La seconda sfida deli anni trenta è lanciata da  sir Thomas Murdoch Sopwith, un costruttore di aerei, attraverso il Royal Yacht Squadron. Il suo primo Endeavour (nome preso a prestito da una delle navi di James Cook) è costruito applicando molte tecnologie aeronautiche è progettato da Charles Nicholson con la collaborazione di Frank Murdock, tecnico della Hawker Aircraft (fondata dopo il fallimento di Sopwith Aviation Company dopo la prima guerra mondiale) che studiò un sistema di misurazione del carico sulle sartie e nuovi verricelli, l’iniezione di tecnologia per gli inglesi è un grosso passo avanti. Tuttavia prima delle regate l’equipaggio professionista sciopera e Sopwith lo sostituisce con marinai dilettanti. Il defender è Rainbow di Harold Vanderbilt, il suo albero è aerodinamico e gli interni sono al minimo: al loro posto ci sono degli accumulatori che fungono anche da zavorra. Endeavour esordisce bene con due vittorie, sembra più veloce della barca americana. Nella terza prova però Endeavour, mentre è in testa, sbaglia tattica e viene superata dal defender condotto da Sherman Hoyst. Nella quarta regata per un cavillo il Comitato non accoglie una protesta di Endeavour che aveva evitato una collisione con l’avversario. Nella quinta prova le barche sono vicine e ancora una volta è la bravura del timoniere americano a fare la differenza. Sulla linea di arrivo le due barche sono divise da 55 secondi. Questa volta gli americani hanno seriamente rischiato di perdere la Coppa, forse per la prima volta in tanti decenni hanno incontrato una barca che poteva competere in velocità con le loro. La tensione dopo le regate è alta ma gli inglesi con un gesto perfino ingenuo concedono agli americani i disegni di Endeavour che saranno una base di partenza per il progetto successivo. L’aereo più famoso costruito nelle officine dello sfidante è il Sopwith “Camel” che è stato il caccia biplano inglese della prima guerra mondiale, costruito in oltre 5000 esemplari, antagonista dei Fokker tedeschi, poi citato nelle strisce dei Peanuts. Thomas Sopwith dopo questa sconfitta lanciò una sfida per il 1937, fu anche il primo timoniere dilettante in anni in cui gli equipaggi erano in gran parte professionisti. In questa edizione salgono a bordo anche Phyllis Sopwith, che si occupa del cronometro, e Gertrude Vanderbilt: è la prima volta che due donne si incontrano nella America’s Cup. Nella vita reale le due famiglie sono amiche.

Lo yachting internazionale cerca un linguaggio globale, una regola di stazza che possa essere usata in tutto il mondo. A inizio secolo dopo una grande riunione a Parigi del 2007 è nata la Universal Rule, regola che per molti anni sarà la base delle regate dando vita a numerose classi, alcune delle quali ancora attuali come i 5.5 S.I. I concetti per la misurazione ideati allora influenzano comunque tutte le regola nate successivamente, come lo Ior  e la più recente regola IACC usata per la Coppa America dal 1992 al 2007. Le barche più grandi sono i 23 metri S.I, di cui si costruiscono pochi esemplari. Per la Coppa si sceglie di usare i J Class, che sono lunghi una quarantina di metri e rispondono al Deed of Gift che indica una lunghezza al galleggiamento di 90 piedi. La Lipton nella crisi del ’29 ha perso due terzi del suo valore, ma Thomas, ottuagenario, lancia la sua quinta sfida. Gli risponde Harold Vanderbilt, nipote di Cornelius che ha già armato un defender e già presente nella edizione precedente. Vanderbilt affida il progetto a William Starling Burgess, figlio di Edward. Nasce Enterprise che gli americani mettono in concorrenza con altri tre potenziali defender: Weetamoe, che sarà il migliore avversario, Whirlwind, Yankee. Enterprise è dotatissima, di vele e di marinai. Figlia dell’innovazione, il suo albero è il primo di alluminio costruito con lastre rivettate con 80.000 rivetti. Insomma, quando Shamrock traversa l’Atlantico è già vecchio, la differenza è chiara anche per un pubblico poco esperto. Mentre gli inglesi cazzano le scotte a forza di braccia gli americani hanno i verricelli. Si corre a Newport dove il New York Yacht Club ha aperto una sede estiva e non più nella baia di New York ormai difficile da utilizzare per il traffico commerciale. Lipton incassa con eleganza un pesante quattro a zero: è sconfitto ma esce vincente dall’avventura della Coppa America, forse l’unico che abbia saputo sempre mantenere uno stile limpido più che sportivo. Un anno dopo muore lasciando un segno deciso non solo nella vela, ma nella storia del marketing moderno per quanto ha saputo fare con il suo marchio.

Da Saint Tropez a Genova passando per lo scoglio della Giraglia, sono le 216 miglia di regata più famose del mediterraneo: i velisti non le amano perché il vento è troppo mutevole. Quest’anno per la edizione numero cinquantanove della Giraglia Rolex Cup sono partiti in più di duecento. Di solito sono le barche più grandi quelle favorite in questo gioco, e infatti anche questa volta la prima in tempo reale è Esimit Europa 2, una barca dello sloveno Igor Simcic patrocinata dalla comunità europea e sponsorizzata da Gazprom, si proprio il colosso del gas. Ci naviga un bel gruppo di italiani, con Roberto Spangaro, Stefano Rizzi, Alberto Bozan e Cicco Rapetti, uno dei quattro italiani che hanno vinto la Coppa America. Non era il solo gigante presente ad affollare la banchina del porto storico della bella vita di Brigitte Bardod e dei grandi playboy anni sessanta. Tra i grandi mangia miglia c’erano lo Swan 90 DSK Pioneer Investment di Danilo Salsi con Andrea Casale al timone e Francesco Mongelli navigatore, su Alegre navigava Francesco de Angelis, sul Jethou di sir Peter Odgen il mago della Coppa America Brad Butterworth. La lista può esser lunga. Per i grandi, abbronzati favoriti però c’era in serbo una sorpresa: la bonaccia, quella condizione per cui il mare è liscio come l’olio, l’aria resa opaca da una nebbiolina umida che il vento non sposta. Dunque bisogna raccontare che la vera classifica di questa regata è in tempo compensato, un sistema inventato più di un secolo fa (per fortuna sempre aggiornato) che consente di paragonare barche diverse utilizzando formule che tengono conto delle dimensioni, delle vele, del vento, della distanza da percorrere. E’ chiaro che con questo sistema bisogna attendere l’arrivo di tutti per sapere chi è il vincitore, un sistema unico nello sport e un poco penalizzante per gli spettatori. Dopo l’arrivo di Esimit Europa 2, che ha impiegato 33 ore e 14 minuti (il record di Alfa Romeo stabilito nel 2008 è di 18 ore e 4 minuti) sono passate ore prima che la situazione fosse un poco più chiara. Si è capito subito che sarebbero stati i “piccoli” a vincere, lo si sapeva proprio dal passaggio dallo scoglio della Giraglia, quando una grande bolla di bonaccia ha consentito alla flotta degli oltre duecento di compattarsi e ripartire rendendo quasi inutili le prime cento miglia di regata. Insomma, arrivati i big si è capito che il loro vantaggio non gli bastava a “pagare” (si dice così) gli inseguitori e che il vincitore sarebbe stato tra gli inaspettati. Per alcune ore il migliore della classe IRC (la più numerosa) è stato Nikita, una barca di serie tipo J122, portata dallo skipper Dario Mamone con un equipaggio bravo ma non professionista. Poi quanto tutto sembrava stabile e nella piazza dello Yacht Club Italiano si iniziava a mangiare pasta e focaccia l’arrivo di Foxy Lady, barca di serie tipo X 372, con una lunga storia alle spalle adesso dell’armatore francese Dominique Heyraud: il suo tempo reale è di 48 ore e 4 minuti: insomma quasi mezza giornata più di Esimit e gli altri. Eppure grazie al sistema di calcolo è prima di una lunga classifica, dove la barca con bandiera europea finisce oltre il centesimo posto. Non a tutti piace che questo sistema tolga di mezzo i superfavoriti, però il fatto che Davide possa battere Golia, soprattutto in termini economici, ha il suo fascino. Tutta Foxy Lady vale come una randa  di Esimit. Mica male. In regata anche la categoria ORC, dove ha vinto Gianin VI di Pietro Supparo, un altro outsider.

 Thomas Lipton lancia una sfida nel 1907,  ma vorrebbe correre con barche più piccole e meno costose. Gli americani però non vogliono e lui ci riprova nel 1912. Nel 1913 si arrende e non pone condizioni, ma gli americani rivedono finalmente la loro posizione e ammettono barche con lunghezza al galleggiamento di 75 piedi (15 meno dei 90 previsti dal Deed of Gift). Così, nel 1915 Thomas Lipton è pronto con il quarto Shamrock disegnato da Charles Nicholson e costruito in legno, ma in maniera avveniristica con il sistema dell’incollaggio di strati lamellari sostenuti da una struttura portante, un sistema sperimentato in aeronautica che rende la struttura molto leggera a confronto del tradizionale fasciame. Quando Lipton si sta trasferendo in America per le regate a bordo del suo panfilo Erin l’Austria invia l’ultimatum alla Serbia, che sarà la miccia per la Grande Guerra. All’arrivo a New York, dove è pronta Resolute, Lipton propone di mettere in secco le barche: i due scafi vanno in bacino a City Island. Si regata nel 1920, con le barche riviste e modificate. Lipton arriva vicinissimo al risultato storico: vince le prime due prove e dichiara che è il più bel momento della sua vita. Nella terza regata l’americano insegue ma vince in tempo compensato e poi purtroppo vince altre due regate, anche con l’aiuto del Comitato che sospende una partenza con vento forte. È l’edizione più combattuta della storia, ma Lipton rimane deluso: pensava di farcela, invece incassa la quarta sconfitta. Si consola con un grande ricevimento a bordo di Erin. Torna in Inghilterra e ripensa alla Coppa: non è un marinaio, ma le regata delle regate lascia un segno indelebile. Intanto gli americani cambiano il regolamento di stazza che inizia a tener conto del dislocamento.
Alle regate e nel comitato armatore, presieduto da Pierpoint Morgan, della barca vincente partecipa Harold Vanderbilt (nella foto), parte di una delle famiglie più influenti e ricche d’America e di New York. Il patrimonio dell’avo Cornelius “Commodore”, costruito con ferrovie e navi, il giorno della morte nel 1877 era uguale ai possedimenti del Tesoro degli Usa. Mike vinse tre volte con i J Class Enterprise, Rainbow e Ranger. La prima volta, nel ’30, finì sulla copertina del Times Magazine. Timonava personalmente le sue barche, aiutato dalla moglie Gertrude Lewis Conway che teneva i tempi per le sue partenze perfette. Dopo la difficile edizione del ’34 scrisse le regole di regata per la IYRU (adesso Isaf) che con poche modifiche sono ancora quelle attuali. Fu per molti anni commodoro del New York Yacht Club influenzando numerose edizioni della Coppa. Ha una storia che conta anche nel mondo del bridge.

 L’inizio del novecento è ancora un’epoca di giganti, i mari sono solcati dalle ultime navi a vela che riescono a percorrere il globo segnando record di velocità e percorrenza che hanno resistito fino al tempo dei multiscafi. Anche le barche da regata sono affette da gigantismo. Thomas Lipton ritorna da William Fife, che realizza il terzo Shamrock. Oliver Iselin, influente newyorkese, è sempre alla testa di un consorzio di soci che armano il defender Reliance, ancora una volta del mago Herreshoff. È lungo 43 metri, un’enormità. Quando sbanda, per navigare di bolina, la sua linea di galleggiamento aumenta di tredici metri… L’albero è di 56 metri e in coperta arrivano finalmente i winches, altra innovazione importante che resterà nella vela per sempre. Per manovrarlo, a bordo ci vogliono sessanta uomini e già con quindici nodi di vento è in difficoltà. Il defender vince piuttosto agevolmente le prime due prove, mentre nella terza addirittura si perde nella nebbia e si ritira. La barca di Lipton non è più lenta, ma di certo conta la bravura di Charlie Barr. Già all’inizio del Novecento si tentava di togliere alla leggendaria regata il suo primato. Nel mondo si percepisce la tensione che porterà alla guerra e dopo questa edizione non ci sono sfidanti pronti, disposti a tentare la sorte. Anche Lipton mette in vendita le sue barche.
Charlie Barr che si afferma come primo grande timoniere era nato in Scozia nel 1864, era stato naturalizzato americano, portava barche di quaranta metri come fossero biciclette. Ha vinto nove regate consecutive in tre edizioni diverse, il suo è un record durato fino all’arrivo di Coutts. È stato il grande avversario delle barche di Thomas Lipton.  Nel 1905, con la ricetta “tutta la tela possibile”, ha anche stabilito il record di traversata atlantica a vela, 12 giorni e 4 ore, con lo schooner a tre alberi Atlantic durante una regata nata per far concorrenza alla famam della Coppa America, record che ha resistito per 75 anni fino al 1980, quando Eric Tabarly impiegò 10 giorni e 5 ore a bordo  del trimarano Paul Ricard. Il primo monoscafo a batterlo è stato Mari Cha, 9 giorni e 15 ore, nel 2006.

Ricevo questa lettera di Epaminonda Ceccarelli. Un ingegnere geniale che ha saputo dire la sua nella barche, nell’edilizia, nelle auto da corsa cui devo gran parte della mia passione per il mare. Non solo lo conosco da quando portavo i pantaloni corti, ma ho avuto modo di sfidare il Tirreno con un EC 26 dell’amico Enrico, imparando tanto e cementando soprattutto una passione forte per le barche. In un momento in cui “sapere” viene addirittura nascosto se non temuto è una luce in fondo al tunnel.

Caro Antonio,
ieri ho aperto quella che era la tua rivista: non potevo non ricordarmi di te perché le tante delle tue parole, assai tecnicamente preparate, hanno procurato a me, e soprattutto a Giovanni, informazioni sul racing delle vele. Tu con i tuoi articoli ci spingevi dentro una lunga onda di episodi che come addetti ai lavori ci interessavano particolarmente. E’ appropriato parlare di onda per i ricordi, perchè ti piombano addosso  fantasticamente e ,come le vere onde , ritirandosi formano una risaccca che lascia fermi sul bagnasciuga gli amari residui di qualcosa di informe e non gradito.

In questi giorni, per me, c’è stata la coincidenza di un succedersi di eventi. Infatti dopo la amarezza di vedere il trattamento riservato al maestro d’arte Sgarbi nell’annullare la sua trasmissione in prima serata , dopo che avevo trascorso due ore di vera cultura nell’impalpabile ma grande godimento in tutti sensi dello spettacolo e’ stato un vero colpo di grigio. Tanto più finalmente in un Canale votato per obblighi alla più melensa e vuota narrativa vedere quel vero “canto libero.” Attaccato il lavoro di Sgarbi come un delitto e interrotto da burocrati incapaci del più elementare coraggio dopo la notizia mi sono mentalmente e volutamente allontanato nel continuare entrando nel ludico sportivo: la mia vela.
Così ho sfogliato, con un gesto nevrotico e ripetitivo le pagine di Vela e Motore di fresco arrivo dove ho subito notato, nel cambiamento, un secondo colpo di grigio. Un foglio reclame seguito da un foglio di notizia, eccetera, avanti alla stessa maniera fino in fondo: forse oggi i manager, per far denaro, devono far così.

Ma un giornale di vela,  il più anziano d’Italia, dove in modo quasi infantile ritrovi te stesso non deve cambiare così improvvisamente, però’ penso che la dirigenza lo abbia fatto in buona fede, usando il suo linguaggio.

La vela è stato il mio gioco negli anni passati. Un gioco che molte volte mi e’ capitato di vivere quando per lavoro vado nei Porti o incontro qualche manager amante della vela di altura in Italia e all’estero, in Francia, in Brasile ecc. non posso dimenticare alla mia età quale emozione sia stato sentisti chiamare “Maestro“, o “Mito della sua giovinezza“. Dunque è vero, leggendo il ricordo di tali apprezzamenti tutto si rinnova e ti fa sentire uno di loro; pure loro lettori attraverso gli strumenti che gli abbiamo procurato.
Cambiando la veste (parlo da modesto incompetente che esprime una sensazione), editoriale si e’dato un colpo al foglio, agora’ virtuale di convegno ideale, incontro attraverso la notizia e il rapporto col lettore.

A volte mi e’ capitato l’incontro fisico con chi scriveva sulle riviste, ritrovandosi all’Admiral’s, a qualche Campionato, alla Coppa America o a qualche competizione FIV. Quei lettori particolari sono degli appassionati legati alla natura per il semplice fatto di saper di con abile mano riuscire a strappare al vento la energia per girare il mondo. Sono lettori giustamente ambiziosi e ansiosi di leggere da altri (preparati) dell’ultimo “si dice” e ognuno nel suo piccolo ricavare un consiglio utile per il suo gioco.

Lasciamo ora perdere se noi lettori abbiamo opinioni diverse nel sociale perché il bello è che quando entriamo nelle letture dello sport velico tutto diventa un linguaggio trasversale che unisce e accomuna i popoli. Sappiamo tutti che a volte il mare ti fa dimenticare le diversità quotidiane…

Antonio, nelle tue osservazioni o scazzignamenti post regata riuscivi ad usare un linguaggio critico fatto ad hoc per gente come me attaccata alla sua esperienza a volte pionieristica. Da parte mia apprezzavo il senso critico quando affrontavi le luci e ombre di una economia settoriale, purtroppo a volte gestita in modo poco ortodosso e fuori dalle norme. Io che dal 46 ho seguito passo a passo lo sviluppo e la rivoluzione che ha portato alla seconda generazione della nautica frutto di botteghe dove ogni famiglia aveva un suo linguaggio posso dire che ci sono stati cambiamenti epocali come la scomparsa delle botteghe, di quei piccoli qualificati Cantieri che sotto spinte sbagliate dovute alle lotte sociali di accorpamenti a volte indiscriminati fatti pensando che bastava acquistare per avere continuità creativa del prodotto, senza tener conto che era scomparsa nelle “vendite” l’anima di quell’ homo faber che l’aveva creata, dandogli così un particolare linguaggio e stile.

Il senso critico e competente nella tua informazione, che quando sfiorava il commerciale sapeva cogliere anche i momenti critici di un settore economico che, in certe bolle, viveva fuori dalle norme con una pubblicità esaltante ma cosciente della stima all’esterno del Made in Italy.

Come ho scritto sopra ho preso la rivista Vela e Motore ben ultima di aprile, un rigo una pubblicità e poi un altro rigo altra pubblicità ecc… non ho letto nulla: è stato  per me come un divorzio dopo uno sposalizio d’amore durato ininterrottamente dagli anni 50. Pensa a sessant’anni! Io però continuerò a leggerlo sperando che riprenda in quella direzione editoriale, ho tutti i numeri e tutti gentilmente offerti.

In quella ideale risacca o guardato e riguardato,  cercato almeno un piccolo granchio ancora vivo ,(due righe critiche ): nulla .

Aspetterò!

Allora in parallelo ho pensato a Sgarbi .

Mi sono ricordato che agli albori suoi mia moglie Anita appassionata di arte anni fa come Presidente della associazione FIDAPA si interessò organizzando alla Biblioteca Classense di Ravenna una delle sue prime conferenze di arte. Ebbi modo di conoscerlo e capì che eravamo nella comunicazione culturale su un altro pianeta. Il suo spettacolo e’ stato fermato lo share basso al pubblico non ha tempo per pensare culturalmente, criticamente non gli interessano le sole armi per un futuro .

Il calamaio che sant’Agostino portava con se per dirci non interessa più. E l’’inchiostro di china che ha resistito nei suoi scritti migliaia di anni . Ora basta, tutto è ridotto a un file magnetico che sarà buttato dopo 5 o 6 anni cosa importa tanto e’ vuoto come vuote le pagine che sto guardando. Ho pensato a te e ti sto rubando un po’ di tempo perché non potevo non farlo. Non ho potuto non fare il parallelo con i tuoi articoli collezionati nei miei armadi fatti nelle due Coppe America. Non potevo non pensare agli articoli su Il Giornale e alla tua rivista, così anche per lei hanno spento come per Sgarbi la luce riaccendendola in altro scenario.

Sono rimasto a riordinare nella memoria dei veri ricordi ai agli articoli tuoi durante alle due Coppe di Giovanni, erano come assist calcistico a volte che gli servivi . Erano tutte note competenti, utili come invece inutili perché vuote quelle e mi riferisco al nostro paese, ora in tanti tabloid il vacuo inutile sta dilagando.

Fu la tua rivista che mi mando’ negli anni 70 la bella bruna Giorgia Ghessner a intervistarmi al mio studio dove parlammo per ore, del made in Italy che primo stavo proponendo al Salone primi anni 70 a Genova, all’apertura riempì una pagina intera del Corriere della sera. Debbo a Lei e a Vela e Motore questo lancio trainante quanto ho aperto il primo studio di progettazione nautica. Poi sono state pubblicate decine di barche che ho progettato. Insomma anche tutta la presenza Vettese e’ stato un grande motore indimenticabile, proseguito anche con Giovanni autore del secondo tratto di staffetta della corsa dei Ceccarelli. Debbo solo ringraziare te, la rivista Vela e Motore e sono certo che l’esame delle cose passerà ancora e presto attraversa la cultura perché e’ come la sete di libertà.

Dio nel lavoro dell’uomo gli ha donato la creatività ma l’uomo usa la sua intelligenza per una giusta interpretazione.

A te e alla tua famiglia Buon vento !

Epaminonda Ceccarelli

Thomas Lipton si diverte ad andare a vela, è già amico di Edoardo VII che succede alla regina Vittoria e lo spinge a partecipare. Inoltre è molto amato dagli americani per i suoi modi gentili. Lipton si affida a Watson per il secondo sfidante che chiama ancora Shamrock. Ne esce una barca migliore della precedente che purtroppo rompe l’albero proprio con il re a bordo nelle regate di preparazione a Cowes. Per scegliere il defender ci sono selezioni, il nuovo Constitution disegnato da Herreshof per August Belmont è molto aggressivo, tuttavia il vecchio Columbia rimodernato appare più affidabile.  C’è anche Indipendence di un sindacato di Boston, che il New York Yacht Club vorrebbe sotto il suo guidone e quindi resta in porto. Columbia è armato  da John Pierpont Morgan, influente finanziere ma anche appassionato e vero velista che quell’anno regala al NYYC l’area su cui ancora sorge la sede a terra del club a Manhattan, e da Edwin Morgan. Il timoniere americano è ancora Charlie Barr, che governa un equipaggio scandinavo professionista e stipendiato. Barr conduce Columbia “come una bicicletta” e vince agevolmente le selezioni, non è più veloce in assoluto ma lo diventa sul campo. La barca di Lipton nella prima prova sembra in grado di battere gli americani e conduce lungo la bolina. Nella parte finale però Columbia recupera e vince con facilità. La seconda prova è solidamente in mano agli americani. La terza prova è assolutamente spettacolare. Shamrock conduce e vince in tempo reale per pochi secondi, però la classifica in tempo compensato dà ragione agli americani. Lipton non si scoraggia e pensa già a una nuova sfida.
Il vero vincitore della sfida del 1901 è Charlie Barr, che dimostra come conoscenza della barca e delle manovre siano fondamentali; soltanto altri due Defender nella storia della Coppa hanno avuto l’onore di difendere il trofeo per due volte: Intrepid (1967, 1970) e Courageous (1974, 1977) entrambi disegnati da Olin J. Stephens II.