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La Auld Mug, per chi non lo sa il nome arcaico della vecchia brocca, ha sempre scritto la sua lunga storia con la grammatica dell’innovazione, è  con quella che affascina da più di un secolo e mezzo. Una volta, per scrivere le leggende del mare si correva tra le onde, adesso letteralmente si vola sull’acqua con il “foiling”:  i catamarani AC 72 si sollevano sulle derive come aliscafi, sfruttando tutta la potenza di una vela rigida alta 40 metri, una potenza che qualcuno fa somigliare, per analogia, a quella di un motore da 700 cavalli. La cifra estetica degli AC72 è la velocità e quando passano vicino si sente solo un sibilo del timone che entra in risonanza . Tanta velocità come piacerebbe a Marinetti, finora raggiunta sull’acqua solo con oggetti naviganti costruiti per i record in linea retta come Hydroptere o Vestas Sailrocket2. Cinquanta nodi a vela, quasi cento all’ora di Gianni Morandi, sono una velocità mostruosa rispetto a quelle cui siamo abituati. Per disegnare questi cat i progettisti hanno esplorato nuovi panorami del confine aria acqua, ma è un mondo nuovo destinato a durare, forse, la vita di una farfalla: una sola edizione. Ai velisti piace volare, chi vincerà la Coppa prima di cambiare e tornare ai monoscafi ci penserà a lungo, perchè sono costati ricerche che adesso sono un vantaggio sulla concorrenza. Gli Ac 72 sono veloci e difficili da portare, non si sono dimostrati molto adatti al match race, il duello all’arma bianca che invece era diventato una danza con incroci calibrati al millimetro con i vecchi monoscafi, che però non passavano i 14 nodi in condizioni normali. Da tener conto che i catamarani AC 72 sono i primi foiling a disputare vere regate a quelle velocità, tutti i progettisti sono concordi nel dire che tra un paio di generazioni le prestazioni saranno molto più vicine e dunque sarà possibile assistere a un combattimento ravvicinato. Insomma, sono una conquista tecnologica ancora acerba che non è piaciuta ai sacerdoti della tradizione. Forse il salto in avanti con il foiling è stato eccessivo, visionario: ma è un salto in avanti. Del resto è il salto in avanti, perché dei cat normali con uno scafo sollevato avrebbero, quelli si, fatto una figura modesta. Nella vela il progresso è molto lento, i marinai hanno paura di cambiare quello su cui si sentono sicuri: le caravelle che hanno scoperto l’America, velocità media circa 8 nodi, non sono tanto diverse dalle navi tonde che i romani affidavano a comandanti fenici per portare il grano (e gli obelischi) dall’Egitto a Roma. Erano più veloci i vichinghi di Erik il Rosso, arrivato a Vinland – Terranova verso l’anno mille con i leggeri drakkar , capaci di lanciarsi a 14 nodi con il vento in poppa. I vascelli, fatti per resistere alle cannonate e restituirle, di Horatio Nelson signore di Bronte nella battaglia di Trafalgar all’inizio dell’800 erano una evoluzione senza rivoluzione dei galeoni di Sir Francis Drake, il corsaro della regina, che nel 600 era arrivato guarda caso a San Francisco. C’è un legame storico tra San Francisco e la velocità: i cercatori d’oro entravano nella baia dopo navigazioni massacranti a bordo dei clipper bastonati dalle tempeste di Capo Horn. Anche quelle meravigliose navi a vela vivevano con il mito della velocità (fino a 18 nodi) e spesso, come gli AC 72, erano costruiti per il solo viaggio di andata: nessuno aveva merci o persone da riportare indietro dalla California a New York, erano le speranze di trovare pepite sulle rive di Silverado a pagare il biglietto. L’inizio della corsa all’oro in California è del 1848, anno in cui è stata forgiata la Coppa poi messa in palio nel 1851, tutto torna… Patrizio Bertelli le racconta così: “queste barche sono animalesche, viaggiano tra aria a acqua con dinamiche nuove, sono oggetti che il pubblico non riesce a riconoscere. Io all’inizio ero molto scettico, preferivo il monoscafo. Adesso credo che ci siano delle cose buone e che restando nell’ambito delle barche foiling, certamente più piccole e meno costose, potremmo anche mettere a frutto le esperienze che abbiamo fatto adesso”. La velocità è scritta sulla faccia di Grant Dalton, il comandante over fifty che guida New Zealand, vincitore anche del giro del mondo in catamarano e senza scalo, con Club Med. Quando New Zealand ha perso due uomini in mare in una ingavonata con rischio vita e qualcuno ha pensato che uno fosse lui ha detto con un ghigno “io non casco in mare”. A Matteo De Nora sta a cuore il futuro della Coppa: “Alla gente piace il monoscafo, si riconosce nella storia della navigazione. Ma dalla velocità non si torna indietro. Forse la soluzione è un monoscafo planante che arriva a 35 nodi ma che consente tutte le manovre di pre partenza che piacciono al pubblico”. De Nora centra il punto: lo sport anche quando coinvolge la tecnologia non può rinunciare al confronto tra gli uomini che lo praticano. La poetica di Team New Zealand è da sempre questa: un grande equipaggio che fa “cantare” una grande barca. Hanno incontrato un equipaggio che ha saputo maneggiare la tecnologia con scaltrezza: i kiwi hanno inventato il foiling leggendo tra le righe del regolamento, gli americani lo hanno reso stabile e sicuro con Herbie (o meglio SAS Stability Augmentation System) , una macchinetta con sensori gravitazionali studiata per il Boeing 747 una quarantina di anni fa. Ancora misterioso come abbiano applicata senza violare la regola che ogni regolazione delle derive deve essere manuale.

Per saperne di più sul SAS

http://www.ier-institute.org/2070-1918/lnit15/v15/123.pdf

http://aerostudents.com/files/automaticFlightControl/stabilityAugmentationSystems.pdf

 

La bella Coppa America di New Zealand poteva finire alla fine della bolina di regata otto e per la prima volta dall’inizio della regate i kiwi hanno vissuto una situazione davvero pericolosa, che poteva scrivere la parola fine della loro sfida. Per fortuna hanno avuto quel pizzico di fortuna che li ha aiutati ha raddrizzare, letteralmente, la situazione. Il confine tra il disastro e la sopravvivenza è stato davvero labile: i kiwi erano alla fine della bolina, la più combattuta di tutte quelle viste finora contro Oracle, e la barca neozelandese in una virata stretta si è pericolosamente alzata su uno scafo. Ha raggiunto una inclinazione di 44°, bastano due, tre gradi di più per poggiare l’ala sull’acqua, che sarebbe finita inevitabilmente distrutta. Poi con la corrente che spingeva verso l’oceano anche il recupero dello scafo ribaltato sarebbe stato molto difficile e dopo quasi impossibile pensare di proseguire le regate e vincere la Coppa. Insomma un piccolo problema idraulico, questa la versione ufficiale, che ha impedito all’equipaggio di invertire la forma dell’ala poteva essere fatale. I kiwi hanno mantenuto il sangue freddo e hanno cercato di completare la manovra: gli uomini ai grinder hanno continuato a far andare le braccia per dare potenza al sistema idraulico fino a quando la situazione è tornata sotto controllo e sono riusciti a invertire il twist. Per alcuni interminabili secondi nella baia di San Francisco sono rimasti tutti con il fiato sospeso, di più i quattro milioni trecentomila neozelandesi incollati alla televisione, nel giorno in cui il Governo per dar modo di seguire le regate ha perfino deciso di chiudere le scuole per consentire ai ragazzi di restare in famiglia. La vela è proprio uno sport nazionale dalle loro parti. Fino a quel momento New Zealand era andata forte, aveva controllato l’avversario anche se non con quell’autorità che aveva mostrato gli altri giorni. Oracle si è presentata sul campo con delle modifiche ed era sembrata più equilibrata, più vicina sia in bolina che in poppa, e anche il tattico Ben Ainslie più efficace che nel suo primo giorno. Dean Barker  aveva vinto la partenza, dimostrando che non teme le aggressioni di James Spithill. Racconta Dean Barker: “per un problema all’idraulica l’ala è rimasta nella posizione che aveva prima della virata, mancava la potenza per invertire la forma. Ci siamo salvati perché i grinder hanno continuato a fornire potenza e finalmente siamo riusciti a regolarla”. Nota di superstizione: il general manager Grant Dalton nella regata maledetta non era a bordo, come in quella persa qualche giorno fa. Grant non ha l’età per fare il grinder, anche se ha ancora un fisico preparato arriva a fine regata boccheggiante. Adesso, sembra condannato a salire sempre a bordo. Dopo il fattaccio New Zealand ha inseguito per arrivare al traguardo con un ritardo di 52 secondi: interessante notare come non siano minuti, non ostante quello che era successo. Dopo la regata il punteggio è di 6 a 0, Oracle ha finalmente colmato la penalizzazione imposta dalla Giuria Internazionale ma il bilancio è ancora negativo: deve vincere altre nove regate contro le tre che bastano a New Zealand. La seconda regata del giorno è partita con i New Zealand al comando, ma è stata interrotta perché il vento è salito oltre il limite imposto dalla Guardia Costiera. Si torna in campo oggi.

I dati

Percorso: 5 Legs/10.16 nautical miles
Elapsed Time: OTUSA – 23:09, ETNZ – 24:01 Delta: OTUSA +:52
Total distance sailed: OTUSA – 11.4 NM, ETNZ – 11.7 NM
Average Speed: OTUSA – 29.90 knots (34 mph), ETNZ – 29.32 knots (34 mph)
Top Speed: OTUSA – 44.58 knots (51 mph), ETNZ – 47.02 knots (54 mph)
Windspeed: Average – 16.6 knots, Peak – 19.6 knots
Number of Tacks/Jibes: OTUSA – 8/8, ETNZ – 9/7

La Red Bull Youth America’s Cup è forse l’iniziativa migliore di questa Coppa America:   raccoglie dieci equipaggi molto giovani per otto nazioni che regatano a bordo di AC45, che così almeno servono a qualcosa di concreto per lo sviluppo della vela e della velocità. Dopo la prima giornata in testa alla classifica con il margine di un solo punto è l’equipaggio neozelandese condotto da Pater Burling di New Zealand Sailing Team, davanti a Nex World Energy di Antoine Lauriot Prevost (un cognome che la dice lunga sui multiscafi, figlio d’arte) e ai rivali kiwi di Full Metal Jacket Racing di Will Tiller.  Il realtà dopo due regate a pari punti al terzo posto di sono tre barche con Swedish Youth Challenge, timoniere  e American Youth Sailing Force che ha vinto la prima prova.

Valori in campo molto equilibrati con le barche rimesse a posto… dopo le accurate misurazioni di stazza che hanno portato al ritiro di Oracle e Bar Racing dalle classifiche delle World Series lasciando il primato a Luna Rossa Piranha. LA Giuria dovrebbe comunicare le sue decisioni in questi giorni, dopo aver tenuto segreto ogni particolare delle udienze.

Come da programma e da previsioni Luna Rossa ha battuto Artemis nella quarta regata della finale Louis Vuitton Cup e si prepara a incontrare Emirates Team New Zealand dal 17 agosto al meglio di sette regate. E’ la terza volta in quattro sfide che Luna Rossa accede alla finale sfidanti, un bel risultato per un team in gran parte nuovo.
La quarta regata ha una storia leggermente più complessa delle altre tre, con due penalità somministrate agli svedesi, una in partenza e una per aver superato i confini del percorso, ma la sostanza è quella: Luna Rossa ha vinto con un vantaggio di due minuti e undici secondi.  La finale sfidanti era l’obiettivo di Patrizio Bertelli quando ha lanciato la sua quarta sfida e quindi si realizza. “Ho anche la soddisfazione di accedere alla finale con il budget più basso delle mie quattro sfide, nonostante queste barche complicate e il momento difficile della Coppa America”, in un momento in cui la critica di tutto il mondo a questa Coppa America è il budget eccessivo è anche una bella affermazione che fa apparire il budget più una scusa generica che una realtà: anche per altri sarebbe stato possibile partecipare, per esempio facciamo nomi Azzurra, se avesse avuto le idee più chiare e non si fosse fatta intimorire subito dai budget e dal catamarano.
Luna Rossa ha scelto di comprare il progetto neozelandese, scelta fatta a freddo sapendo che non sarebbe stato facile sviluppare la barca ulteriormente ma che sarebbe stato possibile partecipare con buone prestazioni arrivando vicini ai kiwi. Per Patrizio Bertelli d’altra parte, per la sua grande passione, era difficile restare fuori: voleva esserci, fare esperienza sui cat che forse non vuole più, ma non importa. “Credo che per avere successo di pubblico questa Coppa abbia presentato troppe novità: le barche, il percorso, e la mancanza di sfidanti – ha detto Bertelli – stanno giocando contro”.  Ma ci sono errori organizzativi di un certo rilievo, soprattutto nella gestione dello spettacolo, dei diritti televisivi. A San Franscisco hanno costruito tribune da cui non si vede quasi nulla ma si paga il biglietto e dopo l’incidente di Artemis hanno dovuto restituire i soldi. Il tentativo molto americano di vendere anche le mutande è servito poco.
Nei prossimi giorni nella base italiana si lavora a modifiche alla barca. Radio banchina dice che Luna Rossa cercherà di usare delle nuove derive che possono cambiare forma nel lato di bolina, che sarebbero in arrivo dopo esser state costruite in Italia presso il cantiere Persico, dove sono stati realizzati gli scafi. Cambiare come? Un progetto che ha l’aria dell’arma segreta che potrebbe sorprendere i neozelandesi che sono i favoriti.  Potrebbero favorire il foiling di bolina oppure al contrario ridurre il drag (la resistenza) in assenza di foiling raddrizzando il profilo della L.
Dice Bertelli: “Il nostro obiettivo era arrivare in finale e ci siamo riusciti. Credo che battere Emirates Team New Zealand sarà molto difficile, loro hanno una seconda barca e le chiavi dello sviluppo del progetto, che noi abbiamo comprato e che abbiamo faticato ad evolvere”. Ma chissà, adesso è il momento di sperare nel botto conclusivo, nel grande slam con un ritrovato tecnologico, del resto tutti dicono che le “piattaforme” contano meno dei “fin” ovvero del sistema di timoni e derive.
Gli svedesi chiudono con dignità dopo il dramma che li ha travolti. L’armatore di Artemis, Torbjon Tornqvjist,  ha affermato: “tornerò un’altra volta, aspettiamo che finisca questa edizione e che venga definito il formato della prossima edizione, ma il desiderio resta. Sono arrivato in un mondo nuovo che ancora non conosco per intero, però mi affascina”. La campagna di Artemis è costata circa il doppio di quella di Luna Rossa e hanno partecipato a quattro regate, significa circa venti milioni di euro a regata persa. Tanta roba… Qual è l’errore commesso? Il progetto è nato male, e l’inseguimento degli avversari hanno pesato più dell’incidente mortale che certamente è costato tempo. Come ricorda lo skipper italiano Max Sirena: “abbiamo battuto un team che è andato in acqua un anno e mezzo prima di noi e che ha potuto fare un lungo sviluppo tecnologico della barca. Ora faremo il massimo per farci trovare pronti contro Team New Zealand, in questa terza finale della Vuitton Cup per Luna Rossa.”

 

 

 

 

 

 

I critici incalzano: questa Coppa America non sarà interessante, costa troppo, non c’è match race, non è il nostro sport antico. Ma è davvero così? Se si prova a spostare il fuoco della prospettiva per andare caccia di contenuti in realtà se ne trovano di forti: tecnologia, tecnica, novità. E’ una regata che ha sempre scritto la sua storia con la grammatica dell’innovazione. La goletta America non era un catamarano ma andava il doppio delle barche inglesi. I sontuosi J Class che con le loro linee ci ricordano decadenza e nostalgia erano in realtà i “mostri” del loro tempo, gli anni ’30. Barche qualche volta costruite con materiali destinati a durare poco, alcuni armati e progettati con l’aiuto di industrie aeronautiche, proprio come succede adesso per i catamarani della classe AC 72 voluti per portare spettacolo e rivoluzione in un mondo dove forse per inseguire il pubblico, bastava mettere a punto le riprese televisive e soprattutto farle davvero. Una delle giustificazioni (conferenza stampa di Roma, c’era ancora Mascalzone Latino nella parte del Challenger of Record) che hanno portato alla scelta dei cat c’era la televisione, ma adesso in pratica non sarà prodotta nelle fasi iniziali.  Fiducia nella macchina, fiducia nella velocità, fiducia nel rischio e non della capacità di comunicare degli atleti e degli uomini: sono alcuni di quelli che potrebbero essere errori di prospettiva, indossando gli occhiali dello sport olimpico, che hanno portato verso questa che si è dimostrata essere una dimensione rischiosa anche se affascinante. L’estetica non compresa di questa Coppa è la velocità, marinettiana e definitiva. Negli anni trenta l’aviatore sir Thomas Octave Murdoch Sopwith, da sfidante di Harold Vanderbilt, per gli Endeavour aveva voluto i suoi ingegneri: dalle sue fabbriche erano usciti i Sopwith Camel cari a Snoopy che sui cieli d’Europa incontravano il Fokker del Barone Rosso. Dunque poco si inventa, tanto si applica, anche perché tutto quello che si muove in acqua somiglia tanto a quello che vola in cielo. E gli AC 72 volano sull’acqua con le loro vele rigide e le derive da aliscafo. Ala che già il magico Dennis Conner aveva usato per umiliare i neozelandesi nell’88 con il suo Stars & Stripes. Al bar adesso si parla in aeronautico: drag, fin, foil, wing, wetted surface, CFD computational fluid dynamics. Se dopo Azzurra e il Moro erano tutti professori in tattica dopo questa Luna Rossa saranno tutti ingegneri. Per vincere bisognerà star lontani dall’ avversario ed essere più veloci. Del resto siamo nel terzo millennio e la Coppa America è come un ago della bussola: si orienta dove va il mondo. Purtroppo si è già capito che questi catamarani sono troppo potenti, voluti così grandi per non esser più piccoli di barche di altre regate importanti alla fine sono attrezzi isterici: formidabili prestazioni, formidabili rischi. Come in Formula Uno? Si, no, quasi: passato il tempo in cui salirci era sinonimo di vivere a tomba aperta le auto hanno raggiunto un grado di sicurezza notevole perché se ne conoscono le reazioni. Lo stesso carbonio con cui sono costruite le barche serve per realizzare una cellula di sicurezza dove il pilota è protetto. Questa strada di questa tecnica è sicuramente impervia, criticabile, soprattutto perchè sul piano emotivo una morte, oltre tutto così mal gestita, pesa e peserà ancora molto. Qualcosa però di questo nuovo mondo resterà. I kiwi hanno imparato la lezione: hanno costruito una barca che non gli piaceva, per vincere e cambiare le regole. Anche la poesia di un equipaggio condotto da un uomo di sport vero come Grant Dalton (che la sua velocità non sia casuale?), che ricordiamo agli smemorati ha vinto un giro del mondo in catamarano con un prosciutto nascosto nell’albero da Stefano Rizzi. Dalton, manager a terra e grinder in volo,  è un simbolo di come si possono ottenere i risultati, di come si costruisce una squadra vincente soldi o non soldi. La vittoria, come la mediocrità, sono un metodo di vita, un driver che cala in ogni squadra, un carattere. Per i kiwi, comunque vada a finire, vincere è una professione che si pratica con una grammatica di eventi e desideri che sono molto lontani dalla vela come la conosciamo in occidente, tutta aperitivi e mondanità. Certo esistono anche quelle cose li, ma non sono la sostanza. Comunque vada ci ricorderemo di questa Coppa, cercheremo di capire quanto Oracle abbia aiutato Artemis dentro e fuori dalla sala Giuria, così come Luna Rossa non sia veloce quanto New Zealand. Ma un ricordo forte sui libri ci sarà. E questa è Coppa America.

E’ andata meglio la seconda regata di Luna Rossa contro i “mostri” di Emirates Team New Zealand, meglio nel senso che il distacco finale di 2 minuti e 20 secondi segna un progresso rispetto alla prima regata, chiusa con oltre cinque minuti di ritardo. Meglio la partenza, con Luna Rossa avanti di mezza lunghezza sugli avversari, e meglio la velocità complessiva. Tuttavia…. I neozelandesi hanno corso con la loro Aotearoa, questo il nome della barca, come se niente fosse quasi tutta la regata con la sola ala, dopo aver rotto il fiocco nella prima bolina ed averlo abbandonato in mare dopo aver capito che non era possibile rimetterlo a posto a bordo. Che su queste barche il piccolo fiocco, con vento deciso, serva solo a fare le manovre (soprattutto per spostare la prua) e che non contribuisca granché alla propulsione era noto però loro hanno corso come se niente fosse, applicando tutte le loro solite bravure e tecniche di regata, compresa la strambata restando in sospensione sulle derive. Ancora una volta i neozelandesi guidati a terra da Grant Dalton e in mare da Dean Barker, hanno dato una bella lezione di vela a tutti, trasformando quello che poteva essere un disastro in una giornata normale. Freddi a bordo, composti, hanno aspettato che Adam Beashel tentasse di ammainare la vela, poi strappata dal vento, controllando Luna Rossa che non ha potuto profittare dell’occasione. Con il punto fatto nella seconda regata vera, con un avversario sul campo, hanno anche praticamente conquistato la qualifica alla fase finale della Louis Vuitton Cup, significa (ma probabilmente non lo faranno, anche se esiste il concreto rischio di rompere qualcosa) che potrebbero presentarsi sul campo di regata dopo la metà di agosto per incontrare il vincitore tra Luna Rossa e Artemis, che in questi giorni dovrebbe finalmente mettere in acqua la seconda barca. Mentre Artemis insiste nel voler usare i timoni adesso proibiti che gli assicurano d navigare meglio e Sirena glielo nega dicendo “non è un pezzo di ricambio che manca, loro i timoni giusti li hanno e non li vogliono usare” si discute una protesta un po’ ridicola contro Luna Rossa: ha disertato (era il tempo i cui si aspettava la discussione di una più sostanziale faccenda riguardo il regolamento, che poi ha dato ragione a Luna Rossa) la festa inaugurale di Louis Vuitton, mandando solo una piccola rappresentanza e non tutto l’equipaggio. Luna Rossa contro protesta lamentandosi per un manifesto dove compare riconoscibile ma senza scritte Prada, cancellate in Photoshop. Max Sirena, sintetizza così la giornata: “Il fatto che oggi Emirates Team New Zealand non abbia perso molta velocità nonostante navigasse senza fiocco non ci ha stupito. Avevamo già sperimentato in precedenza quanto sia l’ala a determinare la velocità effettiva degli AC72. Di bolina il fiocco aiuta nelle virate e, in alcune condizioni, a stringere qualche grado di più, ma costituisce anche un attrito. Questa settimana siamo riusciti a ridurre il distacco con i neozelandesi lavorando non solo su alcuni aspetti tecnici ma anche sulla gestione dell’imbarcazione e delle manovre. Abbiamo iniziato questa campagna di Coppa America con più di anno di ritardo rispetto agli altri team e stiamo utilizzando i Round Robin per mettere a punto l’assetto a bordo e gli aspetti progettuali in vista delle semi-finali della Louis Vuitton Cup. Siamo sulla buona strada ma dobbiamo ancora progredire sia nella tecnica che nelle manovre.”

La Coppa dopo la vittoriosa difesa di America Cubed contro il Moro di Venezia è rimasta a San Diego.  Gli americani però sono deboli, nessun dream team con fondi consistenti come nel ’92. Ci sono però le selezioni dei defender cui partecipano Stars & Stripes di Dennis Conner, Young America che sfoggia tecnologia e una barca decorata dall’artista Roy Lichtenstein. Bill Koch schiera Mighty Mary, con equipaggio femminile e America Cubed decisamente più lenta. Gli americani si perdono tra giochi politici e vittorie in acqua e alla fine il defender è uno strano miscuglio di intenzioni. Dennis Conner, che ha scelto per timoniere Paul Cayard, vince con Stars & Stripes ma riconosce che la sua barca è lenta (ha vinto con l’esperienza e un equipaggio fortissimo) e chiede di usare Young America, del sindacato allestito dal vecchio amico John Marshall. Probabilmente è più veloce Mighty Mary, ma con Bill Koch tra proteste varie hanno litigato troppo e una eventuale vittoria con la sua barca non sarebbe opportuna. Conner commette un errore fondamentale: rifiuta di farsi “insegnare” come funziona Young America e pretende di cambiare le regolazioni e la messa a punto solo per averla osservata dall’esterno, proabilmente non avrebbe vinto ma forse qualche cosa di più poteva dire.
La vera battaglia nella fase preliminare, come spesso accade, è però stata nella spettacolare Louis Vuitton Cup, dove i soliti protagonisti hanno dato grande spettacolo.  Lo sfidante è Team New Zealand, che arriva all’ incontro dopo aver perso una sola regata in tutta la serie per una piccola avaria. Quello dei kiwi è uno squadrone: sir Michael Fay dopo aver animato alcune sfide determinanti ha ceduto tutto il materiale a Peter Blake, recente vincitore del giro del mondo. Peter fa leva sullo spirito di team e sceglie per timoniere Russell Coutts, un maniaco della match race assieme al tattico Brad Butterworth e alcuni ragazzi che da tempo regatano con loro. Alcuni uomini lavorano insieme dall’87 (anno del dodici metri di vetroresina) e hanno accumulato una bella esperienza. I progettisti sono Doug Peterson e Laurie Davidson, c’è anche Tom Schnackenberg che alterna il lavoro di navigatore a quello di coordinatore delle vele. Blake dopo l’esperienza con Bruce Farr (autore e sostenitore del bompresso e della twin keel nel 92) ha deciso di ridurre drasticamente il potere dei progettisti e costruire un nuovo dialogo con l’equipaggio che vuole soprattutto affidabilità. Tutta la barca è costruita attorno al piano velico molto magro ed è strettissima. Si tratta di una “two boat campaign” nel vero senso della parola, i due scafi sono praticamente identici e progrediscono uno per volta per poter valutare a fondo l’effetto delle modifiche.  Tra gli sfidanti c’è il grande ritorno di John Bertrand (lo skipper vincitore dell’83) con Australia One che conquista un singolare primato: lo scafo si spezza al centro e affonda in pochi secondi diventando l’unica barca della storia della Coppa ad essere affondata in regata. Una esperienza simile toccherà nel 2000 a Young America, ma l’equipaggio riuscirà a riportare la barca in porto. La barca persa poteva essere l’unica a dare qualche pensiero ai kiwi, mentre quella che resta, la prima varata, non è all’altezza. Gli altri sono più lontani: c’è ancora Nippon con John Cutler e Peter Gilmour, c’è Tag Heur disegno di Farr con Chris Dickson e alcuni vecchi leoni: è un programma low budget ma in alcune condizioni e con la cattiveria di Chris è davvero pericolosa, Farr escluso da New Zealand sa comunque il fatto suo e si esprime con uno scafo tradizionale molto rapido.  Pedro Campos si presenta con Rioja de España, ci sono Sydney ’95 del grande appassionato ma non molto generoso Syd Fischer e France con una sontuosa campagna, che rimane fuori dalle semifinali sfidanti, allestita da Marc Pajot che finirà sulla graticola per i soldi spesi e i modesti risultati ottenuti.
Nelle regate della Coppa New Zealand umilia ogni giorno gli americani infliggendogli distacchi di oltre due minuti,  così la Coppa vola a Auckland. Mitica la conferenza stampa dei vincitori, decisamente alticci: “terremo la Coppa cento anni”. Una dichiarazione un po’ esagerata…