Si corre a Newport e gli americani schierano una grande novità.  Si chiama Intrepid, è disegnato da Olin Stephens e raccoglie i frutti della maturazione del grande progettista che mette in acqua una barca carica di novità, che non a caso riuscirà a difendere la Coppa con successo per due edizioni. La novità più grande è che per la prima volta il timone si separa dalla chiglia, un’idea che aveva già provato Dick Carter su alcuni ocean racer. In questo modo il controllo della direzionalità della barca e le manovre per il “match racing” sono molto più facili. Dietro la pinna di deriva resta una pala più piccola che diventa un “trim” ovvero lo  strumento per rendere asimmetrico e quindi più efficiente il profilo. Dello studio newyorkese fa parte anche l’italiano Mario Tarabocchia, che resterà per molti anni una colonna portante.
Olin inoltre costringe sette persone dell’equipaggio a lavorare sottocoperta, dove colloca gran parte dei verricelli e dei coffee grinder. Dall’esterno quando naviga di bolina la barca sembra deserta, si scorgono solo tre persone che si muovono: timoniere, tattico, tailer. Qualche volta compare il prodiere. Nel tempo questo modo di impiegare l’equipaggio verrà impedito dai regolamenti.
Gli sfidanti sono gli australiani: da Sydney arriva Dame Pattie dell’armatore Emil Christensen timonato da John Sturrock e disegnato da Warwick Hood. Gli australiani issano vele realizzate con un materiale che chiamano kadron: non funziona bene quanto il dacron di Ted Hood. Così il confronto è impari e Bus Mosbacher conduce Intrepid senza troppi problemi verso il quattro a zero. Intrepid si esprime in boline impressionanti, frutto delle linee di carena ma anche delle vele americane.

Al link che segue la scioccante relazione tecnica di cui scrive nel commento all’articolo “Comandanti ex Eroi” Dudi Coletti, velista di grande esperienza che dopo aver fatto parte di molti equipaggi importanti a partire dal Moro di Venezia è stato istruttore e ora è comandante di un megasailer

Con i recenti provvedimenti del Governo in tema di tassazione alla nautica rivediamo quello che abbiamo già vissuto ai tempi del ministro Goria, il primo Grande Affondatore del settore nautico con il primo redditometro. Se allora gli strumenti di intelligence e tracciatura di spese e altro erano pochi e si poteva almeno dare una spiegazione (non una giustificazione) adesso la situazione è molto più evoluta. Le passeggiate dei finanzieri lungo i moli alla caccia di “possessori” di barche sono del tutto inutili. Coreografia per scrivere qualche comunicato stampa. Sarebbe molto più utile usare le stesse energie per scovare in altro modo gli evasori, con un lavoro di intelligence vera fatta a terra. Ci sono flussi di denaro che sembra impossibile non vengano mai percepiti, rivelati, scovati. Il primo duro colpo alla nautica da diporto contemporanea, quello inferto dalla Agenzia delle Entrate con gli accertamenti del 2008/9 quando ha voluto riscrivere la legge sul leasing dimenticando che era stata scelta una visione “forfetaria” dal legislatore (ma l’intenzione del legislatore ha un valore nella interpretazione o no?) e interpretando a modo suo le premesse della legge (aiuti all’Industria Nautica) non è servito a nulla. A fronte di 400 (quattrocento in lettere) procedimenti un incasso ridicolo dopo contestazioni infinite (molte perse) ma la paralisi del settore con un danno immediato ben maggiore. Mancato introito di Iva e non solo: aziende chiuse con un ulteriore aggravio sociale. Adesso la situazione già grave diventa paradossale. Fuga dai porti, barche a terra. Nessuno verrà a navigare in Italia. Era già successo con la brillante tassa sul lusso della Regione Sardegna: i ricchi (quelli veri con i sessanta metri) avevano rinunciato alla Costa Smeralda per principio più che per il prelievo al portafoglio. Il Governo e chi scrive questi provvedimenti si dimentica che il Turismo è un prodotto in concorrenza, siccome non è obbligatorio navigare in Italia dove anzi è spesso scomodo e difficile i turisti li perderemo. Tornando a Goria bisogna ricordare le sue motivazioni, le stesse di adesso: colpire un settore piccolo ma di immagine. Indorare la pillola della severità. In fondo il settore nautico, di forte immagine ma di pochi denari, vale in Italia molto poco, soprattutto se si considera il solo mercato domestico e si dimenticano le esportazioni. E’ un po’ come quando il generale Badoglio mandava i fanti allo sbaraglio, per vincere una guerra di posizione più strategica. Questa guerra adesso si chiama risparmio forzoso. La nautica ha perso, non ci saranno marce indietro. Abbiamo perso anche perchè la categoria del diportista non è una categoria rappresentata, difesa. Anzi, nasce con il complesso di colpa che ha radici sociali profonde. Eppure la barca, la nave restano un mezzo di trasporto che hanno fatto il mondo, le scoperte, la pesca, il viaggio. Una funzione ormai perduta nell’immaginario collettivo. Resta molto difficile dimostrare che per decine e decine di persone la barca è uno strumento di vacanza che costa meno di una seconda casa qualsiasi.

Epaminonda Ceccarelli ha avuto un ruolo importante nella mia vita di velista e giornalista nautico: lo incontravo al Bagno Nettuno di Marina Romea mentre armava il Flying Junior del figlio Giovanni. Era molto migliore del vecchio Alpa con cui io e Piero Gueltrini (adesso il farmacista di borgo San Biagio) sfidavamo quasi ogni pomeriggio il benevolo mare Adriaticio. Soprattutto non ci capivamo niente… Epaminonda riempiva le vele di scottine di cui non capivamo l’uso. In realtà si trattava di normali regolazioni…e noi eravamo molto junior. Pochi anni dopo navigavo su un EC 26 per le prime grandi imprese della post adolescenza: traversata Lavagna St Florent, giro della Corsica, Bocche di Bonifacio, Mistral. A pensarci bene adesso non so se mi ci metterei di nuovo a combattare con quaranta nodi su sette metri e mezzo, ma ci siamo riusciti bene. Per molti anni ho posseduto Secondanita, un minitonner  costruito con e per il figlio Giovanni. 
Quando sono riuscito a trasformare una passione forte nella mia vita quel simpatico signore cui al’inizio chiedevo voracemente “come funzionano la barche” mi ha sempre seguito e letto. Con la sua esuberante curiosità mi chiedeva sempre cosa avevo visto sulle banchine lontane, quella grande voglia di capire e scoprire lo ha fatto crescere fino all’ultimo giorno.
E’ stato un uomo di passione e ragione, uno di quelli che camminano forte perchè sanno che la passione senza ragione non è capace di produrre risultati. E viceversa. Avrei dovuto seguire meglio qualche suo consiglio di vecchio marinaio, questo lo so. Aveva compreso alcune insidie, gelosie, che io avevo invece sottovalutato. Insomma certe cose le aveva viste bene, anche da lontano, dal suo osservatorio di via Sarti.

Antonio Vettese

Il suo curriculum:
Epaminonda Ceccarelli era nato Ravenna 18-1-1925, dove ha abitato e lavorato. Aveva conseguito la maturità presso il Liceo Scientifico nel 1944 e si è laureato in Ingegneria a Bologna nel 1952 con una tesi in Costruzione Aeronautica. Nel 1954 con una Borsa studio del Ministero dell’ Aeronautica ha avuto accesso ai corsi di Laurea in ingegneria Aeronautica presso l’ateneo di Roma.
Ha esercitato da subito la libera professione ed ha aperto uno Studio di progettazione con due anime che entrambe hanno sempre mostrato la sua esuberante intelligenza e creatività: una architettonica/ingegneristica per la progettazione di opere edili, la seconda è nautica, rivolta alla progettazione di imbarcazioni da diporto che ha sempre amato profondamente, come ha amato quello che chiamava l’Adriatico Selvaggio, il suo mare. Abbinando le due vocazioni si è dedicato anche alla portualita’ per la nautica da diporto.
Nell’ambito edilizio ha realizzato viadotti e ponti in muratura e una lunga serie di abitazioni, quartieri come quello vicino allo Stadio di Ravenna, oltre a importanti opere nei centri storici. Amante della materia e del cemento a vivo monolitico che ha plasmato in forme che hanno vissuto suggestioni prese dalle forme morbide aeronautiche, è considerato un innovatore e partecipe del linguaggio architettonico del nuovo razionalismo italiano. Alcune sue opere fanno parte della storia dell’architettura. Fra le sue opere importanti sono: il progetto integrale e la realizzazione per la multi nazionale Johnson Wax della sede italiana a Arese, dopo aver vinto il concorso internazionale negli Stati Uniti; nel1963 con una serie di opere architettoniche ha vinto il premio nazionale di Architettura INARCH del Ministero della Cultura a Roma per la regione Emilia e Romagna; ha progettato e realizzato il a Cervia per a 500 imbarcazioni il primo porto turistico costruito in Adriatico.
Nel settore nautico si è giovato di una decennale esperienza sportiva iniziata nel 1948 dove ha vinto anche in campo internazionale con la classe Snipe. Nella progettazione ha lavorato come designer per molti Cantieri dove ha realizzato imbarcazioni per la serie oltre scafi in legno one off per il Cantiere De Cesari, mettendo a frutto la sua esperienza aerodinamica che ha trasferito  nelle barche. Ha realizzato il cantiere e il logo del cantiere Classis, dedicato alle costruzioni in serie di vetroresina. Il primo scafo di questo materiale costruito in serie in Italia è nel 1965 il Classis 26, cui segue il Classis 24. Le due barche si affermano anche nello sport vincendo le piu’ prestigiose regate del tempo in Adriatico. Nel 1973 ha realizzato EC 26 progettandolo e realizzando il prototipo che all’estero, primo nella storia della nautica italiana, conquisterà il terzo posto assoluto nella più prestigiosa regata di altura internazionale de La Rochelle. Sotto il logo EC, acronimo del suo nome, ha realizzato una serie di imbarcazioni prodotte da molti Cantieri Italiani tra cui si ricordano il Cantiere Cranchi, Baruffaldi, Alb Sails.
Oggi navigano oltre un migliaio di unità EC, dal Pacifico al Mediterraneo. Ha collaborato con staff progettuali delle due sfide italiane di Coppa America 32 e 33 prima con Mascalzone Latino e poi con +39 challenge dove il figlio Giovanni era il designer principale.
Ha collaborato in seno alla Ceccarelli Yacht Design alla progettazione di diverse unità a motore realizzate in serie in Italia.
L’Ordine Ingegneri dell’Emilia Romagna e quello di Ravenna hanno assegnato due medaglie d’oro nel 52 esimo anniversario dell’esercizio della libera professione.

L’anno scorso il fatturato conquistato all’interno del Gruppo Beneteau dalle barche a motore ha superato quello delle barche a vela. I due marchi principali del gruppo, Beneteau e Jeanneau, hanno sempre fatto la parte del leone nel mercato mondiale delle barche a vela, facendone stabilmente il primo cantiere al mondo. Nonostante gli attacchi portati dal gruppo Bavaria e altri che sono nati nel tempo, come il blocco Dufour- Del Pardo, acquisito da Bavaria dopo un disastro finanziario provocato da un indebitamento eccessivo, peraltro un male comune a molti cantieri finiti in mano ai fondi di investimento. Adesso il gruppo Bavaria tenta il rilancio con il manager Jens Ludman che arriva dalla Ford Europe che ha affidato Del Pardo a Ruggero Gandolfi. Il sorpasso di cui abbiamo scritto è però sintomatico della fatica del mercato delle barche a vela che soffre di tutto: soprattutto mancanza di prodotti nuovi, completi, totali. Per anni la parola “innovativo” si è sposata non con la sostanza ma con il colore, al massimo la velocità e purtroppo la fragilità. Ma dove hanno lavorato tanto i produttori di motoscafi, il layout degli interni per esempio, la barca a vela è per troppo tempo uguale a se stessa, con i letti a cuccia, i bagni strettini, le scale ripide. Mancano anche le vocazioni. Si, mancano i velisti. Ma fermiamoci al prodotto barca, intanto il processo del design che ha perso una delle connotazioni fondamentali della epoca eroica della barca a vela, la figura del progettista velista, di quello che viveva su quello che disegnava e sul mare con una sensibilità di prodotto particolare. In questo panorama, tuttavia le novità ci sono e guarda caso è proprio il gruppo Beneteau che trasforma le suggestioni innovative degli anni scorsi, proposte dai designer più aggressivi, in prodotti di serie prendendo il buono che ha scoperto. Significa che ci si può fidare finalmente a proporre il nuovo che sembrava solo “strano”. Beneteau è partito dal progetto pilota dei Sense e poi ha applicato quello che era stato digerito meglio alla gamma Oceanis, quella da crociera per elezione, che è sempre stata piuttosto classica anche quando era innovativa. I nuovi Oceanis hanno per esempio la carena con lo spigolo a poppa, una forma presa a prestito dalle barche che fanno le regate in oceano (la cui utilità possiamo anche discutere nella crociera), ma soprattutto mettono mano agli aspetti funzionali dentro e fuori in maniera decisa, con spazi diversi, forme diverse. Al momento i modelli nuovi sono tre 41, 45 e 48 piedi, a testimoniare la contaminazione con il mondo del motore e il desiderio di attrarre motoristi pentiti, succede che sulla tuga svetta il roll bar tipico dei motoscafi. Più “normale” il lavoro fatto da Jeanneau con la serie 379, 409, 439, 509, modelli presentati nell’ultimo anno. Il 509, con qualche difettuccio superabile, è una barca davvero completa che dice comunque qualcosa di nuovo nel settore delle ammiraglie medie. Con quindici metri sotto il sedere si può partire per il giro del mondo (anche se esistono molti che lo hanno fatto con barche più piccole) avendo a bordo quelle dotazioni che fanno comfort e autonomia, come il dissalatore, il generatore, talvolta l’aria condizionata, oppure fare una vita quasi terrestre con spazi adeguati, letti grandi. Per gli amanti dell’oceano, delle traversate atlantiche il cantiere francese Amel, fondato da un caparbio personaggio che ha inventato una filosofia del mare, propone il nuovo 55 piedi. La filosofia generale è la vecchia: pozzetto centrale, poche cabine tanta autonomia con molto spazio per chi vive davvero a bordo. La carena e molte funzioni però sono tutte nuove come uno stile degli interni un poco meno spartano. E’ uno dei pochi esempi di barca davvero da crociera, su cui passare anche quindici, venti giorni in navigazione vivendo una vita quasi normale. Molto diverso dal fermarsi ogni sera in un porto con ristorante. Interessante la novità del cantiere danese X Yachts, che con XP 44 presenta una barca da regata crociera, una formula ancora molto usata, in cui dedica più attenzione del solito agli interni, non tanto dal punto di vista della qualità e quantità delle finiture quando da quello degli spazi, delle altezze sopra i letti, delle funzioni. Di tendenza la barca disegnata da Alessandro Vismara e dotata di motore ibrido: oltre al tradizionale diesel un motore elettrico che può funzionare anche da generatore. L’autonomia in regime elettrico è di sei ore, le cabine per i suoi quindici metri sono solo due, ma molto comode. Il panorama dei cantieri italiani è meno brillante, Del Pardo cerca di uscire da una crisi molto dura e presenta un nuovo 39 piedi, numero scelto non a caso, perché il vecchio Grand Soleil 39 è stato uno dei modelli del cantiere, che tuttora conserva una valutazione da usato superiore a molte barche che ne erano concorrenti. La produzione del cantiere di Forli è destinata a cambiare con l’arrivo del nuovo manager e una revisione completa di tutta la gamma che molto probabilmente crescerà di dimensioni. Novità possono arrivare dal cantiere SeRiGi, entrato nell’orbita del vecchio proprietario di Del Pardo, il 37 presentato al Salone di Genova è una “bomboniera”, una piccola grande barche che può piacere a chi sta facendo una operazione di downshift, cioè a chi arriva da dimensioni maggiori e che vuole ritrovare finiture di pregio su una misura più gestibile. La sua tradizione è quella di costruire barche di qualità assoluta, che hanno vissuto alcune stagioni importanti, come concorrente nostrano dei più forti cantieri dell’Europa del nord. Era una scelta particolare di pochi armatori, ma che li ha resi spesso felici. La sua produzione è slittata verso modelli da regata crociera più contemporanei.

Ricevo questa lettera di Epaminonda Ceccarelli. Un ingegnere geniale che ha saputo dire la sua nella barche, nell’edilizia, nelle auto da corsa cui devo gran parte della mia passione per il mare. Non solo lo conosco da quando portavo i pantaloni corti, ma ho avuto modo di sfidare il Tirreno con un EC 26 dell’amico Enrico, imparando tanto e cementando soprattutto una passione forte per le barche. In un momento in cui “sapere” viene addirittura nascosto se non temuto è una luce in fondo al tunnel.

Caro Antonio,
ieri ho aperto quella che era la tua rivista: non potevo non ricordarmi di te perché le tante delle tue parole, assai tecnicamente preparate, hanno procurato a me, e soprattutto a Giovanni, informazioni sul racing delle vele. Tu con i tuoi articoli ci spingevi dentro una lunga onda di episodi che come addetti ai lavori ci interessavano particolarmente. E’ appropriato parlare di onda per i ricordi, perchè ti piombano addosso  fantasticamente e ,come le vere onde , ritirandosi formano una risaccca che lascia fermi sul bagnasciuga gli amari residui di qualcosa di informe e non gradito.

In questi giorni, per me, c’è stata la coincidenza di un succedersi di eventi. Infatti dopo la amarezza di vedere il trattamento riservato al maestro d’arte Sgarbi nell’annullare la sua trasmissione in prima serata , dopo che avevo trascorso due ore di vera cultura nell’impalpabile ma grande godimento in tutti sensi dello spettacolo e’ stato un vero colpo di grigio. Tanto più finalmente in un Canale votato per obblighi alla più melensa e vuota narrativa vedere quel vero “canto libero.” Attaccato il lavoro di Sgarbi come un delitto e interrotto da burocrati incapaci del più elementare coraggio dopo la notizia mi sono mentalmente e volutamente allontanato nel continuare entrando nel ludico sportivo: la mia vela.
Così ho sfogliato, con un gesto nevrotico e ripetitivo le pagine di Vela e Motore di fresco arrivo dove ho subito notato, nel cambiamento, un secondo colpo di grigio. Un foglio reclame seguito da un foglio di notizia, eccetera, avanti alla stessa maniera fino in fondo: forse oggi i manager, per far denaro, devono far così.

Ma un giornale di vela,  il più anziano d’Italia, dove in modo quasi infantile ritrovi te stesso non deve cambiare così improvvisamente, però’ penso che la dirigenza lo abbia fatto in buona fede, usando il suo linguaggio.

La vela è stato il mio gioco negli anni passati. Un gioco che molte volte mi e’ capitato di vivere quando per lavoro vado nei Porti o incontro qualche manager amante della vela di altura in Italia e all’estero, in Francia, in Brasile ecc. non posso dimenticare alla mia età quale emozione sia stato sentisti chiamare “Maestro“, o “Mito della sua giovinezza“. Dunque è vero, leggendo il ricordo di tali apprezzamenti tutto si rinnova e ti fa sentire uno di loro; pure loro lettori attraverso gli strumenti che gli abbiamo procurato.
Cambiando la veste (parlo da modesto incompetente che esprime una sensazione), editoriale si e’dato un colpo al foglio, agora’ virtuale di convegno ideale, incontro attraverso la notizia e il rapporto col lettore.

A volte mi e’ capitato l’incontro fisico con chi scriveva sulle riviste, ritrovandosi all’Admiral’s, a qualche Campionato, alla Coppa America o a qualche competizione FIV. Quei lettori particolari sono degli appassionati legati alla natura per il semplice fatto di saper di con abile mano riuscire a strappare al vento la energia per girare il mondo. Sono lettori giustamente ambiziosi e ansiosi di leggere da altri (preparati) dell’ultimo “si dice” e ognuno nel suo piccolo ricavare un consiglio utile per il suo gioco.

Lasciamo ora perdere se noi lettori abbiamo opinioni diverse nel sociale perché il bello è che quando entriamo nelle letture dello sport velico tutto diventa un linguaggio trasversale che unisce e accomuna i popoli. Sappiamo tutti che a volte il mare ti fa dimenticare le diversità quotidiane…

Antonio, nelle tue osservazioni o scazzignamenti post regata riuscivi ad usare un linguaggio critico fatto ad hoc per gente come me attaccata alla sua esperienza a volte pionieristica. Da parte mia apprezzavo il senso critico quando affrontavi le luci e ombre di una economia settoriale, purtroppo a volte gestita in modo poco ortodosso e fuori dalle norme. Io che dal 46 ho seguito passo a passo lo sviluppo e la rivoluzione che ha portato alla seconda generazione della nautica frutto di botteghe dove ogni famiglia aveva un suo linguaggio posso dire che ci sono stati cambiamenti epocali come la scomparsa delle botteghe, di quei piccoli qualificati Cantieri che sotto spinte sbagliate dovute alle lotte sociali di accorpamenti a volte indiscriminati fatti pensando che bastava acquistare per avere continuità creativa del prodotto, senza tener conto che era scomparsa nelle “vendite” l’anima di quell’ homo faber che l’aveva creata, dandogli così un particolare linguaggio e stile.

Il senso critico e competente nella tua informazione, che quando sfiorava il commerciale sapeva cogliere anche i momenti critici di un settore economico che, in certe bolle, viveva fuori dalle norme con una pubblicità esaltante ma cosciente della stima all’esterno del Made in Italy.

Come ho scritto sopra ho preso la rivista Vela e Motore ben ultima di aprile, un rigo una pubblicità e poi un altro rigo altra pubblicità ecc… non ho letto nulla: è stato  per me come un divorzio dopo uno sposalizio d’amore durato ininterrottamente dagli anni 50. Pensa a sessant’anni! Io però continuerò a leggerlo sperando che riprenda in quella direzione editoriale, ho tutti i numeri e tutti gentilmente offerti.

In quella ideale risacca o guardato e riguardato,  cercato almeno un piccolo granchio ancora vivo ,(due righe critiche ): nulla .

Aspetterò!

Allora in parallelo ho pensato a Sgarbi .

Mi sono ricordato che agli albori suoi mia moglie Anita appassionata di arte anni fa come Presidente della associazione FIDAPA si interessò organizzando alla Biblioteca Classense di Ravenna una delle sue prime conferenze di arte. Ebbi modo di conoscerlo e capì che eravamo nella comunicazione culturale su un altro pianeta. Il suo spettacolo e’ stato fermato lo share basso al pubblico non ha tempo per pensare culturalmente, criticamente non gli interessano le sole armi per un futuro .

Il calamaio che sant’Agostino portava con se per dirci non interessa più. E l’’inchiostro di china che ha resistito nei suoi scritti migliaia di anni . Ora basta, tutto è ridotto a un file magnetico che sarà buttato dopo 5 o 6 anni cosa importa tanto e’ vuoto come vuote le pagine che sto guardando. Ho pensato a te e ti sto rubando un po’ di tempo perché non potevo non farlo. Non ho potuto non fare il parallelo con i tuoi articoli collezionati nei miei armadi fatti nelle due Coppe America. Non potevo non pensare agli articoli su Il Giornale e alla tua rivista, così anche per lei hanno spento come per Sgarbi la luce riaccendendola in altro scenario.

Sono rimasto a riordinare nella memoria dei veri ricordi ai agli articoli tuoi durante alle due Coppe di Giovanni, erano come assist calcistico a volte che gli servivi . Erano tutte note competenti, utili come invece inutili perché vuote quelle e mi riferisco al nostro paese, ora in tanti tabloid il vacuo inutile sta dilagando.

Fu la tua rivista che mi mando’ negli anni 70 la bella bruna Giorgia Ghessner a intervistarmi al mio studio dove parlammo per ore, del made in Italy che primo stavo proponendo al Salone primi anni 70 a Genova, all’apertura riempì una pagina intera del Corriere della sera. Debbo a Lei e a Vela e Motore questo lancio trainante quanto ho aperto il primo studio di progettazione nautica. Poi sono state pubblicate decine di barche che ho progettato. Insomma anche tutta la presenza Vettese e’ stato un grande motore indimenticabile, proseguito anche con Giovanni autore del secondo tratto di staffetta della corsa dei Ceccarelli. Debbo solo ringraziare te, la rivista Vela e Motore e sono certo che l’esame delle cose passerà ancora e presto attraversa la cultura perché e’ come la sete di libertà.

Dio nel lavoro dell’uomo gli ha donato la creatività ma l’uomo usa la sua intelligenza per una giusta interpretazione.

A te e alla tua famiglia Buon vento !

Epaminonda Ceccarelli

In una ampia riunione promossa dal presidente di Ucina Anton Albertoni i direttori dei principali mensili di nautica sono stati informati di quanto sta succedendo nelle “segrete” stanze di Roma e della politica che l’associazione di settore sta portando avanti nel tentativo di risollevare il settore che a dire il vero in qualche ambito da qualche segno di vitalità. Soprattutto nel piccolo, tra i gommoni e le piccole barche.  Sono due gli argomenti che più di altri colpiscono il consumatore di barca e di conseguenza il settore: leasing e redditometro. Diverse le diagnosi: per il leasing, che ormai viene considerato un credito al consumo come quello con cui si comprano televisori e frigoriferi, le difficoltà nascono proprio dalle società di credito che hanno a disposizione pochi denari per queste operazioni e li dedicano a settori più concreti con rischi meno evidenti. La crisi ha portato all’abbandono di molte barche che erano state comprate con la formula ben nota che per molti anni è stata una sorta di droga del mercato. Per le società di leasing questo ha voluto dire rimettere sul mercato a prezzi di favore quanto gli restava insoluto. Per qualche armatore sono state occasioni d’oro perchè quasi mai le società puntano ai prezzi di mercato di barche spesso seminuove, ma più concretamente hanno il desiderio di portare a casa quello che manca, cioè la parte non pagata con una modesta plusvalenza. E’ chiaro che il leasing ha prodotto anche una diffidenza nel mercato, se prima veniva considerato uno strumento conveniente e quasi obbligatorio, se non altro per il fatto che  in qualche modo la proprietà era mascherata (ma segreto di Pulcinella) adesso gli armatori preferiscono barche più piccole e di cui hanno la piena responsabilità e proprietà. Le società di leasing hanno finito per eludere del tutto la loro potenziale funzione di fornitori di servizi per limitarsi a gestire il denaro tenendosi sempre dalla parte delle certezze. Di fatto l’inserimento di una società di leasing complica gli aspetti burocratici, rende più difficile la vendita dell’usato e altre operazioni. Ma fin qui il problema sarebbe superabile in un mercato attivo e volitivo. Le “mazzate” arrivano dal redditometro, che come ha ben compreso Albertoni, è applicato in maniera seriamente punitiva alle barche più che ad altri settori per volontà politiche. Alla nautica spetta un moltiplicatore che non ha uguali in altri settori del consumo di alta fascia. Perchè? La storia è vecchia, basta andare indietro al ministro Goria primo applicatore dell’infernale strumento che ha per anni demolito il settore per comprendere che la scelta politica ha una radice precisa: colpire pochi per togliere a molti. Come? Beh la nautica è sempre stata un settore industriale piccolo rispetto ad altre fasce di consumo: il valore in Pil prodotto da tutta la nautica da diporto arriva a quello di un solo grande marchio della moda, per fare un esempio. Tuttavia la nautica ha grande presa sui media e nell’immaginazione popolare (ricordate già i brutti interventi di Prodi?) dunque nella prospettiva di salassare il ceto medio e quello operaio con nuove tasse indorare la pillola con un “togliamo ai ricchi” (pochissimi ricchi dei tanti che ci sono) fa sempre la sua scena. Insomma, il Governo sacrifica coscientemente il settore per un problema di immagine. E anche di ignoranza: finora tutti i tentativi di spremere il limone del fisco attraverso il redditometro sono costati molto di più di quanto hanno incassato. A far due conti sul costo sociale degli ammortizzatori che sono stati necessari per l’industria nautica si può ben comprendere che qualche centinaio di accertamenti andati a buon fine (nel senso di evasori beccati con le mani nel sacco perchè avevano la barca) in realtà sono costati più di quello che hanno portato a casa. Se poi ci si aggiungono i costi di indagine e quelli che attraverso queste iniziative vengono imputati ai corpi di polizia c’è da promuovere delle manifestazioni di piazza. La storia è vecchia: per gli accertamenti occorrono uomini e mezzi, per giustificare uomini e mezzi ci vuole attività e soprattutto attività “visibile”, e così la catena si completa. A spese del contribuente. Insomma, alla fine della riunione ci si guardava con quella faccia di chi ha capito che c’è poco da fare. Chi c’era negli anni ottanta e poi all’inizio del 90 ha capito che saranno tempi duri. Non basterà la dolce Euchessina…