E’ tutto pronto per il varo di Luna Rossa, il catamarano AC 72 che l’anno prossimo sarà sfidante per la 34 esima Coppa America. Sarà una grande festa nella grande, ormai, famiglia di Luna Rossa, un equipaggio il cui nucleo storico ha navigato tanto assieme fin dalla prima sfida per le regate del 2000. I vecchi leoni sono pochi, a partire dallo skipper Max Sirena, ma si portano dietro esperienza e passione su cui sono stati innestati molti talenti giovani presi dal meglio della vela mondiale. La madrina è Miuccia Prada, come sempre, il padrino… è Patrizio Bertelli che alla quarta sfida ha la grinta di sempre, la voglia di competere fin che non vince.
Il catamarano nasce da un progetto congiunto del design team di Emirates Team New Zealand e Luna Rossa, costruito in parte in Italia presso il cantiere Persico e finito in Nuova Zelanda. Il Protocollo della prossima regata infatti offre la possibilità di condividere con altri sindacati progetto e dati. Questo è stato anche uno dei motivi che hanno convinto Patrizio Bertelli a lanciare la sua quarta sfida, decisione presa dopo il successo della quotazione in Borsa a Hong Kong, che ha avuto un notevole successo. Il consiglio di amministrazione Prada ha deliberato la sponsorizzazione del team per circa 40 milioni di euro, un budget medio piccolo per la Coppa, ma che può essere più che sufficiente a fare una bella figura viste le condizioni generali degli avversari. Gli sfidanti attendibili sono tre, ovvero New Zealand, Luna Rossa e Artemis. Essere “alleati” di un team assolutamente forte come quello neozelandese è un grosso vantaggio e ha consentito a Luna Rossa di entrare senza dover partire da zero, in un certo senso comprando la competitività. I kiwi hanno avuto, ovviamente, il loro beneficio vedendo arrivare un rimborso spese per il lavoro di progettazione già svolto che gli consentirà di sviluppare altre ricerche. L’accordo dovrebbe prevedere il pagamanto del 50% delle ore di sviluppo design fatte prima della sfida. Luna Rossa è il terzo catamarano classe AC 72, si chiama così l’invenzione degli americani, che viene varato. Oracle il catamarano del defender pochi giorni fa è finito cappottato in mezzo alla baia di San Francisco con danni ingenti che fermano gli allenamenti del team per almeno due mesi e costeranno alcuni milioni di euro. Artemis, del sindacato svedese omonimo, pare si sia già rotto nelle prove di traino: queste barche non vengono buttate subito in mare a navigare, ma si caricano un po per volta, proprio per trovare i punti deboli. Se quella di Oracle almeno è una rottura spettacolare, questa è solo il sintomo di quanto ci sia ancora da esplorare. La migliore, anche per il suo assetto nelle foto, sembra New Zealand, che si solleva bene sui “foil”, ovvero le derive. L’intenzione di Patrizio Bertelli e Grant Dalton è quella di dividersi la finale Louis Vuitton Cup, come è stato del resto nel 2007, quando i due team che si erano incontrati nel 2000 a Auckland per la Coppa in una delle edizioni più memorabili della storia. Il vincitore poi dovrà strapparla agli americani e avere così la possibilità di tornare a regole e spettacoli più vicini al match race, con gli sfidanti che merita l’evento.

E’ il 3 febbraio 1997, il progettista argentino German Frers e Patrizio Bertelli stanno discutendo sulla costruzione di un nuovo megayacht, si chiamerà Ulisse, come la barca da crociera precedente, disegnato nello stile contemporaneo. Il discorso tra i due finisce sulla Coppa America, di cui Bertelli è molto appassionato. Frers gli sussurra “guarda che sei il tipo giusto per partecipare alla Coppa”. Detto fatto: in pochi giorni il sindacato viene costruito ed è l’inizio della lunga avventura di Luna Rossa. Bertelli, da allora, non riesce più a fare a meno di partecipare.
La sua passione per la vela è iniziata in Toscana, navigando con i sesta classe di Vasco Donnini, famoso per il taglia e cuci, perchè usava il bisturi per modificare le sue barche: una taglio al centro per allungare…  Tuscany Bisturi è il nome di una delle barche più veloci tra i sesta classe dei lontani anni dello Ior, che lui teneva sempre ai limiti del regolamento di stazza. Nelle lunghe giornate di bonaccia di fronte a Castiglione della Pescaia, Bertelli sogna la Coppa, intanto riempie la sua casa di libri storici.
In quel 97 per la sua prima sfida sceglie come skipper e timoniere il napoletano Francesco de Angelis: un tipo metodico, preparato, che lavora con un impegno inesauribile. In quei giorni sta dedicandosi alla messa a punto di Team Ef di Paul Cayard, la barca con cui il californiano vincerà il giro del mondo in equipaggio dimostrando che anche un velista “tecnico” può battere gli oceanici, anzi da li in poi la cultura francese dell’oceano selvaggio chiuderà un capitolo.  Francesco rinuncia alla Whitbread e torna a Milano. Il tattico è il brasiliano Torben Grael, velista olimpico di chiara fama, con cui il napoletano ha fatto una bella coppia durante la One Ton Cup di Sckovshoved in Danimarca su Brava di Pasquale Landolfi. Il progettista principale è ovviamente German Frers, che chiama Doug Peterson, autore di barche vincenti come America Cubed e New Zealand 95 di cui è amico da tempo. E’ uno degli apprezzati avversari: ai tempi del Moro era con America Cubed, poi con Team New Zealand nel 95, significa che ha vinto due volte di seguito la Coppa, raro per un progettista. Nel 2000 si corre a Auckland, Luna Rossa è molto rapida: la sua progressione nella Louis Vuitton Cup è formidabile e conquista il soprannome di Silver Bullet. E’ una edizione piena di colpi di scena, compresa la rottura di un albero, molto pericolosa per il risultato delle semifinali. La finale delle regate di selezione contro AmericaOne di Paul Cayard è la più combattuta di tutti i tempi: Luna Rossa vince per 5 a 4 dopo due settimane di combattimenti furiosi, tutto si decide nella ultima regata. Nella sconfitta, la prima campagna di Team Prada è un successo. Purtroppo alla vigilia del grande match contro New Zealand (lo squadrone con Blake e Coutts) erano tutti convinti che il Challenger sarebbe stato più rapido del Defender, ma non era vero. I kiwi hanno inventato un nuovo modo di fare barche, New Zealand ha la “flat polar” significa che il suo VMG (velocità di avvicinamento alla direzione del vento) di bolina è il medesimo in un ampio range di angoli con il vento. Così può poggiare e raggiungere una raffica, una macchia di vento.  La delusione è grande, la tensione anche, ma a bocce ferme Patrizio Bertelli decide di riconfermare il team e Luna Rossa torna  nel 2003: equipaggio simile e nuove ambizioni. Purtroppo fin dalle prime regate di selezione si capisce che l’equipaggio fa una grande fatica a restare in regata con una barca che è rimasta una generazione indietro, non è neanche ispirata alla New Zealand che l’ha battuta.  Aver lasciato tutto il design nelle mani di Doug Peterson si rivela un errore: la sua battaglia personale è quella di non fare il ginocchio sotto la prua, che ormai usano tutti con buone prestazioni. Continua ad affermare che le prestazioni possono essere uguali.  E’ sorprendente come una larga parte di pubblico e tecnici sia stata convinta che la sconfitta di tre anni prima sia dovuta più all’equipaggio che alla barca.
Patrizio Bertelli dopo le prime regate licenzia il californiano che smette di essere considerato un genio e decide di tentare il tutto per tutto cambiando la prua. Questo non basta a farne una barca vincente e il suo cammino è segnato. Alinghi di Ernesto Bertarelli, in quella edizione, è decisamente superiore a ogni altra barca e infatti prima vince la Louis Vuitton Cup e poi conquista la Coppa America. Il sindacato svizzero è fortissimo, la barca costruita ad un livello di affidabilità sconosciuto agli altri team e soprattutto ai neozelandesi che detengono la Coppa, da cui i migliori (coutss e i suoi fedelissimi) sono purtroppo migrati in Svizzera.
Quando il trofeo arriva in Europa, sede delle regate del 2007 Valencia, Luna Rossa è ancora in prima linea. Ma lo sono anche gli avversari, con un grado di preparazione veramente elevato. Luna Rossa fa bene fino alle finali della Louis Vuitton Cup, dove incontra Emirates Team New Zealand. E’ una rivincita delle regate del 2000, purtroppo i kiwi sono ancora una volta più veloci. Gli italiani hanno speso molte energie per battere BMW Oracle e sono un po’ vuoti, inoltre Luna Rossa ha bisogno di un poco di vento in più di quello che trova per esprimersi. Dopo questa edizione, con le prime avvisaglie della crisi mondiale  e le bizze dei litiganti Bertarelli – Ellison Patrizio Bertelli, che aveva condiviso con Tim e Marco Tronchetti Provera la sfida, annuncia il ritiro.  Bertelli resta fuori dal gioco pur conservando una serie di osservatori, infatti quando capisce che può condividere il design Emirates Team New Zealand e che può presentarsi a San Francisco competitivo decide di rientrare. Così lancia una nuova sfida attraverso il Circolo della Vela Sicilia con sede a Palermo. Il sindacato debutta con gli AC 45 nelle regate di  Napoli le due barche sono Luna Rossa Swordfish e Luna Rossa Piranha. I timonieri sono i giovani promettenti Paul Campbell-James e Chris Draper.
Lo skipper della quarte sfida è Max Sirena (nella foto con Bertelli durante le regate di Valencia), che per Bmw Oracle si era occupato della gestione della grande ala rigida assieme a un altro uomo chiave, sempre legato a Luna Rossa, Matteo Plazzi che sul trimarano americano era navigatore. Il sindacato si è arricchito di altri forti velisti, come lo spagnolo Iker MArtinz, il palermitano Francesco Bruni. La costruzione del grande catamarano della classe Ac 72, la parte che per il Protocollo deve essere costruita nella nazione di bandiera, è avvenuta a ritmi serrati nel cantiere Persico vicino a Bergamo, che ha costruito anche le ali di Artemis. Lo scafo è stato completato a Auckland con le parti strutturali e l’ala è inizia a navigare alla fine di ottobre.

Nella baia di San Francisco spettacolare incidente alla barca del defender della Coppa America Oracle, che in una giornata di vento forte si è ribaltato durante un allenamento. Non si è fatto male nessuno, ma i danni alla barca sono ingenti e terranno fermo il team per un po’. Tanto per fare qualche cifra una “piattaforma”, si chiama così il catamarano nella comunità dei progettisti, ha un costo tecnico di costruzione di circa 5 milioni di collari, escluso la ricerca e lo sviluppo, per il quale stanno lavorando da ormai anni una ventina di persone. Il costo dell’ala rigida che è la propulsione principale al posto delle vele morbide, sempre di sola costruzione, è di circa due milioni e mezzo. Certo Larry Ellison che anima il sindacato è costantemente tra i cinque, sei uomini più ricchi del mondo, ma questo incidente rischia di rallentare le operazioni e gli allenamenti. Questo catamarano è della classe AC 72, lungo quindi circa ventidue metri ed è come una delle barche con cui verranno disputate il prossimo anno da aprile a settembre la Louis Vuitton Cup, regata di selezione sfidanti, e poi la Coppa America. Finora abbiamo visto in regata, come a Venezia e Napoli, solo i piccoli AC45, che simulano i fratelli più grandi nelle reazioni. Tuttavia la musica, crescendo di dimensioni, è molto diversa e perfino gli equipaggi temono le prestazioni fuori controllo. Quello di Oracle è un concreto assaggio di quello che può succedere. La sfida progettuale è di far letteralmente volare le barche, che si sostengono come un aliscafo sulle pinne di deriva e i timoni. Lo speedometro (strumento che misura la velocità) sale fino a 40 nodi, velocità che molti motoscafi non sono in grado di raggiungere. E sono proprio derive e timoni il campo dove ci si attende il maggior sviluppo tecnologico e dispendio di energie da parte dei team. Le barche si ribaltano quando per effetto del mare la prua di uno scafo comincia a infilarsi sott’acqua e fa da freno e perno. I pericoli per l’equipaggio sono concreti: si vola in acqua o dentro l’ala. Per questo gli uomini sono protetti come calciatori di football americano, con caschi e imbottiture anche sostegno di galleggiamento, piuttosto ingombranti. L’incidente avviene a pochi giorni dal varo di Luna Rossa a Auckland, che sarà il quarto catamarano AC 72 ad essere varato, del tutto simile a Emirates Team New Zealand con cui il team di Patrizio Bertelli ha condiviso il progetto. Gli scafi sono stati costruiti in Italia secondo il regolamento della Coppa, poi trasferiti e completati in Nuova Zelanda dove un po’ tutto il mondo della Coppa America ha lasciato il cuore. Il team condotto da Max Sirena è nella città australe dove dopo il varo inizierà gli allenamenti prima del trasferimento armi e bagagli a San Francisco. Sempre in argomento ali e derive Luna Rossa ha condotto alcuni allenamenti non molto segreti, dovevano esserlo, in Sardegna. Le altre barche AC 72 pronte sono Emirates Team New Zealand, che ha dimostrato una bella stabilità e velocità nei video disponibili e Artemis Racing, sindacato condotto da Paul Cayard, che ha provato prima un’ala su un trimarano modificato (per non incorrere nel limite di costruzione previsto dal regolamento e far presto) e poi portato a San Francisco la nuova barca. Mentre si attende che il circuito degli AC 45, aperto a più partecipanti, torni in scena a Venezia in aprile e a maggio a Napoli queste quattro barche sono le uniche che, a meno di sorprese, vedremo in regata l’anno prossimo a San Francisco.

 

Il Salone Internazionale di Genova ha corso il rischio di veder scomparire gran parte degli espositori di barche a vela. Motivo una ruggine accumulata negli anni, che ha trovato sfogo nei mesi scorsi nel tentativo di organizzare una nuova esposizione in una nuova sede. Si è parlato prima di Genova Aeroporto, poi di La Spezia. In entrambi i casi Comune e Regione, che sono tra gli attori della Fiera, hanno avuto il loro peso. Le iniziative non hanno trovato le certezze che servivano a livello locale per arrivare al successo. A dire il vero era piuttosto evidente che sarebbe finita così. C’è una verità di fondo nella vicenda: Genova è ancora forte e gli assenti hanno torto. E’ vero tuttavia che la vela per molti anni è stata considerata espositore di rincalzo, da sistemare in qualche modo e che in tempi di vacche grasse il Salone poteva porre le sue condizioni non solo economiche, un atteggiamento che alla lunga ha stancato.  Tra i contestatori del Salone, il Cantiere del Pardo, marchio storico della cantieristica che dopo essere entrato come marchio di alto livello nel gruppo Bavaria sta recuperando vendite. Il suo amministratore delegato Ruggero Gandolfi ha sisntetizzato così la vicenda: “Genova adesso sta cercando di cambiare, ma fino all’inizio del 2012 non ha capito che il mondo della nautica è collassato così ha mantenuto i suoi costi come era nel 2007. Tentare di creare un nuovo Salone è stata una decisione presa praticamente da tutto il comparto velico a eccezione di Beneteau. Siamo rientrati e forse la nostra azione ha fatto comprendere qualcosa. Vedo che sono stati assegnati 1200 metri alla Fiv con le barche Olimpiche e Ucina ci ha promesso una nuova Genova per il futuro”. Del Pardo resta un riferimento per il mercato nazionale. Gandolfi prosegue: “E’ stato un anno positivo con un aumento delle vendite del 50% rispetto al precedente. Abbiamo venduto 50 barche di cui circa un terzo sono rimaste in Italia. Quest’anno a Genova presentiamo il 43 e il 47 in prima mondiale, adesso abbiamo una gamma ben bilanciata e coerente, con un design omogeneo e un family feeling riconoscibile. Abbiamo cancellato i problemi costruttivi del passato e possiamo offrire arredamenti che sanno dare un tocco di preziosità e un made in Italy riconoscibile”. Chi non ha mai pensato di lasciare Genova è il Gruppo Beneteau, che avrà parte del padiglione disegnato da Jean Nouvel. Dice Massimo Mariotti, amministratore delegato di Beneteau Italia: “Il nostro gruppo è forte e la sua dimensione globale ci consente di resistere. Purtroppo Il quadro in Italia è molto pesante e seppur vada meglio che nel comparto motore la situazione non lascia spazio a grandi illusioni di recupero a breve”. Mariotti è molto deciso nelle sue dichiarazioni, è un uomo che conosce a fondo il settore: “il mercato della vela è penalizzato da una situazione che in Italia non paga solo le conseguenze di una crisi economica internazionale da noi ancor più dura, ma una situazione di “terrore” che si respira in tutti i rapporti con chi ha la fortuna/ sfortuna di una passione considerata testimone di indubbie ricchezze ( anche quando modeste). Il mondo della nautica italiana è ormai in situazione disperata. Questo spiega parzialmente i comprensibili tentativi di ridurre i costi anche espositivi che hanno spinto alcuni operatori a non partecipare al salone di Genova cercando in Cannes un’unica vetrina e di altri della vela che hanno rincorso progetti di fuga verso nuove sedi”.

E’ il terzo modello della linea più innovativa del gruppo Azimut Benetti, un piccolo grande yacht dedicato ai “navigatori” non è un caso che sia stato scelto un nome così evocativo ed importante per questa collezione del più grande gruppo italiano. Sicurezza in navigazione, consumi ridotti, abitabilità per il numero giusto di persone, autonomia, certificazioni verdi sono alla base di questo nuovo concetto che, per cominciare, muove attorno a carene definite dual mode, ovvero che possono navigare a bassa velocità (come le dislocanti) oppure in planata con un comfort adeguato. Per limitare i pesi e i consumi i motori sono piuttosto piccoli, cosa che potrebbe essere anche una tendenza più ampia del mercato che dovrebbe fare i conti non tanto con la velocità massima che una barca può esprimere ma con i trasferimenti che davvero si fanno. In altre parole, per spiegare, inutile avere una barca che può viaggiare a 30 nodi quando per risparmiare sui carburanti si va alla ricerca del miglior rapporto tra velocità e consumi. Quello che conta insomma non sono più i litri ora ma i litri miglio, che cambiano un poco la prospettiva. Magellano 43 ha due Cummins QBS da 5,9 litri e si può scegliere tra la taratura con potenza massima da 300 cavalli o 355. La differenza sta nella velocità massima di 18 o 21 nodi. L’autonomia con 1800 litri di carburante è di 500 miglia navigando a 10 nodi. La missione di queste barche può essere considerata simile a quella dei Trawler, barche sicure che facevano del peso e dei muscoli importanti elementi di sicurezza. L’innovazione sta proprio nell’ottenere prestazioni simili con un progetto moderno, che integra esigenze e dimensioni diverse anche per le soluzioni relative all’abitabilità. Per questa gamma Azimut ha lavorato alla ricerca di materiali particolari ed ecologici, come un composito a base di lino per alcune parti estetiche. Lo stile della barca deriva dalla collaudata collaborazione tra il designer olandese Cor D. Rover – con il team del cantiere Azimut Yachts, da sempre interprete di un gusto per i dettagli che contraddistingue il migliore Made in Italy. Magellano 43 al ponte inferiore ha due cabine con due bagni, una terza cabina con un letto può essere realizzata al posto di uno spazio di servizio. Interessante la scelta per il ponte principale living, con la cucina tra il pozzetto e la zona dinette coperta, che riafferma il cucinare come momento importante dello stare insieme. Nella versione Flybridge, l’abbondanza di sedute e prendisole del ponte superiore premia la formula per chi naviga il soprattutto il Mediterraneo. Una versione Sedan è pensata con lo sguardo a nord a chi userà la barca soprattutto in acque interne, canali laghi e fiumi con la necessità di passare sotto i ponti e quindi non avere una grande altezza dal livello dell’acqua: con l’alberetto delle antenne ripiegato non si superano i 3,2 metri. Magellano 43 segue nella collezione Magellano 74, il primo costruito, e Magellano 50 che si era messo in evidenza per essere stato un concentrato di novità, è stato presentato in settembre durante il Salone di Cannes.

La canzone del mare è un famoso stabilimento balneare che nasce con vista su uno dei più bei posti del mondo, a Capri, Marina Piccola. Il suo nome, così caldo e partenopeo, non è casuale: il mare ha il suo linguaggio, i suoi rumori, i suoi sapori. E quel posto meraviglioso è proprio li, sul mare, in angolo di pianeta di insuperabile bellezza. Chi va per mare lo fa perché ha un suo motore interiore, la passione. Per anni, anni d’oro e ruggenti, però la musica che abbiamo ascoltato è stata un poco diversa: la pulsione più forte per fare la vita di armatore è finita nascosta dietro motivazioni di vendita sempre più ardite e legate all’apparire. Diciamoci la verità: la crescita inarrestabile della nautica da diporto “tra le due guerre” e intendiamo tra la crisi 92/93 e questa che stiamo vivendo ha illuso tutti che si potesse spremere il limone senza che fosse necessario coltivare la parte buona del mercato, quella che vive il mare per il mare. In questo periodo sono nate iniziative spregiudicate, verso cui nessuno ha alzato seriemente la mano. E’ nata una legge sbagliata che conteneva i germi del disastro, le leggi pilotano sempre il mercato. Nel Codice la “suggerita” separazione delle carriere (barche per noleggio e barche di proprietà) ritenuta utile perché apriva per le unità più grandi una porta alla riduzione delle accise sul carburante, ha dato modo di costruire una elusione applicata in forma generalizzata da molti. Poi il caso Briatore ha messo in luce la distorsione, e il nostro mondo che già aveva la fama di evasore ha avuto la laurea honoris causa. A qualche anno dai fatti non è più possibile contrastare in nessun modo quell’immagine ferocemente negativa e difendere la nautica è del tutto impopolare e nessuno vuole farlo. La pressione infinita sulla parola lusso, su tacchi femminili, su campagne “emozionali” e non “passionali” ha fatto il resto. Il risultato? Il mondo del diporto, agganciato a valori effimeri e non alla solidità del piacere delle vacanze, è sempre più debole. Le riviste di settore sempre meno rispettate dai cantieri non riescono più a sostenere il popolo dei diportisti. L’idea di agganciare clienti con i quotidiani accarezza chi pensa che vendere barche sia uguale a vendere detersivi o automobili. Nella prossima edizione il Salone di Genova passa da 1500 e più espositori degli anni d’oro a 900. Molti operatori del mondo della vela hanno tentato di lasciarlo in cerca dell’illusione di spendere meno e avere più pubblico. A Genova gli assenti hanno sempre torto, se fanno prodotti della fascia media bisogna esserci: chi lo organizza lo sa da sempre e per questo assume un atteggiamento che a volte è sembrato troppo rigido. Chi ha provato a uscire ha ottenuto almeno il risultato di sollevare un problema concreto. La nautica da diporto non è più quella di qualche anno fa, non ci sono le stesse disponibilità economiche. Risparmiare? Non è facile, dimezzare le spese per lo spazio significa ridurre il budget per il salone di una piccola percentuale: si spende tanto in tutto il resto, personale trasporti. Una cosa sbagliano i cantieri: pensare che Genova sia una fiera locale, se lo sono detto e ridetto, forse alla ricerca di un alibi per non esserci.  Che fare per migliorare la situazione del diporto? Tornare alla canzone del mare, alle parole del mare, al linguaggio del mare. Non solo nella comunicazione, ma anche nei prodotti. Barche che stanno bene in mare, che sono prodotti definitivi ben fatti, che assecondano il desiderio di una clientela più matura, è già una prima sfida da vicere.

Al link che segue la scioccante relazione tecnica di cui scrive nel commento all’articolo “Comandanti ex Eroi” Dudi Coletti, velista di grande esperienza che dopo aver fatto parte di molti equipaggi importanti a partire dal Moro di Venezia è stato istruttore e ora è comandante di un megasailer