L’anno scorso il fatturato conquistato all’interno del Gruppo Beneteau dalle barche a motore ha superato quello delle barche a vela. I due marchi principali del gruppo, Beneteau e Jeanneau, hanno sempre fatto la parte del leone nel mercato mondiale delle barche a vela, facendone stabilmente il primo cantiere al mondo. Nonostante gli attacchi portati dal gruppo Bavaria e altri che sono nati nel tempo, come il blocco Dufour- Del Pardo, acquisito da Bavaria dopo un disastro finanziario provocato da un indebitamento eccessivo, peraltro un male comune a molti cantieri finiti in mano ai fondi di investimento. Adesso il gruppo Bavaria tenta il rilancio con il manager Jens Ludman che arriva dalla Ford Europe che ha affidato Del Pardo a Ruggero Gandolfi. Il sorpasso di cui abbiamo scritto è però sintomatico della fatica del mercato delle barche a vela che soffre di tutto: soprattutto mancanza di prodotti nuovi, completi, totali. Per anni la parola “innovativo” si è sposata non con la sostanza ma con il colore, al massimo la velocità e purtroppo la fragilità. Ma dove hanno lavorato tanto i produttori di motoscafi, il layout degli interni per esempio, la barca a vela è per troppo tempo uguale a se stessa, con i letti a cuccia, i bagni strettini, le scale ripide. Mancano anche le vocazioni. Si, mancano i velisti. Ma fermiamoci al prodotto barca, intanto il processo del design che ha perso una delle connotazioni fondamentali della epoca eroica della barca a vela, la figura del progettista velista, di quello che viveva su quello che disegnava e sul mare con una sensibilità di prodotto particolare. In questo panorama, tuttavia le novità ci sono e guarda caso è proprio il gruppo Beneteau che trasforma le suggestioni innovative degli anni scorsi, proposte dai designer più aggressivi, in prodotti di serie prendendo il buono che ha scoperto. Significa che ci si può fidare finalmente a proporre il nuovo che sembrava solo “strano”. Beneteau è partito dal progetto pilota dei Sense e poi ha applicato quello che era stato digerito meglio alla gamma Oceanis, quella da crociera per elezione, che è sempre stata piuttosto classica anche quando era innovativa. I nuovi Oceanis hanno per esempio la carena con lo spigolo a poppa, una forma presa a prestito dalle barche che fanno le regate in oceano (la cui utilità possiamo anche discutere nella crociera), ma soprattutto mettono mano agli aspetti funzionali dentro e fuori in maniera decisa, con spazi diversi, forme diverse. Al momento i modelli nuovi sono tre 41, 45 e 48 piedi, a testimoniare la contaminazione con il mondo del motore e il desiderio di attrarre motoristi pentiti, succede che sulla tuga svetta il roll bar tipico dei motoscafi. Più “normale” il lavoro fatto da Jeanneau con la serie 379, 409, 439, 509, modelli presentati nell’ultimo anno. Il 509, con qualche difettuccio superabile, è una barca davvero completa che dice comunque qualcosa di nuovo nel settore delle ammiraglie medie. Con quindici metri sotto il sedere si può partire per il giro del mondo (anche se esistono molti che lo hanno fatto con barche più piccole) avendo a bordo quelle dotazioni che fanno comfort e autonomia, come il dissalatore, il generatore, talvolta l’aria condizionata, oppure fare una vita quasi terrestre con spazi adeguati, letti grandi. Per gli amanti dell’oceano, delle traversate atlantiche il cantiere francese Amel, fondato da un caparbio personaggio che ha inventato una filosofia del mare, propone il nuovo 55 piedi. La filosofia generale è la vecchia: pozzetto centrale, poche cabine tanta autonomia con molto spazio per chi vive davvero a bordo. La carena e molte funzioni però sono tutte nuove come uno stile degli interni un poco meno spartano. E’ uno dei pochi esempi di barca davvero da crociera, su cui passare anche quindici, venti giorni in navigazione vivendo una vita quasi normale. Molto diverso dal fermarsi ogni sera in un porto con ristorante. Interessante la novità del cantiere danese X Yachts, che con XP 44 presenta una barca da regata crociera, una formula ancora molto usata, in cui dedica più attenzione del solito agli interni, non tanto dal punto di vista della qualità e quantità delle finiture quando da quello degli spazi, delle altezze sopra i letti, delle funzioni. Di tendenza la barca disegnata da Alessandro Vismara e dotata di motore ibrido: oltre al tradizionale diesel un motore elettrico che può funzionare anche da generatore. L’autonomia in regime elettrico è di sei ore, le cabine per i suoi quindici metri sono solo due, ma molto comode. Il panorama dei cantieri italiani è meno brillante, Del Pardo cerca di uscire da una crisi molto dura e presenta un nuovo 39 piedi, numero scelto non a caso, perché il vecchio Grand Soleil 39 è stato uno dei modelli del cantiere, che tuttora conserva una valutazione da usato superiore a molte barche che ne erano concorrenti. La produzione del cantiere di Forli è destinata a cambiare con l’arrivo del nuovo manager e una revisione completa di tutta la gamma che molto probabilmente crescerà di dimensioni. Novità possono arrivare dal cantiere SeRiGi, entrato nell’orbita del vecchio proprietario di Del Pardo, il 37 presentato al Salone di Genova è una “bomboniera”, una piccola grande barche che può piacere a chi sta facendo una operazione di downshift, cioè a chi arriva da dimensioni maggiori e che vuole ritrovare finiture di pregio su una misura più gestibile. La sua tradizione è quella di costruire barche di qualità assoluta, che hanno vissuto alcune stagioni importanti, come concorrente nostrano dei più forti cantieri dell’Europa del nord. Era una scelta particolare di pochi armatori, ma che li ha resi spesso felici. La sua produzione è slittata verso modelli da regata crociera più contemporanei.

Un tempo, mica tanto lontano, i progettisti pensavano solo a riempire come possibile una carena “perfetta”, un’idea che non ha abbandonato alcuni progettisti molto innamorati delle loro forme e troppo sicuri che per le prestazioni non si debba scendere a compromessi. Mah.. il tempo passa per tutti e sono arrivati nuovi strumenti per il progetto e alcuni cantieri furbi hanno capito che era del tutto inutile torturare chi dormiva in dinette con una landa che passava in mezzo al letto, da circondare con le gambe. Qualcuno insomma ha cominciato a capire che spostando un poco il letto si riusciva a mantenere un livello di comfort più umano e la barca non cambiava, oppure che quella landa poteva tranquillamente essere ancorata in un’altra posizione. Sono stati decisivi programmi di modellazione a tre dimensioni che erano impossibili da concepire ai tempi dei piombi e le listelle di pero e dove stava tutto alla sensibilità del progettista “sentire” il vlume. Ma quella nuova è anche una filosofia che cambia leggermente il punto di vista: la barca vista come progetto totale, non come carena riempita. Del resto le automobili sono fatte così: si parte da un abitacolo con misure “ergonomiche” (e questa parola è sempre usata a sproposito nella nautica, tanto che andrebbe abolita) una cellula vitale che definisce la classe della vettura a cui si aggiunge il resto. Le auto sono cresciute di dimensione, per inciso, a parità di cellula per rispettare le norme anti crash e quindi migliorare il livello di protezione. Il modo distratto di gestire gli interni delle barche non è mica abolito del tutto, capita di salire a bordo di novità dove si capisce che l’attenzione dedicata allo spazio è minore di quella dedicata al piano velico. Eppure quattro o sei letti pesano uguale, che siano fatti bene o male, un frigorifero pure, un tavolo da carteggio anche. Spesso il risultato non è una questione di peso, di costo, ma solo di attenzione e volontà. In questa trappola non è caduto il grupo Beneteau, che sta producendo una innovazione tremenda. Il pianetto è quello del nuovo Sun Odyssey 509, una bella macchina da crociera. Ma più si sale in dimensione peggio è, perché alle necessità veliche si aggiungono quelle stilistiche secondo una bizzarra visione del design minimale, nato per togliere la inutile decorazione e premiare la funzione e finito per essere decorazione talvolta senza funzione. Povero Van der Rohe: “the less is more…”. Ma questa è la storia del Post Moderno che vi lasciamo scoprire. Facciamo un esempio? La cabina marinaio… chi possiede un sessanta piedi ha per forza un marinaio: ricco, anche se sa navigare, non vuole lavare il ponte. Il marinaio si contenta, ma perchè su un Beneteau 50 da noleggio si quindici anni fa il problema era risolto con lusso di spazio e su un bestione di oggi non si riesce e si va alla ricerca di alibi, giustificazioni sul fatto che non si fa più grande crociera? E’ strano come alcune esperienze forti di layout di interni, come il progresso di qualche anno fa nell’uso del volume si sia un poco perso per strada. Le cause? Mah da una parte forse l’innamoramento da parte dei cantieri verso una generazione di progettisti troppo giovani usciti dalle scuole di design che hanno per il momento portato innovazione solo nel colore e negli spigoli inutili. Poi forse la atavica necessità di riscoprire l’ovvio.

La fuga di notizie (distrazione?), dicono non voluta, che ha reso disponibile il PDF delle decisioni del consiglio di amministrazione ha accelerato di colpo la tabella di marcia di Luna Rossa, che si stava muovendo nel limbo del vedo non  vedo. Tanti tra gli addetti sapevano ma tutti aspettavano con pazienza che la notizia, da qualche parte uscisse dal “si dice” per entrare in un altro ambito, quello del “si fa”. Partizio Bertelli, si sa, non riesce a stare lontano dalla Coppa America che affronta per la quarta volta. Ricostruendo i fatti la decisione è stata presa dopo l’estate e dopo le regate delle World Series AC45 di Plymouth, dove Patrizio ha fatto una istruttiva passeggiata per parlare con il direttivo di ACEA, oltre a Russel Coutts Richard Worth e Craig Thompson. Li ha cominciato a convincersi… ma poi c’è voluta ancora qualche settimana di indagini e di progetti di fattibilità. Non lo ha mai detto esplicitamente, ma si capisce che Bertelli si è convinto che questa Coppa America sarà comunque Coppa America.

L’ipotesi che affascina è quella che vorrebbe una collaborazione progettuale con Emirates Team New Zealand, e il si di Grant Dalton e Matteo De Nora (l’uomo che da anni sostiene i kiwi, armatore di due splendide barche dal nome Imagine) è una ipotesi possibile anzi probabile. I kiwi hanno iniziato a progettare il catamarano quando ancora non si era certi della sua “esistenza” così come avevano fatto con il monoscafo di 90 piedi che sembrava dovesse diventare la nuova barca durante l’era Bertarelli (Alinghi). La Coppa America resta, cat o monoscafi, un gioco che si gioca al 95% prima delle regate vere e proprie, con design, costruzione, organizzazione, allenamento. Quando ti presenti sulla linea di partenza puoi solo validare il tuo lavoro, portare a casa il risultato. Lo sa bene del resto Bertelli che nel 2003 ha voluto salvare una barca nata male con una prua nuova, senza peraltro cambiare le sorti della sua partecipazione. Questa Coppa cambia un poco il gioco: gli AC45 delle World Series rispondono alle regole dei monotipi: si vince con la perfezione della conduzione,  finora gli specialisti delle match race sembrano avere la meglio su quelli dei multiscafi e la generazione matura non è a disagio. A kiwi cosa può interessare? Beh dalle loro parti hanno belle università ma non industrie aeronautiche attive come le nostre, inoltre aggiungere ai loro una nuova pattuglia di progettisti porta di per se una amplificazione notevole della mole di lavoro che si può sviluppare per essere competitivi nei confronti degli americani.  Uno dei panorami ipotizzati dagli osservatori stranieri (tradotto – i blogger)  è che si costruiscano due barche 1 simili per poi differenziare i progetti e avere la possibilità di raccogliere più dati. Affascinante, però succede che non ci sono i tempi per navigare e costruire un secondo scafo che raccolga le modifiche necessarie. Però in questo modo la prima barca di Luna Rossa potrebbe anche essere costruita parzialmente in Nuova Zelanda: non può partecipare alla Coppa, ma può essere disponibile al più presto. Del resto la regola sulla nazionalità dello scafo è piuttosto blanda, riguarda il minimo richiesto per restare nell’ambito del Deed of Gift (a proposito, per questo ogni ipotesi di correre con gli AC 45 o con degli AC 72 monitipo come figurata da qualcuno non è realistica, prima della Coppa non si riesce a modificare il Deed of Gift) e non dovrebbe essere difficile costruire in Italia solo lo stretto necessario. Gli svedesi d’altra parte stanno costruiendo in Italia molte cose. Iniziando nei primi mesi del 2012 la costruzione dell’AC72 si può navigare dopo l’estate. Ogni scafo AC 72 costa tra i 5 e gli 8 milioni, ogni ala tra 2 e 3. Visto il budget ci potrebbe anche stare un secondo scafo.
La storia della Coppa del resto ci regala un esempio storico di collaborazione, anche se un poco diversa. Durante la Coppa dell’83 esisteva una barca gemella di Australia II, ma senza le famose alette e senza lo sviluppo che questa aveva avuto con un equipaggio davvero professionista. La raccolta dati di Challenge 12 comunque era servita molto a Ben Lexcen.
Altra questione: chi sarà lo skipper? Beh il team leader dovrebbe essere Max Sirena veterano di Luna Rossa e attuale skipper del cat Extreme 40. Con Max viaggia una pattuglia di uomini che erano dentro Bmw Oracle, alcuni progettisti italiani e stranieri (non mancano i kiwi amici di ETNZ). Un timoniere sarà di certo il giovane e valido Paul Campbel Jones. Resta da capire l’uomo forte dell’equipaggio. I blogger hanno indicato Ben Ainslie, uno dei più forti in circolazione, vincitore di Olimpiadi e molto altro.londra.. però. Intanto è di sicuro impegnato nelle Olimpiadi del prossimo anno a Falmouth (sede del campo di regata per  Londra) cui difficilmente rinuncerà anche coperto d’oro e questo potrebbe essere un problema più delle dichiarazioni di odio verso la Coppa rilasciate recentemente. Ben faceva parte della squadra messa in piedi da sir Keith Mills (per inciso l’uomo che è stato determinante per portare le Olimpiadi a Londra) assieme a Iain Percy (ora tattico per James Spithill).  Ainslie per carattere vuole timonare, non gestire. Probabile che ci sia, ma non come pilone centrale dell’equipaggio, come componente eccellente si.
Finora non abbiamo scritto del più probabile: Francesco Checco Bruni da Palermo. Cordiale amico di Agostino Randazzo presidente del palermitano Circolo della Vela Sicilia che ha lanciato la sfida. Checco è stato per anni sottovalutato dentro Luna Rossa, ma appena gli hanno messo in mano un altro timone, quello di Azzurra, ha vinto.  Ha l’età e la passione giusta. Secondo noi è l’uomo scelto che ancora non esce allo scoperto perchè ha impegni da concludere con la maglia di Azzurra: il circuito di match race che termina in Malesia a fine novembre. Dicono che il fratello Gabriele Ganga sia già dentro il team. Probabile.

La prova di una voce che girava da tempo nel mondo della nautica è arrivata nella notte di giovedì dal sito di Farevela. L’amico Tognozzi ha scovato una bella delibera del consiglio di amministrazione di Prada Spa che ha indicato a Prada Sa, sua controllata, di sponsorizzare la nuova avventura di Luna Rossa per la 34 esima edizione della Coppa America con un budget di 40 milioni di euro. Il soldi sono quelli che servono per fare una bella campagna. Dopo molte smentite insomma Patrizio Bertelli ha finalmente visto la possibilità di essere competitivo nella prossima edizione ed effettivamente, a dispetto di quanto dicono in molti, arrivare in alto non è difficile. In termini strettamente economici si può arrivare alla fase semifinale della Louis Vuitton Cup con un budget della metà di quanto è servito nel 2007 a Valencia. La chiave della faccenda sta nella possibilità di condividere il design con altri sindacati e nella possibilità di acquistare un pacchetto “standard” messo a disposizione di tutti per volontà del defender per un prezzo quasi simbolico, in confronto di quando sarebbe costata la ricerca non tanto in denaro quanto in tempo. Questa che in realtà è una rivoluzione non è stata ben compresa da tutti quando è stato divulgato il Protocollo e in molti si sono concentrati sui vantaggi che gli americani tenevano per loro piuttosto che su questa opzione che somiglia un po’, per intendersi, a quando in F1 si usavano i motori Cosworth. Ma in fondo questa è una cocnreta possibilità di rendere più competitivi i sindacati più deboli. Infatti praticamente tutti gli sfidanti a parte svedesi e kiwi, partono dal pacchetto base. Ma Luna Rossa, il sindacato dovrebbe essere gestito da Max Sirena con una quota di vecchi leoni presi tra i diciotto italiani che hanno vinto la Coppa nel 2010 con BmwOracle, potrebbe fare di più e cioè lavorare assieme a uno dei due sfidanti che hanno davvero fatto ricerca. Difficile che Artemis di Paul Cayard voglia condividere con altri le sue scoperte, mentre questa opportunità potrebbe esistere con Emirates Team New Zealand che dispone di progettisti molto bravi. Certo, a New Zealand bisogna dare buoni motivi per condividere… e questi possono essere economici (pecunia non olet neanche in Nuova Zelanda) oppure più concretamente sportivi: in due l’assalto agli americani può essere più efficace. In realtà Luna Rossa può diventare subito un sindacato forte, per i kiwi sarebbe meglio avere a disposizione un sindacato “medio” che non li batte sull’acqua ma che è utile alla valutazione delle prestazioni. Quindi l’opzione più concreta è che gli uomini di Bertelli partano dal progetto base con un loro team di progettisti per evolverlo. Il piano di battaglia è simile a quello che è circolato per altri team che in queste settimane stanno lavorando per tentare la sfida. Per Luna Rossa sono state anche determinanti le scelte delle regate a Venezia e Napoli che ci saranno sia nel 2012 sia nel 2013. Napoli sembra più avanti di Venezia nei preparativi, ha già una società di scopo. Adesso concluso il campionato Extreme 40 Luna Rossa sarà in campo con gli AC45 nelle America’s Cup World Series dal prossimo anno con le prime regate nell’emisfero australe. Il timoniere potrebbe essere Ben Ainslie affiancato dal giovane Campbel Jones, che al momento guida con successo l’Extreme 40. L’arrivo di Luna Rossa potrebbe stimolare e addirittura aiutare qualche altro sindacato che è in corsa per lanciare la sfida. InItalia si comincerà presto a parlare di Coppa America e sarà un bel risveglio, dopo tante critiche non sempre utili che sono state fatte al cambio di barche e di regole.

A Plymouth il secondo evento delle World Series della America’s Cup. Segue Cascais, avvenuto in pieno agosto. La novità per il popolo della Coppa America sono stati come sappiamo i catamarani con la vela rigida alare, una riduzione del mostruoso (per dimensioni) BMW Oracle che ha vinto nel febbraio 2010 cui è seguita la decisione di Russell Coutts di proseguire per quella strada. I velisti “tradizionali” hanno fatto una bella polemica sul fatto che si cambiava radicalmente il modo di fare le regate, per loro era anche un problema di mera disoccupazione: la paura del cambio generazionale, l’incertezza di un programma che è ancora da definire nei dettagli, cambiato più volte. Ma il vero problema della crisi della Coppa non è stata la scelta delle barche, quanto proprio questa difficoltà a definire un calendario credibile di eventi. Se si rileggono le intenzioni di un anno fa sembrava che senza un budget di 80 milioni non fosse possibile entrare in gioco. Adesso bastano 25 ben spesi per arrivare in semifinale e si partecipa al gioco degli AC 45 con 5/6.  
Curiosità delle differenze? Tanto per dare una misura, la vecchia Luna Rossa portata da diciassette uomini faceva al massimo, in condizioni normali, dodici nodi. Questi catamarani di tredici metri vanno abitualmente al doppio e possono raggiungere i trenta con facilità. Difficile seguirli con il gommone, gli arbitri in acqua usano delle moto d’acqua per essere più rapidi e le decisioni vengono prese con l’aiuto delle immagini in televisione e comunicate via radio, poi capita che le luci rossi di bordo siano guaste e gli equipaggi non si accorgano delle penalità nella confusione. Il pubblico non si accorege delle proteste perchè non c’è più la plateale alzata di bandiera su cui indugiava la camera on board.
La novità dunque sono le barche, ma quello che tutti si aspettavano era anche il cambio generazionale. In tanti hanno pensato che fossero i giovanissimi i nuovi eroi del timone: riflessi freschi, agilità, voglia di vincere. Mica vero: i vecchi leoni del match race sono andati a scuola di catamarani e hanno imparato presto. Della serie il talento non è acqua, chi è bravo resta bravo. Così i più efficaci restano i soliti noti: Dean Barker timoniere di Emirates Team New Zealand, James Spithill con Oracle, Terry Hutchinson di Artemis. Anche il datato Russell Coutts è riuscito a entrare in semifinale, mostrando agilità e nervi saldi con il suo equipaggio di cinquantenni. In realtà smetteranno per far posto a un equipaggio giovane. Quello che doveva far paura a tutti era l’espertone francese di multiscafi Loik Peyron: succede però che alla fine in qualche occasione sa sfruttare meglio la barca, ma la classifica non lo vede facilmente nelle parti alte. Insomma, quel che si capisce è che sono cambiate le barche ma che il modo di vincere resta lo stesso: organizzazione, allenamento, istinto, talento. Qualcosa di simile è successo anche con regate di altura come il giro del mondo a vela: quando sono arrivati i velisti più raffinati e tecnici usciti da Coppa America e Olimpiadi hanno chiuso la partita contro gli oceanici che pensavano di essere più marinai. Ci hanno messo meno i tecnici a diventare marinai che il contrario.
A Plymouth il pubblico ha assistito alle regate dal prato che è stato dei grandi ammiragli della Royal Navy dei secoli scorsi, dove passeggiavano in attesa di nuove campagne di guerra: il viceammiraglio Francis Drake, il pirata della regina Elisabetta e lord Howard hanno atteso qui la marea giusta per scatenare la flotta reale contro la Grande Armada, poi demolita dalle navi incendiarie, dalla tempesta e della ferocia degli irlandesi che hanno distrutto e ucciso tutto ciò che naufragava sulle loro coste.  
Il pubblico è una bella novità del nuovo formato tanto criticato: non in mezzo al mare dove neanche i binocoli bastano e per conquistare un posto in barca spettatori ci vogliono decine di euro. La televisione si capisce che fa del suo meglio e che può migliorare molto nella spettacolarità, quando i registi avranno imparato a usare le camere di bordo con più efficacia e tempismo. Le regate di match race sono state vinte da Emirates Team New Zealand, quella di flotta da Oracle – Spithill. Dopo Plymouth la flotta si sposta a San Diego per l’ultimo evento del 2011. Si ricomincia in gennaio nell’emisfero australe, con un evento a Brisbane. Si sa che al 99% scenderà in campo Luna Rossa, al momento dice solo per partecipare al circuito degli AC 45  e non alla Louis Vuitton e alla Coppa America che saranno nella primavera estate del 2013 con gli AC72, potrebbe esistere un progetto dell’ultima ora. C’è fermento per l’arrivo di altri sindacati italiani, dopo la conferma di ben quattro eventi in Italia due a Venezia e due a Napoli, che diventano un palcoscenico importante per gli sponsor italiani anche con interessi internazionali.

Dopo la sconfitta del 34 sir Thomas Sopwith lancia una nuova sfida e prepara un nuovo Endeavour. Vanderbilt, che ha rischiato molto nella precedente edizione per difendere la Coppa, lancia il progetto di Ranger, ancor oggi considerata una barca insuperabile, che ha tutta l’eleganza dei J Class e la potenza delle dimensioni. Il progettista Starling Burgess è affiancato da Olin Stephens, un ragazzo che saprà portare un approccio scientifico prima sconosciuto, e da un pool di tecnici che si occupano delle diverse parti dello scafo. Il giovane Stephens segue le prove in vasca con Kenneth Davidson. Probabilmente disegna anche gran parte della carena che alle prove risulta più rapida. Il risultato è eccellente: Ranger domina, è una barca che nasce veloce e fortunata. Nella sua breve vita regaterà trentasette volte, perdendo solo tre regate. Quando i due giganti sono finalmente a confronto di fronte a Rhode Island ci si aspetta qualcosa di davvero spettacolare, un duello sanguinario. Invece nella prima prova Ranger liquida l’avversario con facilità, lasciandolo tagliare il traguardo con diciassette minuti di ritardo. La seconda prova, ancora con vento leggero, finisce in maniera simile: diciotto minuti. Con il vento più fresco della terza e della quarta prova il distacco scende a quattro. La Coppa resta in America, e con la seconda guerra mondiale si apre un periodo molto triste per il mondo e la Coppa stessa. Gli stupendi J Class finiscono quasi tutti demoliti per ricavare materia prima. Ranger era costruito per non durare con materiali che si deteriorano rapidamente. Restano Velsheda, Endeavour I e II, Shamrock V, restaurati in vari momenti. Nel 2005 è stata completata una bella copia di Ranger.

Da quella edizione inizia la lunga e felice carriera di Olin Stephens: iniziò come spalla e concorrente all’interno del team di Starling Burgess ai tempi dell’innovativo Ranger. Un po’ di fortuna della sua fortuna la deve al broker Drake Sparkman che ne intuì il genio e gli offrì di fondare lo studio Sparkman & Stephens. Come Herreshof ha vinto sei volte la Coppa: dopo Ranger con Columbia, Constellation, Intrepid, Courageous e Freedom. Sulla scena dal ’37 all’80, fino a pochi anni fa, era possibile incontrarlo ultranovantenne sulle banchine delle regate più famose. Dopo barche degli anni Trenta come Stormy Wheater e Dorade e l’aver partecipato ai tavoli che hanno scritto le regole di stazza. Nel suo studio hanno lavorato, anche per pochi mesi e come ragazzi di bottega, molti dei progettisti più importanti.

Era l’unico sindacato italiano iscritto alla Coppa America, dopo la rinuncia di Mascalzone Latino, ed è stato cacciato in malo modo dall’organizzazione. Il comunicato diffuso dal direttore delle operazioni di regata Iain Murray non lascia scampo a interpretazioni. ”Dopo lunghe discussioni – dice Murray – e diversi tentativi di risolvere la situazione nei tempi previsti, era stato raggiunto un accordo che imponeva allo sfidante di soddisfare certi obblighi entro questo week end e i tempi sono scaduti”. Erano giorni che il tam tam dei velisti si rincorreva: si sapeva che quelli arrivati a Barcellona per montare la barca il catamarano con vela rigida classe AC45 con cui era in programma la partecipazione alla prima regata erano tornati a casa: l’organizzazione gli impediva di prendere possesso della barca che nel frattempo era offerta ad altri potenziali concorrenti. A quanto pare il giovane sindacato italiano, che ha lanciato una sfida attraverso il Circolo Canottieri Roggero di Lauria di Palermo, non ha ottemperato tutti gli obblighi previsti per la partecipazione, quasi certo il pagamento della barca e dice radio banchina anche che la tassa di iscrizione sarebbe stata solo promessa ma mai iversata per intero. La manovra potrebbe anche essere l’inizio di una ennesima battaglia legale, soprattutto in considerazione delle affermazioni del team. “Quanto dichiarato – scrivono nel comunicato diffuso a risposta – è una interpretazione unilaterale che non ha visto coinvolta la Giuria indipendente. Venezia Challenge contesta integralmente, in fatto e in diritto, le comunicazioni e i provvedimenti presi dall’organizzazione in evidente contrasto con le procedure previste per l’esclusione dei team dal Protocollo stesso. Il management sta lavorando, mantenendo il dialogo con l’organizzazione, per dirimere le contestazioni asserite al fine di continuare con serenità le attività tecnico/sportive da tempo già avviate. Il team Venezia Challenge, presente a Lisbona, sta rispettando il programma stabilito tecnico/sportivo senza alcuna variazione”.
Quel che si sa è che gli americani hanno scritto il Protocollo con un ampio spazio di manovra e che fin dal primo momento era previsto che un sindacato sfidante potesse essere escluso. E’ stato uno dei motivi di polemica e di malcontento. La partita si gioca sulla tassa di iscrizione e sugli acconti dovuti per la barca che di fatto ne sono parte integrante secondo l’articolo 9.3 del citato Protocollo: “Entro il 10 giugno 2011, tutti i concorrenti devono stipulare un accordo con ACRM per l’acquisto di almeno un AC45, e devono aver pagato l’iscrizione con un deposito non rimborsabile di ACRM. Se un concorrente non è in grado di farlo cessa di essere ammissibile all’evento e a tutti i diritti ai sensi degli Articoli 5, 27 e 41”.
Venezia Challenge, che era già nei guai con la città di Venezia per l’uso del nome della città con la previsione di cambiare, tocca l’onere di dimostrare che le date sono state rispettate: senza la regolarità delle quote non si può accedere alla condizione di vero “sfidante” o iscritto al circuito AC 45 e quindi l’intervento della Giuria indipendente non sembra necessario. C’è un però… nei comunicati ufficiali Venezia è citato più volte come sfidante ufficiale e il Protocollo prevede che possano esistere “late entry” cioè iscritti in ritardo. Anche per questo finora c’era stato un margine di discrezionalità che Russell Coutts (lo skipper di Oracle e in questo momento uomo di riferimento) sembra non voler più applicare nei confronti di Venezia Challenge ma che ha usato per altri. Sintomo di una antipatia reciproca, costruita nelle scorse settimane e di qualche posizione non digerita da Coutts che in realtà sta facendo di tutto per portare almeno dieci barche della classe AC45 a Cascais dove iniziaranno gli eventi del primo campionato della nuova classe. L’Italia corre il rischio di restare senza un sindacato che la rappresenti, dall’83 siamo mancati solo una volta dove era prevista una selezione sfidanti, nel 95 a San Diego quando la crisi economica era più stretta. Nell’88 e nel 2010 le sfide erano chiuse a due soli team, con un solo challenger. Venezia Challenge sperava in un finanziamento del Ministero dell’Agricoltura e stava lavorando con altri sponsor e con sistemi di finanziamento che coinvolgevano il Web, l’interesse del pubblico. Adesso gli “orfani”, difficile che Venezia Challenge possa davvero tornare in lizza per come sono messe le cose, sono in cerca di un salvataggio. Qualche cosa potrebbe succedere. Si sa che Luna Rossa ha una mezza intenzione di partecipare al circuito dall’anno prossimo. Anche Azzurra potrebbe risvegliarsi e qualcuno potrebbe capire che arrivare alle semifinali non è mai costato così poco.