso è autentico domatore di leoni, prima impreca con i ragazzi poi si accorge di chi è il visitatore e cambia tono: la sua uscita in pozzetto è memorabile“sior Re ghe faxo un cafetin”. Juan Carlos di Borbone, che sa l’italiano e anche il veneto ride e la battuta di Angelo resterà uno degli aneddoti più raccontati della storia della vela.

Ci sono anche momenti difficili nella vita del Moro di Venezia, come la partecipazione alla tragica Fastnet Race del 1979 e Angelo ha un ruolo fondamentale nel riportare a casa il Moro in burrasca: quando si scatena il finimondo le barche grandi hanno già superato lo scoglio che da il nome alla regata e corrono già con il vento in poppa, affrontano insomma un mare meno pericoloso di quello che devono sopportare gli scafi più piccoli. Angelo resta molte ore legato al timone, è praticamente l’unico dell’equipaggio a conservare forza fisica. Il leggendario Peter Blake, che poi sarà un avversario in Coppa America, corre più che può e porta il suo Condor of Bermuda, barca da giro del mondo e tempi rudi, a battere il record e vincere in tempo reale.

Negli anni 80 Raul Gardini sperimenta le barche di un altro grande progettista californiano, Doug Peterson cui fa progettare il Moro Blu, barca con cui non entrerà mai in grande sintonia, e compra anche lo one tonner Svuzzlebubble che tiene a Marina di Ravenna per partecipare alle regate locali e rinomina Cochè.

 

Il mondo dei maxi è un mondo carico ei relazioni, intenso sotto tutti i punti di vista, dove attraverso la vela si costruiscono amicizie importanti. E’ anche per questo che Raul condivide il progetto di un nuovo Moro di Venezia con il barone Edmond de Rotshild. Il disegno è ancora di German Frers, con piccole differenze nascono Gitana (che ha il bordo libero più alto) e il Moro di Venezia II, sono costruiti di lega leggera. La barca è stupenda, ma non basta… a vincere. La scelta di realizzare un maxi leggermente più piccolo degli altri non si rivela vincente nei campionati mondiali. Raul Gardini invece vuole vincere e mette in cantiere un nuovo progetto: di nuovo German Frers, ancora costruzione di lega leggera. Il Moro di Venezia III conquista, finalmente, il mondiale maxi a San Francisco nel 1989. Il timoniere è Paul Pierre Cayard, giovane e bello, americano della California e allievo dei grandi americani, soprattutto il leggendario Tom Blackaller. La vittoria di quel mondiale è anche l’inizio di una nuova avventura: “ci siamo trovati al bar per festeggiare – racconterà Gardini – io Paul Cayard, German Frers e Angelo Vianello. Abbiamo deciso che a quel punto si poteva tentare la sfida alla Coppa America, c’era la squadra vincente”.

La grande regata, il massimo trofeo velico era in quegli anni alla fine di un ciclo, era infatti finita l’era dei 12 metri Stazza Internazionale e dopo la sfida che aveva visto in campo il grande monoscafo New Zealand contro il catamarano Stras & Stripes, poi vincitore, i potenziali partecipanti erano alla ricerca di una nuova formula di stazza che consentisse di creare barche più tecnologiche, che sarà la International America’s Cup Class. Per la costruzione degli scafi dall’alluminio di passa al carbonio e Raul Gardini ci vede una sfida nella sfida, qualcosa che è utile a cambiare l’immagine della chimica in cui si sta muovendo l’ attività del gruppo che gestisce, ma anche indirizzata al futuro. Non più chimica pesante ma innovazione tecnologica, dunque era una sfida propedeutica allo sviluppo di nuovi materiali e tecniche di costruzione che vede importanti per il futuro industriale. Gardini vede giusto ma forse con troppo anticipo: aerei, auto, arredamenti avranno presto pezzi di carbonio. La sfida è lanciata in grande stile e Raul Gardini per sconcertare gli avversari vuole alzare la posta, rendere il gioco difficile. Dichiara: “questa sfida nasce dalla conoscenza che ho per la vela e per il mare che mi ha portato ad affrontarla sia dal lato sportivo che da quello tecnologico. Con il Moro infatti vogliamo realizzare un progetto pilota nell’area dei materiali avanzati”.

German Frers e il suo studio sono al lavoro per svelare i segreti della nuova regola di stazza, decidono per costruire due barche molto diverse all’inizio e poi mettere a punto i parametri migliori per il progetto.

La costruzione delle barche avviene a Porto Marghera, dove viene allestito il modernissimo cantiere Tencara, con tutto il meglio possibile. Il varo della prima di cinque barche che serviranno al sindacato è a Venezia, non è un semplice varo tecnico ma è una grande festa che coinvolge tutta la città, la regia è di Franco Zeffirelli ci sono i grandi industriali italiani ma nessun politico.

Il Moro di Venezia, rosso e con il leone d’oro si allena prima a Venezia poi a Palma di Majorca. Cayard vuole tenere in attività l’equipaggio e partecipa vincendo al mondiale 50 piedi con Abracadabra poi alla Fastnet Race con Passage to Venice, un grande maxi.

La sede delle regate della Coppa America è San Diego in California. Il team allestisce la sua base a Shelter Island non lontano da Point Loma. Paul Cayard e il suo equipaggio si dimostrano la barca da battere in ogni occasione possibile, la loro preparazione e velocità non hanno confronti con gli avversari. Nel 1991 vincono il mondiale di classe senza difficoltà, gli avversari osservano. Per partecipare al mondiale con due barche hanno deciso di mostrare il terzo scafo, appena arrivato dall’Italia, perché purtroppo in allenamento si era rotto un albero della seconda barca. I battuti capiscono che i suoi parametri sono i migliori della flotta e chi può sviluppare nuovi progetti lo prende come base di partenza. In una pausa tra gli allenamenti e le regate Raul e Angelo sono sul tender Todd a Guerriero Negro, una laguna del Messico dove le balene grigie partoriscono e si accoppiano: è un posto magico, dove pescano e pensano alle regate che verranno. E’ il grande momento: la vela e il progetto di una chimica high tech tutta italiana sono insieme pronte alla sfida.

All’inizio della Louis Vuitton Cup, la regata di selezione degli sfidanti, si capisce che i team forti sono due: New Zealand, che si muove con l’esperienza di Peter Blake come team manager, e Il Moro di Venezia. Infatti sono loro ad arrivare alla finale sfidanti che si combatte duramente ogni giorno. I kiwi hanno una barca progettata dal neozelandese Bruce Farr con un sistema di chiglie piuttosto complesso (non c’è chiglia e timone ma due chiglie entrambe mobili) che tuttavia si dimostra rapidissima quando le condizioni del vento sono ideali. Il Moro subisce e sembra destinato a perdere la partita e la possibilità di disputare la Coppa America contro il defender americano dalle cui selezioni sta emergendo America Cubed di Bill Koch, che corre più di Stars & Stripes di Dennis Conner.

Quando la situazione sta diventando difficile Gardini decide una mossa a sorpresa: i neozelandesi stanno utilizzando una barca con bompresso e quando effettuano la manovra di strambata lo utilizzano per il punto di mura della vela di prua in maniera che la giuria della Coppa America, diversa da quella della Louis Vuitton Cup, aveva già giudicato irregolare. Il Moro ha concluso la quinta regata della finale (si corre al meglio di nove regate, bisogna arrivare a cinque punti) con la bandiera rossa di protesta, Gardini convoca una conferenza stampa dove attacca con violenza gli avversari e spiega le sue ragioni. Nella realtà il vantaggio della manovra che eseguono i kiwi si può quantificare in pochi secondi, ma l’effetto delle accuse e della successiva decisione della Giuria di penalizzare di un punto New Zealand per loro è psicologicamente devastante. I kiwi cominciano a perdere e ogni giorno il Moro diventa più sicuro e aggressivo fino a quando i neozelandesi perdono totalmente la testa e cambiano timoniere e tattico senza, ovviamente, nessun risultato positivo salvo quello di far debuttare quello che sarà l’uomo più forte della Coppa per anni: Russell Coutts. Il Moro così rimonta il suo svantaggio e vincendo la Louis Vuitton Cup diventa la prima barca italiana a disputare la Coppa America.

In campo americano le selezioni per il defender hanno portato alla ribalta Bill Koch e il suo team milionario. Ad affrontarsi saranno i due sindacati che hanno investito di più in uomini e ricerca tecnologica. Koch ha costruito cinque barche che considera rivoluzionarie disegnate da un team del MIT, ma quella scelta è la più vicina alle idee di Doug Peterson che da vero progettista nautico ha interpretato al meglio la lezione del Moro aggiungendo un ingrediente fondamentale: è più stretta. Inoltre gli americani, convinti di essere più lenti stanno rischiando molto con le appendici, timone e chiglia, e ne hanno ridotto drasticamente la loro superficie. La paura di perdere li fa rischiare, ma indovinano la mossa vincente.

Fin dal primo confronto si capisce, purtroppo, che ogni certezza e sicurezza accumulata prima delle regate è sbagliata: gli americani sono maledettamente veloci. Cayard e il Moro, dopo aver fatto scelte più conservative sicuri dei loro mezzi, si difendono come possono e vincono una delle sei regate che serviranno per definire il risultato. Il Moro resta, fino ai nostri giorni, l’unica barca italiana ad aver vinto una regata in Coppa America. Raul Gardini fa buon viso a cattiva sorte e dichiara “ce l’abbiamo messa tutta, in questa sfida c’erano tanti contenuti e sono venuti fuori quando servivano. La gente ha capito cosa volevamo fare, il Moro ha vinto nel suo sentimento”.

Il sindaco di San Diego, Maureen O’Connor è una bella signora e amministra una città di confine, che vive il desiderio dei messicani di correre verso nord a caccia di una vita senza povertà. Per l’equipaggio del Moro e tanti italiani al contrario la vita è stata correre nelle notti libere verso Tijuana e i suoi colori e sapori latini. Quel Sindaco saluta così il Moro di Venezia, creando qualche polemica in campo americano: “Voi italiani dovete essere orgogliosi di questi ragazzi che hanno rappresentato il vostro paese con stile ed eleganza e grande spirito di competizione, sono loro i veri vincenti”.

Dopo qualche mese è di nuovo Venezia ad accogliere il Moro per una festa di rientro. Il risultato è comunque stato grande, l’equipaggio acclamato, Raul Gardini felice di aver scritto un pezzo di storia della vela e del mare, alle Zattere che tra il pubblico che lo festeggia si accende l’ennesima sigaretta e detta una articolo per La Repubblica: “tornerò”.

 

Patrizio Bertelli con la consegna avvenuta a Newport durante le regate delle World Series del luglio 2012 è stato il primo italiano a entrare nel ristretto, anzi ristrettissimo club, della Hall of Fame della America’s Cup. Il riconoscimento gli è stato assegnato nel corso delle regate delle World Series di Newport, dove Luna Rossa Piranha ha vinto le regate di flotta. Si arriva alla Hall of Fame per votazione di un gruppo di saggi, e le caratteristiche richieste da chi lo concede sono un mix di buone intenzioni, di sportività, anche tecnica. Non ci sono solo gli “armatori” nella breve lista: oltre ai Vanderbilt e Bond ci sono marinai, tecnici, inventori. L’importante è aver dato qualcosa al grande trofeo, e averlo dato con lo spirito giusto. C’è in fondo un filo di moralismo americano, puritanesimo un po’ settario: ma dalla parte buona delle cose, dove lo spirito antico ha una faccia gradevole, serena e concreta. Insomma non un’etichetta dove la data è di fantasia e la grafica new old. Non è un caso che la vita della Hall sia condivisa con l’Herreshof Marine Museum ovviamente in Rhode Island, campo storico della Coppa America. La famiglia Herreshof ha segnato con i suoi progetti e le sue costruzioni le vittorie americane del ‘900. Nathaniel Herreshof è il sogno di chi comincia a disegnare barche. Patrizio Bertelli è uomo di grande passione, dietro le sue inimitabili prese di posizione c’è sempre a guidarlo un alto tasso di desiderio per la vittoria, sconosciuto a molti che si contentano di esserci, neanche partecipare. La passione per la Coppa gli è nata quando ha cominciato a navigare sui famosi sesta classe di Vasco Donnini, uomo pratico che con il taglia e cuci trasformava scavafango in fuoriserie. È uscito allo scoperto quando con Luna Rossa edizione 2000 ha vinto la Louis Vuitton Cup. Dopo quella volta, seguendo il consiglio di sir Peter Blake ci ha provato e riprovato. Caparbio e tenace. L’anno prossimo a San Francisco sarà la quarta volta con Luna Rossa, alleato di Emirates Team New Zealand e anche per questo rispettato e temuto. Nella storia solo altri due lo hanno fatto: il barone Marcel Bich con i suoi France, e l’australiano Aland Bond, unico a vincere nell’83. Più di loro il mitico Thomas Lipton, arrivato ottuagenario a cinque sfide con i suoi Shamrock.

Nel 1857 George Schuyler, uno dei soci fondatori e dei proprietari della famosa goletta America, dona la Coppa “delle Cento Ghineee” al New York Yacht Club, la accompagna un documento che si chiama Deed of Gift, atto di donazione, che stabilisce le regole per le sfide “amichevoli” tra Yacht Club e nazioni, che da li in poi saranno alla base delle regate. Purtroppo bisogna aspettare il ’70 perché finalmente si faccia avanti una barca inglese che traversa l’oceano nel tentativo di riportare la coppa nel Solent. Chi tenta la grande impresa è James Ashbury con Cambria, costruita da Ratsey, che ha già il primato di esser stata la prima barca inglese a traversare lo stretto di Suez, la grande impresa inglese che accorcia il passaggio tra Mediterraneo e Mar Rosso. Ad accogliere Cambria a New York ci sono quattordici defender tra cui la vecchia America. Magic vince la regata, il suo nome resterà nella storia e verrà usato ancora per un defender. E’ una goletta con deriva mobile di ventisette metri, adatta alle acque protette della baia, disegnata da Richard Loper e ha già qualche anno sotto la chiglia. Era nata con armo sloop e con il nome di Madgie nel 1857 ed è stato ampiamente rimaneggiata prima dell’acquisto da parte di Franklin Ogswood. America, che corre senza modifiche, è quarta, la sfidante Cambria solo decima: in quasi vent’anni gli inglesi hanno fatto pochi progressi. Si corre in tempo compensato secondo una regola adottata un anno prima nella baia di New York: in realtà Magic in tempo reale è ottavo. Il percorso si snoda nella baia per 38 miglia e traversa il traffico commerciale, per le barche in regata non è facile evitare le navi. La vita di Magic sarà molto lunga, infatti passa di mano tra diciannove armatori tra i quali anche la “Navy” americana, che la impiega come nave rifornimento nel corso della guerra del 1898 contro la Spagna. Finisce distrutta da un uragano e poi demolita con gli esplosivi davanti a Key West nel 1926.

Si chiama  America la goletta che traversa l’Atlantico per andare a sfidare le imbarcazioni inglesi: è armata da un gruppo di ricchi animati da John Cox Stevens. Sono i fondatori del New York Yacht Club: George Schuyler, Hamilton Wilkes, Beekam Finlay e James Hamilton. Il progetto è di George Steers e riprende canoni molto usati in America per la pesca e per le imbarcazioni dei piloti del porto di New York, profondamente diversi da quelli inglesi. Non si tratta di barche strette e pesanti, ma di scafi larghi e più leggeri. Una esigenza nata nei porti del Maine e New England, ricchi di bassifondi. Il 1851 è  l’anno della grande Esposizione Universale, voluta dalla regina Vittoria, che regna sull’Impero Britannico e la sfida fa parte degli eventi collaterali. Il 22 agosto si regata attorno all’Isola di Wight e gli americani (lo skipper è Dick Brown) devono incontrare quattordici avversari inglesi. Conquistano quella che allora è solo “la Coppa delle Cento Ghinee” forgiata dal gioelliere della regina Garrard e messa in palio dal Royal Yacht Squadron, lo storico club di Cowes. La prima barca inglese è Aurora di Michael Ratsey, proprietario di un importante cantiere locale, che arriva otto minuti dopo America. La leggenda vuole che un valletto della regina abbia pronunciato alla regina, per descrivere la situazione, la frase “Maestà non vi è secondo”. Parole che comunque raccontano bene il vuoto che seguiva la barca americana e l’umiliazione degli inglesi. Adesso si discute se la frase sia vera, se quel valletto sia mai esistito. Certamente è rimasta nella storia ed è sempre citata per descrivere il senso di sfida della Coppa. “There is no second” è il cuore del match racing, è l’essenza del killing instict che viene richiesto ai timonieri.