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A trentasette anni è già baronetto infatti succede che a Sua Maestà non sfuggano gli eroi nazionali anche dello sport (da noi li bocciano a scuola) oppure della musica, come capitato ai Beatles. Rivolgendogli la parola bisogna usare quel suffisso “sir”, che fa tanto signore imbalsamato, chiuso in un cappotto fumo di Londra di lana pesante.
Sir Ben Ainslie è il velista che ha sperato ogni altro nel medagliere olimpico: cinque medaglie in cinque edizioni, con quattro ori consecutivi. Poi ha vinto la Coppa America da eroe, infatti è stato indicato come l’uomo che ha cambiato le prestazioni di Oracle, rendendo possibile la grande rimonta. Quasi vero. Ma Ben, soprattutto, è da guardare per come ha costruito la sua carriera per vincere sicuro e in questo modo: ha sempre scelto la strada più difficile per essere e diventare campione. Poteva essere tattico su New Zealand ma ha scelto di timonare la barca lepre “perché io voglio timonare”, prima aveva lasciato il sindacato di One World, perché lo distraeva dalla carriera olimpica e il timoniere era James Spithill. Come dargli torto… visti i risultati. Adesso è considerato l’uomo che più di ogni altro può battere lo squadrone americano e riportare la Coppa a casa nel Solent. Sogni che forse JP Morgan, suo sponsor da tempo, e la vecchia Inghilterra possono rendere possibili, perché gli eredi della regina Vittoria sembrano finalmente riuniti attorno al più grande velista, quello che ha superato i record di Grael, Scheidt, Elvstrom, Schumann.  Sta raccogliendo un budget di 100 milioni di dollari,  e può contare sul supporto sir Keith Mills (che lo aveva voluto su Team Origin) e Charles Dunstone. Singolista ha costruito la sua carriera sul Finn nella fortissima squadra inglese dove è cresciuto insieme a Iain Percy e a Andrew “Bart” Simpson, l’amico perso nel corso dell’incidente di Artemis dopo il quale ha dubitato di continuare ad andare in barca.
Ben quale è la differenza intima e personale tra vincere le Olimpiadi e la Coppa America?
“L’ Olimpiade è una questione personale, sei in singolo e sei tutta la squadra… sei tu a controllare il tuo destino, non dipendi da nessuno. Nella Coppa America c’è il piacere di far parte di un team che diventa una grande squadra.  A San Francisco per la prima volta ho vinto facendo parte di un team che si è rivelato eccezionale. E’ stato molto potente, mi sono divertito molto. Dopo cinque medaglie considero la mia carriera olimpica conclusa, non tornerò dopo quello che ho già fatto, le soddisfazioni sono molte ma è anche molto faticoso, assorbe tutta la tua vita”.
Cosa bisogna fare per migliorare il seguito della vela olimpica e di conseguenza la popolarità della vela?
“Il problema delle classi olimpiche è che tra una Olimpiade e l’altra non se ne parla abbastanza. Il Cio ha fatto bene a dire che le classi non cambieranno per due tre edizioni, ma questo non basta, bisogna creare un circuito che riempia il vuoto tra le diverse edizioni”.
Come bisogna disegnare il futuro della Coppa?
“Il concept della manifestazione ha dimostrato di essere valido e di grande successo, lo spettacolo c’era. Ci possiamo dire fortunati di come è andata non tanto perche abbiamo vinto noi di Oracle, ma perchè e piaciuto al pubblico, un fatto che non era scontato. Tra le cose positive c’è senz’altro la copertura televisiva, le immagini prodotte sono state molto belle. Adesso penso si dovrebbero semplificare le barche e ridurre i budget, forse con elementi one design che possono renderle meno pericolose e più facili da disegnare per ridurre i costi. Ci vuole un circuito di avvicinamento che conti davvero qualcosa in termini di classifica”.
Sappiamo che la vittoria di Oracle è stata una miscela di miglioramenti e scelte, ma se dovesse indicare uno solo, quale sarebbe?
“La nostra mossa migliore è stata di mettere a punto l’ala usando al meglio il giorno di riposo. Questo ci ha fatto cambiare radicalmente le prestazioni, ed è stato decisivo. Abbiamo aumentato il rake e dato più profondità alla vela, queste modifiche ci hanno dato grande potenza e di conseguenza ci ha reso più sicuri delle prestazioni della barca, questo ci ha fatto navigare meglio”.
Però in molti dicono che la mossa decisiva è stato l’arrivo a bordo di un certo Ben Ainslie.
“In realtà sono un po’ imbarazzato quando dicono così. Spesso, quando le cose vanno decisamente meglio si pensa che sia il risultato dell’arrivo  a bordo di un campione. Ma il nostro è stato il risultato di un team, la Coppa è assolutamente uno sport di squadra, fatto di tante componenti. Ho avuto un ruolo nel team e nella vittoria, non lo nego, ho portato nuovo ottimismo, una visione mia della regata. Devo anche riconoscere la piena collaborazione di John Kostecki, che mi ha messo a disposizione tutti i dati che non conoscevo a fondo e quella che ho avuto da Tom Slingsby a bordo”.
Un errore di Emirates Team New Zealand?
“I kiwi hanno fatto una grande campagna, sviluppando bene gli ac 72, inventando il foiling e facendo per primi tante altre cose. Non riesco a definire un errore decisivo… al contrario Oracle ne ha fatti molti. Noi siamo sempre stati capaci con un impegno continuo di sviluppare la barca ogni giorno, senza fermarci fino alla fine. La nostra era una barca più difficile da portare e quando siamo riusciti imparare come si faceva ha dimostrato la sua superiorità. Alla fine questa è stata la vera differenza”.
I suoi programmi a breve?
“Tutta la mia vita velica è passata in monoscafo, solo da un paio d’anni mi dedico a multiscafi ed è una nuova sfida. E’ tutto molto più veloce, corto. E’ vela d’impatto. Sto lavroando da tempo per riportare un team inglese in Coppa. Con Jp Morgan partecipiamo al circuito degli Extreme 40 perché era la soluzione migliore per iniziare gli allenamenti con l’equipaggio che vorrei portare in Coppa America. Quest’anno non ci saranno eventi con gli AC 45, non è esattamente la stessa cosa ma molto simile. Vogliamo anche portare avanti la campagna di ricerca sponsor. Gli Extreme sono un buon modo per essere in regata con quel brand, quel nome, per costruire il sailing team”.
Insomma dopo tanti anni di assenza dalla Coppa un team inglese sembra finalmente possibile.
“Ci lavoriamo duramente da anni e finalmente sembra un evento vicino. Adesso aspettiamo che ci siano le nuove regole per arrivare a definire il team nei dettagli. Vorrei vedere JP Morgan come title sponsor, abbiamo una bella partnership. Il Challenger of Record Bob Oatley sta negoziando con Oracle, ma Iain Murray che lo rappresenta è molto aperto nel raccontare le trattative che sono in corso e ci tiene informati, è molto positivo, ma c’è ancora un percorso da completare prima di arrivare al protocollo. Per vedere una bella Coppa direi che ci vorrebbero almeno sei sfidanti, forse possiamo arrivare a otto”
Sogni nel cassetto?
“Di sicuro vorrei riportare la Coppa al suo posto nel Regno Unito, è nata qui e vorrei vedere i cat che fanno il giro dell’isola di Wight con i foil: quanto possono metterci? Un’ora? Poi forse il giro del mondo. Io amo la vela e mi piace stare sull’acqua. Vorrei anche andare a vela per il solo piacere di navigare, come un turista qualsiasi, questa è una cosa che ho fatto davvero poco”.

  

 

 

Le anticipazioni di dicembre sono confermate: la quinta sfida di Patrizio Bertelli alla Coppa America avrà base a Cagliari, la data prevista per il prossimo evento è l’estate 2017 quasi certamente di nuovo a San Francisco, probabilmente con catamarano di 60 piedi, diciotto metri invece di ventuno come erano gli AC 72, ma con caratteristiche simili di velocità, ovvero “foiling” e con “wing”. Traduciamo: voleranno sull’acqua come aliscafi spinti da vele rigide. Sulle regole si discute molto, sono anticipazioni di radio banchina. Al momento ci sono quattro sfidanti sicuri: il Challenger of Record è Robert Oatley, recente vincitore della Sydney Hobart con Wild Oats, attraverso l’Hamilton Island Yacht Club, isoletta della barriera corallina che è tutta sua, nel suo team indicano Iain Murray e James Spithill. Poi, oltre ai nostri eroi, ci sono i kiwi di Team New Zealand che hanno ricevuto un aiuto dal governo per mettere sotto contratto i bravi che potevano essere assunti da altri (Luna Rossa per prima), dopo la sonora, anzi drammatica sconfitta, il team si sta ricostruendo attorno a Matteo de Nora, Grand Dalton e Dean Barker ma e ha assunto il giovane timoniere Peter Burling, vincitore della Red Bull Youth America’s Cup. Torna Artemis con skipper l’inglese Iain Percy. Da citare gli sforzi di sir Ben Ainslie per allestire un sindacato inglese con JP Morgan per sponsor iniziale per riportare la Coppa a casa, sull’isola di Wight: attenzione, Ben se non si perde è il prossimo uomo Coppa, il velista assoluto che ha fatto vincere Oracle e adesso vuol far da solo con la sua bandiera. Chi avrà Ben nel team sarà a metà dell’opera. Torniamo a Cagliari, come dice il patron della barca italiana: “Abbiamo scelto Cagliari perché le condizioni meteo di questo golfo sono ideali per gli allenamenti con i catamarani. La città di Cagliari, inoltre, offre un’ottima situazione logistica e ci ha riservato un’accoglienza particolarmente calorosa. Siamo molto contenti che, dopo diversi anni all’estero, la base del team sia nuovamente in Italia”. L’ultima volta, prima di approdare a San Francisco e per via della collaborazione con il team neozelandese, il team agli ordini di Max Sirena è stato a Auckland Nuova Zelanda, andare laggiù piace a tutti, atmosfera e servizi ideali per i velisti e anche per le famiglie che da una parte spediscono i figli nelle scuole inglesi dall’altra hanno vissuto in una grande città di mare dove vince l’ambiente. Cagliari era da tempo nel mirino di Bertelli e Max Sirena che aveva già condotto sulla costa sarda allenamenti segreti (in realtà se ne sono accorti tutti subito) per provare i famoso foiling (quel modo di navigare per cui gli scafi si sollevano sull’acqua), la scelta era stata annunciata fin dalle regate di San Francisco. Adesso però sono completati gli accordi con le autorità locali. Il porto di Cagliari è infatti oggetto di una ampia ristrutturazione dopo alcuni errori progettuali degli anni passati culminati, per esempio, nel prevedere un terminal crociere dove non c’era un fondale sufficiente alle grandi navi. A Cagliari infatti oltre alla base di Luna Rossa, che sarà abbastanza vicino al centro, sorgeranno un porto per grandi barche private, un nuovo terminal crociere (di cui è azionista il Terminal Crociere di Venezia) un nuovo polo commerciale e una grande zona cantieristica sia per il diporto sia per il commerciale. Insomma, Luna Rossa entra a far parte di un progetto di rinnovo del rapporto della città sarda con il mare che dovrebbe far forza attraverso la sua centralità nel Mediterraneo. Come afferma il Commissario dell’Autorità Portuale, Piergiorgio Massidda: “L’annuncio di Patrizio Bertelli di scegliere Cagliari come base per il team di Luna Rossa ci onora e ci ripaga per quanto fatto negli ultimi anni per migliorare le condizioni della nostra città e renderla punto di riferimento per la vela internazionale. Si tratta di un’occasione unica non solo per la città, ma per tutto il territorio che otterrà un ritorno di immagine senza precedenti a livello internazionale”. Nei prossimi mesi la base verrà resa operativa con la costruzione fisica: a Valencia era intervenuto Renzo Piano inventando una base con le pareti fatte con le vele vecchie, si fa per dire alcune erano nuove e mai usate superate in disegno e tecnologia, qui potrebbe esserci una nuova sorpresa. Ovviamente non si lavora solo alla base, ma anche al team. In questi mesi Max Sirena ha lavorato sodo per acquisire prima di altri i bravi liberi. E’ una fase incerta perché senza conoscere le nuove regole, di cui si dovrebbe sapere qualcosa nelle prossime settimane, non si sa su che specialisti puntare. Al momento il settore design, ricerca, coordinamento dovrebbe essere quello più interessante, è infatti quello che inizia a lavorare prima di altri.

La Nuova Zelanda ci credeva: quando l tabellone segnava 8 a 1 in favore di Emirates Team New Zealand il progetto di riportare la Coppa America a Auckland al primo piano del Royal New Zealand Yacht Squadron sembrava a portata di mano. La speranza aveva fermato scuole, agricoltura e industrie, con una battuta anche 30 milioni di pecore ci speravano. Invece la furiosa rimonta di Oracle, che ha qualcosa di miracoloso e pochi precedenti nella vela e in ogni sport, ha fermato il sogno. Che non era solo sportivo, ma aveva motivazioni industriali e turistiche importanti per tutto il paese, la Coppa è rimasta a San Francisco e come primo effetto le azioni di Air New Zealand sono scese. E’ singolare notare come i nostri Governi abbiano sempre considerato la nautica al massimo un serbatoio per estrarre tributi dall’altra parte del mondo sia un orgoglio nazionale. Negli anni in cui è rimasta in Nuova Zelanda, dal 95 al 2003, è stato un motore per lo sviluppo: la città di Auckland ha cambiato aspetto, il giro di affari per il paese è cresciuto non solo per la presenza dei team sul posto, la loro necessità di assistenza, ma anche per il turismo indotto. A Auckland e dintorni ci sono famosi cantieri per megayacht che fanno concorrenza ai nostri. Fitzroy ha costruito la splendida Zefira di Paola e Salvatore Trifirò. Alloy Yacht ha realizzato i due Imagine di Matteo de Nora, l’uomo che ha finora attivamente sostenuto Team New Zealand mettendoci molto del suo. Con un passato da industriale nella chimica, è stato per Team New Zealand una corazzata invisibile, sostiene il team fin dal 2003 per la sua grande passione per la Nuova Zelanda “e il carattere del team” come racconta. Dean Barker, il timoniere sconfitto, ha chiamato Matteo il figlio maschio. “Sia il Governo condotto da Helen Clark in passato che l’attuale con John Key – racconta – hanno sostenuto Team New Zealand riconoscendo alla eventuale vittoria della Coppa America un ruolo fondamentale per l’economia nazionale. Il suo appoggio è passato non solo attraverso i finanziamenti, ma anche con un aiuto logistico importante. C’è la volontà di dare alla Nuova Zelanda un’identità più evidente in campo internazionale, un obiettivo comunque raggiunto anche con la sconfitta”. Si, la Nuova Zelanda è lontana da ogni rotta, un posto che ha scoperto la natura come valore assoluto, e dove la vita ha una dimensione slow autentica. C’è una profonda differenza tra la squadra di Oracle, sostenuta da Larry Ellison con si stima 200 milioni di dollari Usa, e quella di Emirates Team New Zealand, che può essere considerata una vera nazionale. Spiega de Nora: “il nostro budget finale a consuntivo è di 70/80 milioni di euro, distribuiti su quattro anni. La maggior parte dei denari è arrivata dagli sponsor e soprattutto dal naming sponsor Emirates che ha anche messo a disposizione i trasporti, erano 200 persone e 46 container da muovere, non è poco. L’aiuto del Governo può essere quantificato in 37 milioni di dollari neozelandesi, spesi non solo in maniera diretta ma anche per iniziative come l’hospitality che abbiamo usato o la partecipazione alla Volvo Race con la barca Camper. Sono intervenuto con un finanziamento personale ma soprattutto ho coordinato quelli che chiamiamo il ‘mates’ ovvero gli amici del team, che sono un numero di finanziatori privati che ci hanno sostenuto da tifosi. Di solito i ‘mates’ danno delle garanzie all’inizio che poi vengono coperte dagli sponsor che intervengono via via. La partenza del team è sempre il momento più critico sul piano economico”. Da ricordare come la sconfitta del team nel 2003 abbia addirittura provocato interrogazioni parlamentari al grido di “senza Coppa l’industria precipita”. E anche questa volta c’è preoccupazione, l’associazione dei cantieri dell’industria nautica neozelandese aveva programmato un raddoppio del fatturato attuale in funzione del ritorno della Coppa a Auckland, che nel 2020 dovrebbe raggiungere 1.3 miliardi di dollari neozelandesi. Peter Busfield, direttore generale dell’associazione dice: “abbiamo perso una grande opportunità, riportare qui la Coppa avrebbe significato per noi la cosa più efficace in alternativa ad avere le Olimpiadi. Qui sono state costruite Aoatearoa, molte parti di Luna Rossa (gli scafi in Italia da Persico) e della stessa Oracle e gli AC 45 che sono serviti negli eventi delle World Series, nel complesso possiamo stimare un introito di almeno 50 milioni di dollari per lo Stato”. La Nuova Zealanda resta leader nelle tecnologie di costruzione delle imbarcazioni di carbonio e finora è anche stata sostenuta da un vantaggio competitivo: costruire una barca laggiù è scomodo per chi deve seguire i lavori, ma può costare molto meno che in Europa. Spiega ancora de Nora: “I numeri sono sempre relativi, gli analisti e governi ne danno di destinati a cambiare in pochi mesi. Posso dire che quando vincono gli All Blacks nel rugby si vende qualche pallone in più e l’iva è pochissima. Se invece vendi delle barche a vela che valgono decine di milioni l’impatto sull’occupazione e il gettito fiscale è molto maggiore. Nelle settimane della Coppa abbiamo superato ogni dato di audience televisiva e capito che l’80% degli spettatori del rugby è maschile mentre la vela raggiunge anche il pubblico femminile. La vela è seguita dalle famiglie intere”. Forse dalle nostre parti dobbiamo imparare qualcosa.

La Auld Mug, per chi non lo sa il nome arcaico della vecchia brocca, ha sempre scritto la sua lunga storia con la grammatica dell’innovazione, è  con quella che affascina da più di un secolo e mezzo. Una volta, per scrivere le leggende del mare si correva tra le onde, adesso letteralmente si vola sull’acqua con il “foiling”:  i catamarani AC 72 si sollevano sulle derive come aliscafi, sfruttando tutta la potenza di una vela rigida alta 40 metri, una potenza che qualcuno fa somigliare, per analogia, a quella di un motore da 700 cavalli. La cifra estetica degli AC72 è la velocità e quando passano vicino si sente solo un sibilo del timone che entra in risonanza . Tanta velocità come piacerebbe a Marinetti, finora raggiunta sull’acqua solo con oggetti naviganti costruiti per i record in linea retta come Hydroptere o Vestas Sailrocket2. Cinquanta nodi a vela, quasi cento all’ora di Gianni Morandi, sono una velocità mostruosa rispetto a quelle cui siamo abituati. Per disegnare questi cat i progettisti hanno esplorato nuovi panorami del confine aria acqua, ma è un mondo nuovo destinato a durare, forse, la vita di una farfalla: una sola edizione. Ai velisti piace volare, chi vincerà la Coppa prima di cambiare e tornare ai monoscafi ci penserà a lungo, perchè sono costati ricerche che adesso sono un vantaggio sulla concorrenza. Gli Ac 72 sono veloci e difficili da portare, non si sono dimostrati molto adatti al match race, il duello all’arma bianca che invece era diventato una danza con incroci calibrati al millimetro con i vecchi monoscafi, che però non passavano i 14 nodi in condizioni normali. Da tener conto che i catamarani AC 72 sono i primi foiling a disputare vere regate a quelle velocità, tutti i progettisti sono concordi nel dire che tra un paio di generazioni le prestazioni saranno molto più vicine e dunque sarà possibile assistere a un combattimento ravvicinato. Insomma, sono una conquista tecnologica ancora acerba che non è piaciuta ai sacerdoti della tradizione. Forse il salto in avanti con il foiling è stato eccessivo, visionario: ma è un salto in avanti. Del resto è il salto in avanti, perché dei cat normali con uno scafo sollevato avrebbero, quelli si, fatto una figura modesta. Nella vela il progresso è molto lento, i marinai hanno paura di cambiare quello su cui si sentono sicuri: le caravelle che hanno scoperto l’America, velocità media circa 8 nodi, non sono tanto diverse dalle navi tonde che i romani affidavano a comandanti fenici per portare il grano (e gli obelischi) dall’Egitto a Roma. Erano più veloci i vichinghi di Erik il Rosso, arrivato a Vinland – Terranova verso l’anno mille con i leggeri drakkar , capaci di lanciarsi a 14 nodi con il vento in poppa. I vascelli, fatti per resistere alle cannonate e restituirle, di Horatio Nelson signore di Bronte nella battaglia di Trafalgar all’inizio dell’800 erano una evoluzione senza rivoluzione dei galeoni di Sir Francis Drake, il corsaro della regina, che nel 600 era arrivato guarda caso a San Francisco. C’è un legame storico tra San Francisco e la velocità: i cercatori d’oro entravano nella baia dopo navigazioni massacranti a bordo dei clipper bastonati dalle tempeste di Capo Horn. Anche quelle meravigliose navi a vela vivevano con il mito della velocità (fino a 18 nodi) e spesso, come gli AC 72, erano costruiti per il solo viaggio di andata: nessuno aveva merci o persone da riportare indietro dalla California a New York, erano le speranze di trovare pepite sulle rive di Silverado a pagare il biglietto. L’inizio della corsa all’oro in California è del 1848, anno in cui è stata forgiata la Coppa poi messa in palio nel 1851, tutto torna… Patrizio Bertelli le racconta così: “queste barche sono animalesche, viaggiano tra aria a acqua con dinamiche nuove, sono oggetti che il pubblico non riesce a riconoscere. Io all’inizio ero molto scettico, preferivo il monoscafo. Adesso credo che ci siano delle cose buone e che restando nell’ambito delle barche foiling, certamente più piccole e meno costose, potremmo anche mettere a frutto le esperienze che abbiamo fatto adesso”. La velocità è scritta sulla faccia di Grant Dalton, il comandante over fifty che guida New Zealand, vincitore anche del giro del mondo in catamarano e senza scalo, con Club Med. Quando New Zealand ha perso due uomini in mare in una ingavonata con rischio vita e qualcuno ha pensato che uno fosse lui ha detto con un ghigno “io non casco in mare”. A Matteo De Nora sta a cuore il futuro della Coppa: “Alla gente piace il monoscafo, si riconosce nella storia della navigazione. Ma dalla velocità non si torna indietro. Forse la soluzione è un monoscafo planante che arriva a 35 nodi ma che consente tutte le manovre di pre partenza che piacciono al pubblico”. De Nora centra il punto: lo sport anche quando coinvolge la tecnologia non può rinunciare al confronto tra gli uomini che lo praticano. La poetica di Team New Zealand è da sempre questa: un grande equipaggio che fa “cantare” una grande barca. Hanno incontrato un equipaggio che ha saputo maneggiare la tecnologia con scaltrezza: i kiwi hanno inventato il foiling leggendo tra le righe del regolamento, gli americani lo hanno reso stabile e sicuro con Herbie (o meglio SAS Stability Augmentation System) , una macchinetta con sensori gravitazionali studiata per il Boeing 747 una quarantina di anni fa. Ancora misterioso come abbiano applicata senza violare la regola che ogni regolazione delle derive deve essere manuale.

Per saperne di più sul SAS

http://www.ier-institute.org/2070-1918/lnit15/v15/123.pdf

http://aerostudents.com/files/automaticFlightControl/stabilityAugmentationSystems.pdf

 

La Coppa America numero 34 è finalmente finita. Hanno vinto gli americani, ha vinto Oracle che ha fatto il miracolo di rimontare un punteggio impossibile per concludere 9 a 8, risultato inaspettato solo qualche giorno fa. Ha vinto ieri notte l’ultima combattuta regata, il distacco e la cronaca non hanno ormai nessuna importanza. Soprattutto, vale dire che sono stati più veloci di bolina sempre e comunque, che si può usare la parola incontenibili. E’ finita nel modo più crudele per Dean Barker e compagni di Emirates Team New Zealand, che hanno sentito a lungo odor di vittoria, anzi era praticamente in tasca. Larry Ellison, il miliardario terzo uomo più ricco del mondo (fa sempre una certa impressione pensarlo) gongola sul podio, alza l’antico trofeo al cielo,  pensa di aver speso bene i suoi 200 milioni di dollari. Ancora una volta ha dimostrato che i soldi contano, perché sono stati il carburante per i grandi talenti che ha messo assieme. La vittoria kiwi sarebbe stata più romantica, forse più giusta anche per come va il mondo. Ma la Coppa non fa sconti.
Quel che è successo sul campo di San Francisco ha qualcosa di magico, di mai visto prima in 162 anni di storia della Coppa che da oggi abbandona l’era antica. La capacità di Oracle di rinnovare il suo team, le prestazioni della barca sono state una dimostrazione di abilità, offuscato da qualche ombra per l’amaro lasciato in bocca dalle modifiche non legali agli AC 45 per cui sono stati sanzionati. Al momento non è il caso di perdersi nella dietrologia sulla legalità della barca, la loro velocità di bolina era qualcosa di veramente spettacolare. Così come purtroppo lo è stato il declino inarrestabile di New Zealand, che giorno per giorno ha subito la pressione di un equipaggio che ha sventolato la bandiera di Ben Ainslie usandolo come vela da tempesta, pilastro di tattica e furbizia. James Spithill è un pugile , un timoniere alla seconda vittoria della Coppa, ma Ben in qualche modo è l’eroe di questa impresa, perché salito a bordo in un ruolo non suo e subito ha saputo imporre un ritmo diverso alla barca e agli uomini. Ben che poteva anche essere nel campo avverso: nel 2005 era entrato come tattico titolare in New Zealand, ma preferì diventare il timoniere di barca due “perché devo imparare a timonare e il match race”. Ben che non era a bordo nel primo equipaggio, che ha sostituito il frigido John Kostecki, campione vero ma mai assoluto quanto lui. Due cognomi italiani a bordo di Oracle: Shannon Falcone, padre italiano passaporto di Antigua e Gillo Nobili, passaporto italiano e felicità alle stelle. La sconfitta di New Zealand è anche troppo punitiva e crudele: per una settimana hanno avuto in mano la Coppa, hanno sognato e preparato il futuro dell’evento, hanno interpretato il loro ruolo di nazionale della vela. I grandi sconfitti sono Grant Dalton e Dean Barker, che hanno cercato di seguire un altra coppia famosa sul viale del successo: Peter Blake e Russell Coutts, i trionfatori del 95. Ma contro di loro c’era un’America debole, divisa, senza il portafoglio aperto di Ellison. Per loro la sconfitta è molto difficile da digerire. Dean ha pianto come un bambino dopo il traguardo, Dalton non lo dice, ma piange dentro. Torneranno? Tornerà lo squadrone kiwi? Chissa. La corazzata invisibile Matteo De Nora ha riaffermato tutta la sue ammirazione e fiducia negli uomini. Ma non basta. Errori nel campo neozelandese? Chissà forse un giorno sapremo. Uno su tutti: quello di aver reso pubblica la scoperta del foiling (il modo di navigare sollevandosi sull’acqua) troppo presto, per Oracle è stato un inseguimento continuo ma vincente grazie alle risorse senza limiti. “Abbiamo combattuto ogni giorno – ha detto Spithill – e abbiamo vinto”. Facile, a parole.
Dean è sconsolato: “abbiamo vinto l’ultima partenza ci abbiamo sperato, ma non è stato possibile competere con la velocità di Oracle. Il loro miglioramento è stato incredibile. Siamo orgogliosi del nostro team, abbiamo cercato di riportare la Coppa in Nuova Zelanda, non ci siamo riusciti”. Per quante notti rivedrà il cronometro correre in quella regata interrotta a pochi minuti dall’arrivo, la regata della vittoria. Grant Dalton commenta: “la nazione è devastata”, giorni di scuole chiuse, record di audience, i primi effetti si sentono in Borsa, con il crollo delle azioni di Air New Zealand.   Differenze tecniche, si ci sono: ala diversa, Oracle ha la parte anteriore rigida mentre quella di Emirates Team New Zealand può twistare. Oracle ha scafi più piccoli, meno voluminosi. Oracle non ha la struttura con i tiranti che consente a Emirates una maggiore rigidità, ma in compenso le traverse tradizionali oppongono meno resistenza al vento e questa, assieme al controllo con controllo elettronico delle derive (manuale per i kiwi)  può essere stata la vera differenza, che consentiva una grande stabilità a Oracle in ogni situazione.
Il futuro è incerto: chi è il Challenger of Record? Ellison ha dichiarato che esiste ma lo comunicherà più avanti. La scelta, potrebbe essere tra il Royal Cornwall Yacht Club per un sindacato condotto da Ben Ainslie con sponsor JP Morgan oppure il Royal Swedish Yacht Club per Artemis di Torbjörn Törnqvist che ha già messo a contratto Iain Percy. Bertelli aveva le carte pronte per la sfida del Circolo Vela Sicilia al Royal New Zealand Yacht Squadron, ha sempre detto che non gli interessava farlo con gli americani. Però.. ci ha abituato alle sorprese. Quasi certamente resterà questa formula di regata, con dei catamarani foiling, lunghi 60 piedi.

Battuta di arresto per Emirates Team New Zealand: Oracle ha vinto l’ unica regata del giorno avvicinandosi di un punto ai dominatori di questa Coppa America. Ancora una volta gli americani sono stati in grado di mostrare un incremento di velocità grazie alle loro modifiche e al modo di portare la barca. Gli americani dopo aver vinto la partenza, Dean Barker ha fatto un errore che ha ammesso  strambando troppo presto in avvicinamento alla linea, hanno condotto tutta la regata e anche quando si sono visti raggiunti di bolina da Emirates hanno sfoderato un nuovo modo di navigare alzandosi in foiling anche di bolina alla velocità di 31 nodi, mentre i kiwi erano fermi a 27. Oracle ha vinto bene e il comitato dopo un tentativo di partenza ha sospeso la seconda regata del giorno fermando il punteggio sull’otto a due. Per gli americani si riaccende la speranza, per i kiwi si ritarda la festa per quello che ormai è un evento nazionale: gli spettatori della televisione sono il doppio di quelli della finale del mondiale rugby e il motivo sta nel pubblico femminile cui piace la vela e forse anche Dean Barker e tutti gli altri. Ormai la sospensione delle regate sta diventando una barzelletta, pochi secondi sopra la media e Iain Murray deve interrompere la procedura, non sembra che ci siano vie d’uscita alla situazione, perché su tutto domina la posizione della Coast Guard che, a quanto pare, non vuole cambiare le regole stabilite dopo il dramma di maggio. Spithill afferma che la situazione è cambiata molto e controllano molto meglio le barche. Ma le cose non cambieranno. Ancora una volta è stata sorprendente la capacità degli americani di trovare nuove soluzioni ogni giorno, metterle in campo quasi senza collaudarle. Qui si vede la forza di un team che ha speso molti soldi e che ha molte risorse, sostenuto da un armatore, Larry Ellison, che ha fatto la sua fortuna con il software. Lo dice in qualche modo James Spithill quando gli chiedono come facciano a credere alle modifiche che stanno per fare. Da sempre, nella vela, è difficile fidarsi ed avere successo con quello che non hai mai provato prima. “Devi credere nei numeri – dice Spithill – nelle previsioni dei progettisti”. Finora ha funzionato alla grande, nessuno credeva che potesse migliorare di un margine così consistente senza collaudare le intuizioni, senza un processo continuo di prova e riprova. I kiwi per parte loro avevano un assetto non perfetto per la giornata, ogni giorno infatti è una scommessa tarare timoni e derive per il vento previsto. Molte delle modifiche non sono realmente visibili, sono piccole variazioni nelle regolazioni dell’ala e del resto. I kiwi sembrano meno contenti di metter mano alla barca, anche perché al momento sono meno disperati. Ancora una volta questa Coppa America sorprende, cambia proprio il modo di guardarla, bisogna costruire una nuova esperienza ed essere pronti alle sorprese. I kiwi restano ancora tranquilli, sono a un punto dalla vittoria finale e gli americani devono rimontare sei vittorie. La filosofia progettuale delle due barche è diversa soprattutto nella struttura, mentre Oracle ha una architettura tradizionale che delega alle traverse tra i due scafi la rigidità dell’insieme Emirates ha una serie di tiranti che rendono tutto più rigido. Quando navigano la differenza si vede: Oracle tende a puntare verso il basso lo scafo che si alza in aria, perché è più elastico. Il grande lavoro di Oracle di questi giorni è stato nella maniera di regolare la barca, di inclinare l’ala. Molti a bordo affermano che si tratta più di boat handling che di tecnica.

La bella Coppa America di New Zealand poteva finire alla fine della bolina di regata otto e per la prima volta dall’inizio della regate i kiwi hanno vissuto una situazione davvero pericolosa, che poteva scrivere la parola fine della loro sfida. Per fortuna hanno avuto quel pizzico di fortuna che li ha aiutati ha raddrizzare, letteralmente, la situazione. Il confine tra il disastro e la sopravvivenza è stato davvero labile: i kiwi erano alla fine della bolina, la più combattuta di tutte quelle viste finora contro Oracle, e la barca neozelandese in una virata stretta si è pericolosamente alzata su uno scafo. Ha raggiunto una inclinazione di 44°, bastano due, tre gradi di più per poggiare l’ala sull’acqua, che sarebbe finita inevitabilmente distrutta. Poi con la corrente che spingeva verso l’oceano anche il recupero dello scafo ribaltato sarebbe stato molto difficile e dopo quasi impossibile pensare di proseguire le regate e vincere la Coppa. Insomma un piccolo problema idraulico, questa la versione ufficiale, che ha impedito all’equipaggio di invertire la forma dell’ala poteva essere fatale. I kiwi hanno mantenuto il sangue freddo e hanno cercato di completare la manovra: gli uomini ai grinder hanno continuato a far andare le braccia per dare potenza al sistema idraulico fino a quando la situazione è tornata sotto controllo e sono riusciti a invertire il twist. Per alcuni interminabili secondi nella baia di San Francisco sono rimasti tutti con il fiato sospeso, di più i quattro milioni trecentomila neozelandesi incollati alla televisione, nel giorno in cui il Governo per dar modo di seguire le regate ha perfino deciso di chiudere le scuole per consentire ai ragazzi di restare in famiglia. La vela è proprio uno sport nazionale dalle loro parti. Fino a quel momento New Zealand era andata forte, aveva controllato l’avversario anche se non con quell’autorità che aveva mostrato gli altri giorni. Oracle si è presentata sul campo con delle modifiche ed era sembrata più equilibrata, più vicina sia in bolina che in poppa, e anche il tattico Ben Ainslie più efficace che nel suo primo giorno. Dean Barker  aveva vinto la partenza, dimostrando che non teme le aggressioni di James Spithill. Racconta Dean Barker: “per un problema all’idraulica l’ala è rimasta nella posizione che aveva prima della virata, mancava la potenza per invertire la forma. Ci siamo salvati perché i grinder hanno continuato a fornire potenza e finalmente siamo riusciti a regolarla”. Nota di superstizione: il general manager Grant Dalton nella regata maledetta non era a bordo, come in quella persa qualche giorno fa. Grant non ha l’età per fare il grinder, anche se ha ancora un fisico preparato arriva a fine regata boccheggiante. Adesso, sembra condannato a salire sempre a bordo. Dopo il fattaccio New Zealand ha inseguito per arrivare al traguardo con un ritardo di 52 secondi: interessante notare come non siano minuti, non ostante quello che era successo. Dopo la regata il punteggio è di 6 a 0, Oracle ha finalmente colmato la penalizzazione imposta dalla Giuria Internazionale ma il bilancio è ancora negativo: deve vincere altre nove regate contro le tre che bastano a New Zealand. La seconda regata del giorno è partita con i New Zealand al comando, ma è stata interrotta perché il vento è salito oltre il limite imposto dalla Guardia Costiera. Si torna in campo oggi.

I dati

Percorso: 5 Legs/10.16 nautical miles
Elapsed Time: OTUSA – 23:09, ETNZ – 24:01 Delta: OTUSA +:52
Total distance sailed: OTUSA – 11.4 NM, ETNZ – 11.7 NM
Average Speed: OTUSA – 29.90 knots (34 mph), ETNZ – 29.32 knots (34 mph)
Top Speed: OTUSA – 44.58 knots (51 mph), ETNZ – 47.02 knots (54 mph)
Windspeed: Average – 16.6 knots, Peak – 19.6 knots
Number of Tacks/Jibes: OTUSA – 8/8, ETNZ – 9/7