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Non tutto il popolo dei velisti conosce Matteo de Nora, un italiano di nascita con molti passaporti, la passione della vela e soprattutto della Nuova Zelanda  e della Coppa America.  Matteo ha iniziato a sostenere Team New Zealand dopo l’America’s Cup del 2000, fondando il “Mates Group of Supporters” e da allora non ha mai smesso di voler bene a Grant Dalton e ai suoi ragazzi. Sono state gioie e dolori, come la separazione da Dean Barker, per cui era un grande amico, dopo la sconfitta di San Francisco. Ma può essere considerato un vero salvataggio.  Negli anni il suo coinvolgimento, anche economico, è cresciuto e ha sostenuto il team nella partecipazione alla Volvo Ocean Race del 2011-12 e nelle edizioni della America’s Cup 34 e 35.
Con il suo supporto e collaborazione il team ha riconquistato la Coppa nel 2017 con le regate delle Bermuda e la ha difesa con successo nella edizione del 2021 a Auckland.
Nel 2011 il Governo neozelandese gli ha assegnato per il suo supporto alle campagne per l’America’s Cup della Nuova Zelanda e la ricerca medica neurologica il grado di Companion dell’Ordine del Merito della Nuova Zelanda.

Lo yacht design è il cuore del mercato della nautica e lei ha lavorato molto con i designer per le sue barche e per l’America’s Cup. Qual è la situazione attuale?
Il numero di barche a motore rispetto a quelle a vela è in aumento, ed è un peccato. Le imbarcazioni diventano sempre più grandi e il legame con il mare si attenua. Le grandi barche stanno sostituendo le case per chi vuole vivere vicino al mare, anche se a bordo il mare si sente sempre meno. L’industria dovrebbe concentrarsi sulla riduzione dell’impronta di carbonio e costruire imbarcazioni che non si affidino così tanto all’elettronica e alla tecnologia. Quando sono in mezzo all’oceano, mi sento più sicuro su una barca a vela.

Pensa che vedremo imbarcazioni da diporto foiling?
Sì. A lungo termine, il foiling arriverà sulle imbarcazioni da diporto. Qualsiasi cosa riduca il consumo di energia lo farà. Per quanto riguarda la velocità e le dimensioni, invece, ci scontreremo con un muro. Il limite sarà la realtà. Ho visto le foto di una nuova barca di 30 metri, che non è propriamente foiling ma può comunque sollevarsi dall’acqua per ridurre la resistenza. È un primo passo e questo fa la differenza.

Parliamo di transizione energetica e di idrogeno.
Se la domanda è: “L’idrogeno sostituirà l’energia elettrica nel lungo periodo?”. La mia risposta è sì, ma al momento non è economicamente praticabile. La differenza di prezzo non sarà colmata rapidamente perché il costo dell’energia generato con idrogeno è molte volte superiore alla tradizionale e per distribuirla e produrla occorre un’infrastruttura. Per prima cosa la tecnologia deve dimostrarsi valida, cosa che forse accadrà presto, e poi deve diventare commercialmente redditizia.

Sono d’accordo
I problemi sono immensi ma l’innovazione va sempre più veloce. L’intelligenza artificiale farà un’enorme differenza, non necessariamente nella qualità dell’innovazione ma nella sua velocità. La usiamo nel Team New Zealand, anche altri team la utilizzano. Tutti stanno cercando di implementarla.

Lei è un velista appassionato. Qual è la scintilla della sua passione?
La vela era l’unico modo per vedere e raggiungere certi luoghi con un’altra prospettiva. Se si viaggia con i megayacht, non sempre è possibile visitare i luoghi a cui mi riferisco. Per esempio, non si poteva navigare il Rio delle Amazzoni. Trent’anni fa si potevano visitare luoghi come le Galapagos, in America Centrale, o le isole Tuamotu nel Pacifico solo con una barca a vela. La mia passione non è stare in mezzo all’oceano con onde enormi e venti gelidi, ma la vela è il modo migliore per circumnavigare il globo.

Parliamo della Coppa America. Cosa ci dice della scelta di Barcellona per la 37ª edizione?
L’America’s Cup a Barcellona è un grande risultato. Grant Dalton dedica molto tempo all’evento. Sarà un evento importante per Barcellona, il primo dopo le Olimpiadi del 1992. La Generalitat, il Consiglio esecutivo della Catalogna e il Comune hanno accettato con entusiasmo questo progetto così grande. Soprattutto, hanno capito che questi eventi accelerano la crescita della città e lo sviluppo delle infrastrutture. Stanno facendo una quantità incredibile di lavoro. L’avrebbero fatto comunque, ma grazie all’America’s Cup, l’hanno fatto prima e a un costo inferiore a causa dell’attuale inflazione.

In che modo la Coppa aiuterà la città?
In media, un turista si ferma da uno a due giorni, se arriva o parte con una nave da crociera si ferma per 4 ore. Un tifoso dell’America’s Cup invece resterà in città da sette a dieci giorni. In un hotel ora ti chiedono: “siete qui per l’America’s Cup?”. Questo cambio è piuttosto impressionante, ed è uno dei motivi per cui l’evento si svolgerà alla fine di agosto. Perché non c’è bisogno di riempire gli hotel in agosto, luglio o giugno, ma di prolungare la stagione. Avevamo ricevuto offerte da altre città; vorrei citare Malaga, Jeddah e Cork. Barcellona però è al centro dell’Europa e può ospitare eventi con i J Class, i Maxi, i 12 metri S.I. e altro ancora.

Louis Vuitton torna alla Coppa, forse è utile anche per riportare un’atmosfera per certi versi mai dimenticata. Cosa ne pensa?
Sì, sicuramente. Louis Vuitton resta sinonimo di America’s Cup e riporterà molto più di un’atmosfera. È un partner che, come ha dimostrato in 40 anni di storia, oltre al prestigio, sa come garantire la crescita dell’evento attraverso una collaborazione positiva e costruttiva.

Cosa vi aspettate dall’AC40?
Tra quelli formati dalle donne e dai giovani, ci saranno 24 squadre provenienti da 12 Paesi, comprese le sei che partecipano alla Coppa. L’equipaggio deve essere composto atleti che hanno la nazionalità di bandiera. Credo che alcune di queste squadre non sarebbero venute se non avessimo spostato la sede in Spagna. Barcellona si è rivelata ancora una volta un’ottima scelta. Più grandi sono i numeri, più pesanti sono le responsabilità, poiché le infrastrutture, il numero di persone, la durata dell’evento e gli obblighi logistici aumentano in proporzione.

E gli sfidanti? Gli piace il Barcellona?
Penso che i team siano soddisfatti di Barcellona. Mi sarebbe piaciuta anche Malaga, perché è una città più piccola, e Cork perché è una bellissimo campo di regata e si parla inglese e sarebbe stato più facile per le squadre comunicare.

È ancora vero che vincerà la barca più veloce?
In un certo senso questo è sempre stato vero. Con il foiling siamo passati però a un altro livello, che continuo a scoprire ogni giorno. Una volta raggiunta una certa velocità, intorno ai 50 nodi, il comportamento del foil lancia sfide diverse: la cavitazione infatti apre le porte a problemi completamente diversi. Quindi l’obiettivo non è quello di raggiungere la velocità più alta in assoluto, ma di mantenere la velocità media più elevata per tutta la regata.

Il gioco dell’America’s Cup sta cambiando nelle acque di Barcellona?
Facciamo un paragone con le corse automobilistiche: se si guida su un circuito molto accidentato, si devono avere un diverso assetto delle sospensioni, un set di pneumatici particolare, ecc. A Barcellona, le imbarcazioni navigheranno nel in prevalenza mosso. Di conseguenza dobbiamo adattare la forma e le dimensioni dello scafo e del foil a queste condizioni.  Progettisti e ingegneri ci dicono che è necessario un approccio diverso rispetto ad Auckland, dove si navigava principalmente in acque piatte.

Parliamo sempre di tecnologia e a volte dimentichiamo degli uomini che conducono le barche.
Il ruolo dei velisti non è meno importante di prima. E, a queste velocità, ogni piccolo errore è molto più costoso rispetto a dieci anni fa. È interessante: la tecnologia aumenta, ma anche le capacità dei velisti devono migliorare. Adesso cinque secondi per prendere una decisione possono essere troppi. Non si può guardare solo 20 metri davanti a sé, ma 200 metri più avanti. La vela in Coppa America è cambiata molto dopo l’edizione a Bermuda. Questi sono ormai aeroplani sull’acqua.

Uno dei punti di forza di ETNZ è la presenza di un cantiere navale.
Un aspetto positivo di Team New Zealand è che siamo l’unico team ad avere il proprio cantiere navale. Durante il Covid, avevamo portato delle roulotte in cantiere per far dormire lo shore team.  Siamo stati in grado di esprimere molte ore di lavoro anche ogni volta che siamo rimasti chiusi in lockdown, cosa che sarebbe stata difficile per un cantiere commerciale. Avere un cantiere proprio significa essere più veloci: si possono fare errori ma anche correggerli. Non bisogna aspettare che un fornitore metta a posto le cose e così si possono stabilire delle priorità.

Cosa racconta di Grant Dalton?
Il team che vince l’America’s Cup deve gestire l’evento, decidere le regole, ecc. Credo che Grant faccia probabilmente il lavoro di 20 persone anche perché tutti vogliono avere a che fare direttamente con lui. Per quanto riguarda il team, il suo punto di forza è saper identificare i punti deboli, concentrarsi su di essi e migliorare. È interessante notare che alcuni dei migliori team manager di Coppa America di tutti i tempi (Blake, Coutts, Dalton) sono neozelandesi. Si conoscono tutti fin dalla scuola, dove la maggior parte dei ragazzi impara a navigare. Anche perché nessuna località della Nuova Zelanda dista più di 100 km dalla costa.

Con il ritorno della Coppa in Europa, come ci si può evolvere senza applicare formule del passato?
Si può continuare ad andare avanti senza trasformare l’evento in uno spettacolo come sta facendo la Formula Uno. Ci sono diversi modi per farlo. Ad Auckland abbiamo introdotto un livello di copertura completamente nuovo, grazie alla qualità delle trasmissioni televisive. Volevamo che i commentatori spiegassero al pubblico cosa stava accadendo e perché. Le TV libere da diritti hanno reso felici i tifosi e gli sponsor. Abbiamo introdotto regola di nazionalità piuttosto rigida e ricordato che la vela non è uno sport d’élite. La Nuova Zelanda e l’Italia sono i Paesi che seguono di più l’America’s Cup, ma stiamo lavorando per ampliare il pubblico.

Ha una squadra preferita?
Team New Zealand è forte, ma ricordo anche che nella storia dell’evento nessuna squadra ha mai vinto tre volte di fila. Oggi, NYYC American Magic sembra molto in forma e molto concentrato. Tom Slingsby è estremamente forte. Terry Hutchinson ha il talento e l’esperienza per organizzare la squadra e gestire la campagna. Direi che gli americani sono i favoriti tra gli sfidanti.

 

 

 

Quanto vale la Coppa America in termini di comunicazione e media? E’ la domanda cui bisogna saper rispondere quando si cerca sponsor per questa titanica impresa. Negli anni passati il vero valore della Coppa è stato mascherato dalle opinioni di chi voleva o non voleva partecipare. In generale chi non conosce questo sport, e non vuole assumersi i rischi che qualsiasi sponsorizzazione di un partecipante (che a differenza di una manifestazione può vincere e moltiplicare i risultati oppure perdere e non apparire quanto si desidera) vuole/vorrebbe dati certi, promesse. Si attiva così un percorso vizioso, non virtuoso, dove ci si contenta del poco ottenuto con il marketing e le pubbliche relazioni piuttosto che dell’impresa vincente che resta un territorio dove si inoltra chi è appassionato e di conseguenza ci crede fermamente. Una malattia che la vela conosce bene: una miriade di regate con contenuti tecnici modesti che diventano grandi eventi e che hanno fatto pensare al mondo che la vela è tanta mondanità e poco sport. Per questo, in generale, la Coppa America non è una avventura per manager che devono rispondere delle loro decisioni, e lo è per tycoon che talvolta sono riusciti a ottenere per le loro aziende e per se stessi risultati formidabili. Uno per tutti Thomas Lipton.

Il caso più eclatante in Italia, che poi ha pesato sul mondo della Coppa in maniera importante negli anni successivi, è quello del Moro di Venezia: l’impresa di Raul Gardini è stata totalmente disconosciuta dai manager di Montedison che hanno nascosto e addirittura alterato i dati raccolti sul “successo” mediatico del Moro. A quel tempo le rassegne stampa erano ancora cartacee, era l’era del fax e non delle mail. Le avventure della barca italiana avevano riempito giornali, televisioni, ma dopo non hanno risparmiato al Moro e alla vela anche una buona dose di autentica diffamazione. Certo, c’è stata una contaminazione del messaggio con tangenti, giudici, intrighi politici che andavano ben oltre l’evento sportivo, dove ci vogliamo fermare per guardare in “valore assoluto” e senza altra missione l’evento con l’occhio degli sponsor e dello sport.
La bella storia di Luna Rossa ha ristabilito in gran parte, e ci è voluto tempo, un rapporto più realistico tra sponsor ed evento, confermando (almeno indirettamente) che la passione del patron (come in ogni squadra che si rispetti, dal calcio alla F!) può sposarsi con successo con interessi di marketing. Come diceva Alan Bond, ritratto nella foto in bianco e nero e vincitore della Coppa America nell 83 con Australia II: “chi pensa che si possa fare la Coppa America senza risvolti economici è un pazzo”.
Per farci guidare in questo territorio incognito abbiamo interrogato Cesare Valli, che è un riferimento nel mondo della comunicazione, per Hill+Knowlton Strategies è stato Chairman e Ceo South Europe e Italy. Ha lavorato per la prima Azzurra, poi per il Moro di Venezia, ha sempre osservato la Coppa America e la vela come occasioni importanti di comunicazione. Questa intervista è stata realizzata nel 2013, prima delle regate di San Francisco quarta sfida di Luna Rossa. Il contenuto è del tutto attuale.

Quale è il valore della Coppa America per uno sponsor?
“Sono convinto sia uno dei grandi eventi, come lo sono i Mondiali di Calcio, le Olimpiadi. E’ un grande evento di risonanza mondiale buono per global players ed è un palcoscenico per gente dal conto economico importante. Gli eventi sportivi di alto livello sono sempre luoghi di incontro per i grandi businessman: si racconta che la prima volta che Berlusconi è riuscito a parlare al telefono con l’avvocato Agnelli è stato quando ha comprato il Milan e potrei citare molti altri casi. Vero o no che sia l’aneddoto il significato e’ chiaro. Per le aziende ci sono sempre ritorni economici importanti, non ho nessun dubbio, naturalmente se le cose sono fatte come si deve perché ci vuole la capacità di supportare la campagna con politiche di comunicazione adeguate”.

Lei ha partecipato alla prima sfida di Azzurra, cosa voleva dire parlare di Coppa America trenta anni fa?
“A quel tempo lavoravo per Foote Cone & Belding, e tra i nostri clienti c’era Cinzano, una delle aziende che l’avvocato Agnelli aveva chiamato attorno alla sfida in consorzio assieme a Iveco, Barilla ed altri. Ci siamo subito resi conto che tra i compiti che dovevamo affrontare c’era quello di una azione di informazione: spiegare ai giornalisti e dunque al pubblico cosa era la Coppa America. Poi abbiamo avuto anche un po’ di fortuna, perché nessuno a dire il vero si aspettava di finire in semifinale e questo ci dette un vantaggio clamoroso. A ogni vittoria potevamo percepire gli effetti positivi. Per Cinzano si trattava, tra le altre cose, di cancellare dalla memoria collettiva la parola “vermouth” con la sua immagine polverosa e cambiare il posizionamento del prodotto dopo che Martini era riuscito a collocarsi più in alto. Con la Coppa abbiamo riposizionano non solo il prodotto “vermouth” come aperitivo, ma anche tutta la linea di spumanti. E Cinzano dopo la Coppa è stata venduta bene, una analogia con Serono di Ernesto Bertarelli: l’effetto di una certa visibilità che ti porta ad avere contatti di rilievo e attrarre investitori”.

Ha poi lavorato per il Moro di Venezia.
“Il Moro ha avuto un ritorno ancor più clamoroso, io ho sempre pensato che Raul Gardini avesse un obiettivo preciso: era un grande visionario anche se spesso consigliato male e solo. Ricordo bene quando nel giardino di Ca’ Dario ci diceva “io ho i materiali”, adesso sappiamo meglio cosa è il mercato dei materiali evoluti, del carbonio, che si è largamente diffuso. Ogni volta che tornavamo da lui aveva comprato un paio di aziende. E poi aveva anche una visione dell’Italia e delle sue coste come polo turistico. Insomma, aveva un disegno industriale e commerciale preciso. I risultati in termini di comunicazione del Moro sono stati decisamente elevati, noi abbiamo quantificato una resa con un moltiplicatore di 8/10 volte l’investimento. Il Moro ha conquistato la prima pagina della Gazzetta, dove di solito si arrivava e si arriva solo con il calcio”.

Siamo alla quarta campagna di Luna Rossa, cosa ne pensa?
“Se Azzurra era il battesimo, il Moro è stata la grande sfida. Luna Rossa è la tecnica, l’attenzione al lavoro sistematico e preciso. Anche per lei accedere alle finali e alla Coppa è stato un momento di grande successo. Prada propone un prodotto particolare, che non può scendere sotto un certo livello di banalizzazione e per loro non erano molto interessanti i mercati europei quanto quelli internazionali degli Stati Uniti e del Far East. Patrizio Bertelli ha avuto una intuizione fenomenale a quotare a Hong Kong con un risultato grandioso e li può aver lavorato positivamente un certo effetto Coppa America”.

Italia, Mascalzone Latino, +39?
“Non avevano il fisico, mi spiace”

Cosa manca alla Coppa America?
“Intanto personaggi visibili e campionabili. Poi gli uomini di marketing che potrebbero sfruttare meglio le opportunità legate a questo grandioso evento conoscono poco la vela. Manca una buona Tv, perché si potrebbe fare molto meglio: il linguaggio con cui si raccontano le cose è importante. Bisogna saper spiegare gli aspetti tecnici e le regole. Ma alla gente la Coppa piace. Chissà se prima o poi avremo la Coppa da noi!”.

E’ un terremoto annunciato quello che si è prodotto ieri in Coppa America: Grant Dalton, CEO di Team New Zealand ha portato a termine il suo disegno di portarla fuori dalla Nuova Zelanda e ha annunciato che la prossima edizione sarà in settembre e ottobre 2024 a Barcellona. Lo ha fatto assieme al sindaco della città Ada Colau e al capo del Governo della Catalunya  Pere Aragonés. Per i puristi conservatori  è un colpo basso alla leggenda, per gli innovatori un passo avanti verso un pubblico più consistente e internazionale.  Dopo Valencia 2007, edizione memorabile, per questa seconda volta in Spagna  erano Cork in Irlanda, Malaga, Valencia, la stessa Auckland ma soprattutto Jeddah in Arabia Saudita dove i kiwi erano in delegazione lunedì prima della decisione finale. Chi  sarà lo sponsor della selezione sfidanti?  Tornerà la Prada Cup? Bertelli ha un diritto di prelazione da esercitare entro 90 giorni. Le alternative potrebbero essere uno storico ritorno di Louis Vuitton, o l’arrivo di Ineos che sostiene il Challenger of Record Britannia. Di sicuro torna Luna Rossa, con soddisfazione per il campo di regata europeo.  Torna anche Alinghi Red Bull con un team stellare.

Con qualche giorno di anticipo sulla data promessa, il 31 marzo, il Defender della Coppa America, Royal New Zealand Yacht Squadron e il Challenger of Record Circolo della Vela Sicilia (ovvero Luna Rossa) hanno presentato il regolamento che sarà alla base della costruzione delle nuove barche AC 75 per il match della edizione numero 36, campo di regata Auckland nell’estate australe del 2021. Il regolamento rispetta quanto scritto finora, ovvero monoscafo foiling di 75 piedi (22 metri circa). Sarà una barca complessa: per alzarsi sull’acqua è previsto un sistema di pinne e zavorre mobili. In pratica durante la navigazione la pinna sottovento resta in acqua esprimendo il sostentamento necessario al sollevamento, mentre quella sopravento sarà zavorra, il contrappeso necessario per contrastare la forza della vela. La vela principale è una specie di ala non rigida, una vela che un artificio di stecche e strutture renderà “spessa” e non una semplice superficie. Non tutti sono felici di questa scelta compromesso che nasconde da una parte la voglia di essere riconoscibili al grande pubblico, che considera la barca monoscafo, e dall’altra il desiderio dei progettisti vincitori di mantenere il vantaggio conquistato nelle ricerche fatte per vincere a Bermuda lo scroso giugno.  Sono in molti a dire che una volta deciso di abbandonare i catamarani dell’ultima edizione un ritorno più radicale alla tradizione, con un grande monoscafo solo planante non foiling ma comunque spettacolare e maneggevole,  avrebbe giovato all’evento. La barca avrà alcune parti comuni tra i diversi team: il sistema di movimento delle pinne/zavorra, il profilo dell’albero, il rigging ovvero l’attrezzatura dell’albero.  Ci saranno limiti di costruzione per molti componenti , per ridurre i budget complessivi. Si sa bene che la Coppa può diventare facilmente un pozzo di San Patrizio, chi ha soldi cerca in ogni modo di convertirli in velocità. Il nostro Patrizio, ovvero Bertelli alla sua sesta sfida al massimo trofeo velico, ha preso di petto la vicenda: con Prada sarà sponsor di un team con ambizioni di vittoria, ma anche lo sponsor delle regate di selezione degli sfidanti. Quella per intenderci che era la Louis Vuitton Cup e che hanno vinto sia Luna Rossa sia il Moro di Venezia. Il consiglio di amministrazione della maison ha deciso di finanziare il team con 65 milioni di euro: non è chiaro, solo molto probabile, se sarà anche il budget del team o se ci saranno altre iniezioni di denaro con altri sponsor. Luna Rossa si è assicurata il diritto dovere di essere il COR, cioè il Challenger of Record, primo degli sfidanti e responsabile dei rapporto con il defender e gli altri sfidanti. La piccola organizzazione per il momento conta super esperti di Coppa America: Laurent Esquier, Matteo Plazzi (che va ricordato vincitore a bordo di Oracle nel 2010), Alessandra Pandarese e Jennifer Hall. Il team italiano sarà condotto da Max Sirena con Francesco Checco Bruni e l’americano James Spithill che è stato assunto poche settimane fa. Base operativa Cagliari. Ci sono altri sfidanti? Pochi per il momento, i più dotati di denaro, sulla carta più di Luna Rossa, sono il team America Magic con Terry Hutchinson per il  New York Yacht Club e Land Rover Bar di sir Ben Ainslie per il  Royal Yacht Squadron. Budget oltre i 100 milioni di euro. In Italia è noto il desiderio di partecipare di Adelasia di Torres, sindacato di base sarda e con probabili denari medio orientali. Un sindacato australiano non è ufficializzato, così anche uno cinese e un altro italiano. Alla finestra per il momento restano Alinghi il cui patron Ernesto Bertarelli ama i catamarani e Artemis, due volte partecipante e ora in difficoltà di budget e per rispettare le regole sulla nazionalità. Probabilmente parteciperanno a un circuito parallelo organizzato con i “vecchi” cat trasformati in monotipo da Russell Coutts, con potenziale sponsor Louis Vuitton, che avrà il sapore della regata degli esclusi, una prova di forza cui la Coppa ci ha abituato: il lettore non si agiti, tanto vince sempre la vecchia Coppa questi confronti. Si, uno dei più forti vincoli della prossima Coppa saranno le regole per la nazionalità di residenza e provenienza dell’equipaggio. In pratica è richiesto un numero di giorni che impedirebbe all’equipaggio svedese di allenarsi per un tempo congruo in mare cosa impossibile per il lungo congelamento del mare e comunque la temperatura rigida. Per il sindacato svizzero il limite potrebbe essere simile. Insomma una regola che una volta comunicata qualche mese fa aveva suscitato critiche per essere troppo leggera sta diventando invece un limite alla partecipazione. Non solo il 20% dell’equipaggio deve avere la cittadinanza ma la gran parte degli stranieri devono comunque avere un periodo di residenza e presenza piuttosto lungo. La speranza adesso è di arrivare a  cinque, sei sfidanti: non gli otto dieci che si sperava.  Sarà una bella Coppa America, soprattutto perché Bertelli ha imposto una visione popolare della distribuzione dei diritti Tv, delle immagini e di quanto fa social. Questa,  tra tutte, sarà probabilmente la novità più determinante per la conquista del pubblico che ancora non c’è.

Sono una vecchia signora che ha oltre un secolo e mezzo di vita: devo ammettere che è stata una vita burrascosa, piena di avventure di ogni genere. Il primo a prendermi a martellate è stato un esperto gioielliere operaio di Garrard & Co nel 1848, doveva sistemare alcune cose imperfette della mia fusione. Dopo, purtroppo, lo hanno fatto tanti altri, ma ne sono uscita quasi sempre bene, più in forma di prima, più lucida e desiderata. Nel 1851 sono stata donata dal marchese Henry William Paget per essere il premio della regata che ogni anno si corre attorno all’isola di Wight. Da allora mi hanno chiamato in tanti modi: un po’ volgarmente Coppa delle Cento Ghinee, poi America’s Cup, a qualcuno piace chiamarmi Auld Mug termine confidenziale di cui quasi tutti sbagliano lo spelling.

Per qualche giornalista sono stata anche il vaso di Pandora, e di questi tempi non ha tutti i torti. Mi hanno davvero desiderato in tanti, soprattutto i ricchissimi della terra con la passione della vela, ma ho fatto divertire anche tanti giovani e solidi velisti (i miei preferiti…) e mi sembra di continuare a farlo.

Diciamoci la verità: per me si strappano i capelli ancora in tanti, di tutte le età e di tutti i portafogli. La mia età, la mia leggenda, mi hanno fatto diventare un simbolo: non solo dello sport di cui resto il trofeo più antico che ancora si disputa, ma anche di quel magico intreccio che lega sport, nazioni, economia, tecnologia. A mio modo sono un patrimonio dell’umanità, non solo la proprietà dell’ultimo vincitore che mi tiene nella sua bacheca per quanto gli riesce. Per anni tecnologia è stata la parola magica e necessaria per vincere e partecipare, perché la mia natura è sempre dare una spinta inesauribile verso il futuro: sono vecchia, ma sono come un ago della bussola che indica la direzione che prenderà il mondo.

Vi dico che… adesso faccio un po’ fatica a farlo. A San Francisco (per fortuna) sono riuscita a metterci del mio nello spettacolo, come riesco sempre a fare. Ma mi sento un po’ stanca e vorrei trovare maggior collaborazione di tutti. Anche questa volta il defender Oracle è stato molto tiranno e ha stancato il Challenger of Record fino a farlo ritirare: il secondo in due edizioni, dopo Mascalzone Latino, converrete tutti è troppo. E poi quella Corte Suprema sempre necessaria per mettere ordine tra chi non sa essere sportivo. I cinque challenger della prossima volta mi sembrano pochi: Luna Rossa, Artemis, Team France, New Zeaand e Ben Ainslie Team. Insomma, vorrei qualcosa di più, più nazioni, più team, più spettacolo. Sbaglio? Certo direte, pochi ma buoni, ma sembra un po’ un alibi.

Si discute tanto sul mio argento su quale regno sia stato migliore o peggiore tra quello di Ernesto Bertarelli o l’attuale di Russell Coutts/Larry Ellison (chi decide davvero?). A me sono piaciuti tutti e due, per motivi diversi sono stati dei grandi protagonisti. Però devo confessare che, se ripenso alle grandi edizioni dell’Australia o di San Diego dove alla mia forza si mescolava un’atmosfera ancora leggera dove il fair play aveva il suo spazio, io mi sento un poco più povera, e potete capire che per una regina non è certo degno.  Se proprio devo dirla tutta mi manca anche quel cattivone di Dennis Conner: sapeva dar spettacolo, vincere, perdere, insultare, essere eccessivo in tutto, ma lo ha fatto senza tradirmi.

Forse bisognerebbe rileggere bene il Deed of Gift capirne il suo spirito, che è ben definito e parla di sfida amichevole tra nazioni. Invece in nome dello sport moderno, un sistema prigioniero del marketing che sta divorando se stesso, mi vogliono far cambiare natura e obiettivi (mi viene l’ossidazione se penso ai monotipi) e si sono accaniti sulla mia formula tanti sedicenti espertoni, tanti sportivi che sanno vincere ma non amministrare, persone che hanno lavorato senza tener conto che è proprio nella mia leggenda, nei miei valori nascosti la mia forza e hanno pensato che dovevo somigliare a un qualsiasi circuito di Formula Uno. Io sono diversa e più nobile: non faccio rumore, non faccio clamore. Penso come faceva la Regina Vittoria prima spettatrice della grande regata vinta dalla goletta di cui porto il nome: “never explain, never complain”. Però a questo punto una cosa devo dirla: cari Defender e Challengers questa volta pensateci bene, perché se andate avanti così prima o poi il pubblico si sarà stancato di me. E allora, non potrete più vendere nulla di quel che poco che resta del sogno.

La quinta sfida alla Coppa America di Patrizio Bertelli e di conseguenza di Prada è quasi lanciata: mancano alcuni aspetti formali ma quello che conta è che la base allestita a Cagliari sta già lavorando a tutta forza agli ordini dello skipper Max Sirena per produrre velocità e allenare campioni. Oggi la notizia è stata diffusa urbi et orbi con un comunicato interattivo, qualche video senza sonoro e comunicati stampa. La domanda da porre ai lettori e in assoluta amicizia a Max Sirena è: bisogna parlare di chi non vuole si parli di lui? Ovviamente interpretando questo come un desiderio riservatezza e non una volontà cui si è costretti per altri motivi, base non pronta, Protocollo difficile. In questa scelta forse ci sono risvolti semiologici e forse anche un modo di intendere la comunicazione nuovo. Si, nuovo e da comprendere e indagare. Mentre tutto è frenetico, il capo del Governo e il Papa twittano e questo sembra l’unico modo di vivere sui nostri eroi scende la saracinesca del riservo. Un vecchio detto, tra giornalisti dice “con Luna Rossa si sbaglia sempre”, perché comunque vada quello che scrivi, dici, fai, è sempre preso da un punto di vista che non ti aspettavi. Volevi essere un sostegno e ti trovi dalla parte dei cattivi. Ma come diceva Chiambretti: comunque vada sarà un successo. Insomma W Luna Rossa. Sembra che questa volta, finalmente per lui e anche per noi, il timoniere titolare sarà il bravo palermitano Francesco “Checco” Bruni, anche se gli sono affiancati altri nomi come Chris Draper e il neozelandese Adam Minoprio. Oltre al team che ha fatto esperienza a San Francisco ci saranno alcuni vincitori a bordo di Oracle, l’italiano Gilberto “Gillo” Nobili, l’italo caraibico Shannon Falcone, l’americano Simeon Tienpont. In totale i nuovi arrivi sono una quindicina, presi come si fa sempre da tutti i sindacati che hanno partecipato per entrare in possesso delle esperienze buone e cattive. Dallo sconfitto team neozelandese che sta vivendo un momentaccio il progettista principale Marcelino Botin, spagnolo di una ricca famiglia che lo ha sempre lasciato giocare con le barche. Ma nel design team ci sono altri nomi importanti, citiamo Mario Caponetto (vincitore due volte con Oracle) e Michael Richelsen, un tipo che ha messo le mani in quasi tutti i codici per la progettazione di vele. Questa volta si tratta di progettare un catamarano foiling (che si solleva sull’acqua) lungo poco meno di diciannove metri della nuova classe AC 62, un solo scafo per sfidante mentre il defender ne avrà due sebbene dello stesso progetto. Ma questo è comunque un vantaggio determinante in termini di sicurezza (possono tirare di più sapendo che hanno comunque una barca di riserva, possono fare esperimenti mentre gli altri sono impegnati in regata). Purtroppo i cattivoni di Oracle, Russell Coutts e Larry Ellison con il Challenger of Record Bob Otley e Iain Murray (primo sfidante) hanno scritto un Protocollo con regole piuttosto ingiuste e difficili da digerire, che in alcuni casi hanno dovuto subito ritrattare o meglio “chiarire” come quella della Giuria autonoma e non ISAF che pone seri problemi agli atleti. La Auld Mug, come sempre, andrà avanti tra mugugni, prese di posizione, aggiustamenti. E anche fortuna: se i grandi sconfitti neozelandesi non avessero “inventato” il foiling le regate di San Francisco sarebbero state noiose, per non parlare dello storico comeback di Oracle che ci ha fatto versare fiumi di inchiostro. Pare che anche Patrizio Bertelli abbia sparato qualche bordata delle sue ad alzo zero contro il Protocollo, ma alla fine la sua anima combattiva e toscana non si spaventa delle regole ingiuste: questa è la sua quinta sfida ed è già finanziata da Prada con una cifra di 55 milioni di euro, destinati a crescere perché il budget medio per ambizioni di vittoria si stabilizzerà verso gli 80 milioni, almeno facendo arrivare l’investimento complessivo in quasi vent’anni di partecipazione vicino ai 300 milioni di euro. Nella storia secolare ha fatto come lui solo sir Thomas Johnstone Lipton con i suoi Shamrock, un altro fortissimo self made man, eterno sconfitto in acqua ma assolutamente vincente nella vita. I nostri eroi prima di arrivare a sfidare il defender Oracle questa volta gestito da James Spithill (su Luna Rossa nel 2007) dovranno vedersela con i già citati australiani eredi degli storici vincitori dell’83, con gli svedesi di Artemis condotti dall’inglese Iain Percy. Mentre i neozelandesi di Grant Dalton faticano a mettere insieme il budget il più pericoloso sarà sir Ben Ainslie che ha lanciato un dream team che si aggiunge alle sue cinque medaglie olimpiche e vuole a tutti i costi riportare la Coppa dove è stata forgiata. Attenti, questa diventerà una impresa nazionale, come uno sbarco in Normandia del terzo millennio: sir Keith Mills, l’uomo che ha portato le Olimpiadi a Londra, è lì con loro sorridente nelle foto, pronto a dare il suo contributo con le connessioni nella city. Altre notizie? La Coppa è prevista nel 2017, sede più probabile San Diego perché San Francisco ha detto no, prima ci saranno regate di preparazione.

Il Protocollo è arrivato, con ampio ritardo sulla data promessa, ma soprattutto con ampie concessioni dal defender che sono state l’oggetto del grande ritardo nella sua presentazione. Il Challenger of Record ha ottenuto davvero poco per gli sfidanti in cambio delle pretese di Oracle. Iain Murray sulla stampa australiana ha parlato di cambiamento epocale in positivo. Ma a parole siamo bravi tutti…. i fatti pur non avendo letto nel dettaglio le tante pagine  sono diversi e lo scenario appare peggiore di quello dell’era Alinghi, dove il catenaccio imposto dal defender cominciava a essere forte e talvolta sgradevole.  Le barche saranno spettacolari, gli AC 62 possono essere uno strumento moderno per le regate, il foiling non è male. Ma il futuro degli eventi sportivi non è solo tecnologia, lo spettacolo passa attraverso rapporti con il pubblico più raffinati di qualche chilo di carbonio. Dove è il messaggio sportivo? Questo sarà sport “olimpico” o “kermesse”? Iain Murray e Russell Coutts potrebbero aver firmato l’ultimo atto della Coppa America, che come sappiamo non morirà (la Auld Mug ce la fa sempre) ma che finirà per vivere di se stessa, mondo autoreferenziale. Altro che concorrenza ai mondiali di calcio, alle Olimpiadi, al Tour de France, mancano i requisiti minimi di trasparenza. Certo, stanno diventando carrozzoni infernali anche quelli, gestiti da burosauri impomatati. Ma ci sono lezioni da imparare.
Di fronte a una “legge” qualsiasi ci si pone la domanda: “dove ci vuole portare chi l’ha scritta”? Regolamenti edilizi, regole di stazza, norme ambientali producono sempre modificazioni agli oggetti, al’ambiente. Dunque in altre parole, dove mira questo Protocollo? Che sia una intenzione esplicita (gli americani non ostante i loro studi di marketing sono talvolta di una ingenuità raggelante) o no, i challenger sono probabilmente destinati a restare cinque, che ben conosciamo, se non a scendere per abbandono. Le date di iscrizione sono molto vicine, il fee e il deposito sono abbondanti e solo chi è già al lavoro adesso ha già le risorse e la sicurezza interiore per iscriversi a un evento dove parte subito penalizzato.
Si sa che la Coppa America è fatta per caratteri forti, che chi vince scrive le regole. Però… la promessa sportiva era diversa, il depliant presentato da Ellison durante una combattuta conferenza stampa dell’estate 2007 era ben diverso, si parlava di valori sportivi, perfino “democratici”. Quasi quasi bisognerebbe avere la forza di dire: non ci sto. E infatti il New Zealand Herald già scrive a Dalton e compagni di defilarsi all’inglese senza rivincita. C’è una barca libera per partecipare alla Volvo Race, roba da uomini forti, i rumors dicono che Knut Frostad pur di avere sette partenti la vende con grande sconto. Una opzione per i kiwi, ma anche per Luna Rossa.
Ma come si fa a tirarsi indietro? Il Protocollo è certamente il risultato si una lunga azione di mediazione. Mancano le sedi di regata e senza quelle è più complesso progettare e finanziare. Chi vorrà mettere sul piatto 2 milioni di dollari per l’iscrizione per aspettare nuove regole che forse verranno? Forse solo un ricco emiro, nessuno sponsor che si muove secondo strategie e previsioni di contatto. Oltre all’unico sfidante sicuro australiano Bob Otley (Challenger of Record con l’Hamilton Island YC) chi ha già manifestato l’intenzione di esserci sono la nostra eroica Luna Rossa con Patrizio Bertelli alla quinta sfida e Max Sirena alla sesta campagna, gli svedesi di Artemis con Iain Percy in cabina regia, il baronetto Ben Ainlie con un sindacato che sventolerà l’union jack, un vincente nello sport con le sue cinque medaglie luccicanti e la sua azione risolutiva su Oracle nello storico come back e infine lo sconfitto Team New Zealand, incerto nella raccolta fondi, nella scelta dello skipper e ora nel supporto nazionale. Come prima impressione (e con tutto il desiderio di essere smentiti) non c’è posto per il ventilato secondo sindacato italiano, per quello di lingua araba, per i russi, per i cinesi, non c’è posto per altri defender che l’America avrebbe potuto produrre come ha sempre fatto. La edizione numero 35 non potrà superare in concorrenti quelle di Perth, San Diego, Auckland, Valencia. La cosa positiva è che i sindacati che hanno promesso la partecipazione sono di qualità, pochi ma buoni direbbe la nonna.
I vantaggi grandi per Oracle sono almeno tre. Intanto, non era mai successo non ostante i tentativi di farlo in passato, corre assieme ai challenger una regata non solo dimostrativa, come erano le world series con barche vecchie o con gli AC 45, che darà un punto importante nel match. Sulla carta l’idea non è male anche perché, per come stanno le cose, si trova a conquistare questo punto contro tutti gli sfidanti, però gli sfidanti lo “pagano” lasciandogli la possibilità di analizzare in regata le prestazioni dei loro AC 62, fatto che può diventare determinante per il risultato finale. Il defender può costruire due scafi (o meglio quattro che fanno due barche) ma dallo stesso progetto: la two boat campaign è fondamentale per costruire velocità, la stessa operazione dei kiwi nel 95, procedendo a modifiche graduali di cui verificare l’efficacia in acqua. Gli sfidanti lavoreranno con un solo scafo e mentre saranno impegnati in una località che non è quella dell’evento finale rischiando rotture il defender ne terrà uno ben custodito nella sua base. Infine la Giuria indipendente, non “imposta” dall’Isaf ma scelta tra avvocati sportivi. Dopo i due punti di penalità (che potevano essere una squalifica) per il taroccamento degli AC 45 è evidente che gli americani vogliono avere la possibilità di manovrare meglio queste decisioni. Ma quel che ci interessa di più è: cosa farà questa Coppa per diventare un grande evento? A San Francisco grande produzione televisiva per nessuna diffusione, bello spettacolo per un pubblico molto ridotto complici una serie di errori di prospettiva nella cessione dei diritti Tv, che in realtà non valgono quasi nulla, e la speranza che come succedeva decenni addietro la stampa si buttasse sull’osso con voracità. Purtroppo la crisi mondiale del mondo editoriale, il cambio dei gusti del pubblico, i costi ingenti di produzione e trasferta a fronte di risultati dubbi sono un freno che si può sbloccare solo investendo denaro vero per assicurarsi audience. Operazioni di marketing aggressive forse, ma che gli altri sport hanno praticato senza presunzione ammettendo che di Formula Uno ce n’è una sola. Dopo San Francisco insomma speriamo non sia una seconda edizione del “non comunicare” o perlomeno farlo con vecchie strategie contando sulla sicurezza femminile “sono ben truccata si accorgeranno di me”, pensando che sia il pubblico a muoversi senza essere perlomeno invogliato, senza una strategia di conquista, nessuno si accorgerà nel 2017 della Coppa America, perché le tecnologie a disposizione non sono l’unica chiave del successo.