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Quanto vale la Coppa America in termini di comunicazione e media? E’ la domanda cui bisogna saper rispondere quando si cerca sponsor per questa titanica impresa. Negli anni passati il vero valore della Coppa è stato mascherato dalle opinioni di chi voleva o non voleva partecipare. In generale chi non conosce questo sport, e non vuole assumersi i rischi che qualsiasi sponsorizzazione di un partecipante (che a differenza di una manifestazione può vincere e moltiplicare i risultati oppure perdere e non apparire quanto si desidera) vuole/vorrebbe dati certi, promesse. Si attiva così un percorso vizioso, non virtuoso, dove ci si contenta del poco ottenuto con il marketing e le pubbliche relazioni piuttosto che dell’impresa vincente che resta un territorio dove si inoltra chi è appassionato e di conseguenza ci crede fermamente. Una malattia che la vela conosce bene: una miriade di regate con contenuti tecnici modesti che diventano grandi eventi e che hanno fatto pensare al mondo che la vela è tanta mondanità e poco sport. Per questo, in generale, la Coppa America non è una avventura per manager che devono rispondere delle loro decisioni, e lo è per tycoon che talvolta sono riusciti a ottenere per le loro aziende e per se stessi risultati formidabili. Uno per tutti Thomas Lipton.

Il caso più eclatante in Italia, che poi ha pesato sul mondo della Coppa in maniera importante negli anni successivi, è quello del Moro di Venezia: l’impresa di Raul Gardini è stata totalmente disconosciuta dai manager di Montedison che hanno nascosto e addirittura alterato i dati raccolti sul “successo” mediatico del Moro. A quel tempo le rassegne stampa erano ancora cartacee, era l’era del fax e non delle mail. Le avventure della barca italiana avevano riempito giornali, televisioni, ma dopo non hanno risparmiato al Moro e alla vela anche una buona dose di autentica diffamazione. Certo, c’è stata una contaminazione del messaggio con tangenti, giudici, intrighi politici che andavano ben oltre l’evento sportivo, dove ci vogliamo fermare per guardare in “valore assoluto” e senza altra missione l’evento con l’occhio degli sponsor e dello sport.
La bella storia di Luna Rossa ha ristabilito in gran parte, e ci è voluto tempo, un rapporto più realistico tra sponsor ed evento, confermando (almeno indirettamente) che la passione del patron (come in ogni squadra che si rispetti, dal calcio alla F!) può sposarsi con successo con interessi di marketing. Come diceva Alan Bond, ritratto nella foto in bianco e nero e vincitore della Coppa America nell 83 con Australia II: “chi pensa che si possa fare la Coppa America senza risvolti economici è un pazzo”.
Per farci guidare in questo territorio incognito abbiamo interrogato Cesare Valli, che è un riferimento nel mondo della comunicazione, per Hill+Knowlton Strategies è stato Chairman e Ceo South Europe e Italy. Ha lavorato per la prima Azzurra, poi per il Moro di Venezia, ha sempre osservato la Coppa America e la vela come occasioni importanti di comunicazione. Questa intervista è stata realizzata nel 2013, prima delle regate di San Francisco quarta sfida di Luna Rossa. Il contenuto è del tutto attuale.

Quale è il valore della Coppa America per uno sponsor?
“Sono convinto sia uno dei grandi eventi, come lo sono i Mondiali di Calcio, le Olimpiadi. E’ un grande evento di risonanza mondiale buono per global players ed è un palcoscenico per gente dal conto economico importante. Gli eventi sportivi di alto livello sono sempre luoghi di incontro per i grandi businessman: si racconta che la prima volta che Berlusconi è riuscito a parlare al telefono con l’avvocato Agnelli è stato quando ha comprato il Milan e potrei citare molti altri casi. Vero o no che sia l’aneddoto il significato e’ chiaro. Per le aziende ci sono sempre ritorni economici importanti, non ho nessun dubbio, naturalmente se le cose sono fatte come si deve perché ci vuole la capacità di supportare la campagna con politiche di comunicazione adeguate”.

Lei ha partecipato alla prima sfida di Azzurra, cosa voleva dire parlare di Coppa America trenta anni fa?
“A quel tempo lavoravo per Foote Cone & Belding, e tra i nostri clienti c’era Cinzano, una delle aziende che l’avvocato Agnelli aveva chiamato attorno alla sfida in consorzio assieme a Iveco, Barilla ed altri. Ci siamo subito resi conto che tra i compiti che dovevamo affrontare c’era quello di una azione di informazione: spiegare ai giornalisti e dunque al pubblico cosa era la Coppa America. Poi abbiamo avuto anche un po’ di fortuna, perché nessuno a dire il vero si aspettava di finire in semifinale e questo ci dette un vantaggio clamoroso. A ogni vittoria potevamo percepire gli effetti positivi. Per Cinzano si trattava, tra le altre cose, di cancellare dalla memoria collettiva la parola “vermouth” con la sua immagine polverosa e cambiare il posizionamento del prodotto dopo che Martini era riuscito a collocarsi più in alto. Con la Coppa abbiamo riposizionano non solo il prodotto “vermouth” come aperitivo, ma anche tutta la linea di spumanti. E Cinzano dopo la Coppa è stata venduta bene, una analogia con Serono di Ernesto Bertarelli: l’effetto di una certa visibilità che ti porta ad avere contatti di rilievo e attrarre investitori”.

Ha poi lavorato per il Moro di Venezia.
“Il Moro ha avuto un ritorno ancor più clamoroso, io ho sempre pensato che Raul Gardini avesse un obiettivo preciso: era un grande visionario anche se spesso consigliato male e solo. Ricordo bene quando nel giardino di Ca’ Dario ci diceva “io ho i materiali”, adesso sappiamo meglio cosa è il mercato dei materiali evoluti, del carbonio, che si è largamente diffuso. Ogni volta che tornavamo da lui aveva comprato un paio di aziende. E poi aveva anche una visione dell’Italia e delle sue coste come polo turistico. Insomma, aveva un disegno industriale e commerciale preciso. I risultati in termini di comunicazione del Moro sono stati decisamente elevati, noi abbiamo quantificato una resa con un moltiplicatore di 8/10 volte l’investimento. Il Moro ha conquistato la prima pagina della Gazzetta, dove di solito si arrivava e si arriva solo con il calcio”.

Siamo alla quarta campagna di Luna Rossa, cosa ne pensa?
“Se Azzurra era il battesimo, il Moro è stata la grande sfida. Luna Rossa è la tecnica, l’attenzione al lavoro sistematico e preciso. Anche per lei accedere alle finali e alla Coppa è stato un momento di grande successo. Prada propone un prodotto particolare, che non può scendere sotto un certo livello di banalizzazione e per loro non erano molto interessanti i mercati europei quanto quelli internazionali degli Stati Uniti e del Far East. Patrizio Bertelli ha avuto una intuizione fenomenale a quotare a Hong Kong con un risultato grandioso e li può aver lavorato positivamente un certo effetto Coppa America”.

Italia, Mascalzone Latino, +39?
“Non avevano il fisico, mi spiace”

Cosa manca alla Coppa America?
“Intanto personaggi visibili e campionabili. Poi gli uomini di marketing che potrebbero sfruttare meglio le opportunità legate a questo grandioso evento conoscono poco la vela. Manca una buona Tv, perché si potrebbe fare molto meglio: il linguaggio con cui si raccontano le cose è importante. Bisogna saper spiegare gli aspetti tecnici e le regole. Ma alla gente la Coppa piace. Chissà se prima o poi avremo la Coppa da noi!”.

Emirates Team New Zealand ha punito duramente Luna Rossa nella sesta regata della finale Louis Vuitton Cup. In una giornata di vento modesto, per le abitudini della baia di San Francisco, Luna Rossa è apparsa insonnolita e poco reattiva. Il motivo tecnico è probabilmente la taratura dei deflettori dei timoni, che sono molto critiche per rendere il foiling stabile. Al mattino infatti le previsioni promettevano vento più intenso e con ogni probabilità i tecnici hanno preparato la barca per quelle indicazioni. Questo, e tutto il resto, hanno reso Luna Rossa decisamente più lenta di New Zealand. Alla partenza la rapidità con cui i kiwi hanno accelerato verso la prima boa lasciando sul posto Luna Rossa ha fatto impressione. Chris Draper aveva fatto bene, cercando di tenere la barca sulla linea per tempo, ma come nei giorni scorsi i kiwi hanno messo in assetto e lanciato la barca con abilità impressionante. Si sapeva che andava a finire così, ma come sempre succede per onore di bandiera e per tifo uscendo dalla razionalità dei numeri si sperava nel miracolo… ma San Francisco non fa miracoli e neanche San Gennaro, anzi. Il distacco alla fine è di un paio di minuti, su una durata totale di ventotto. Le punte di velocità premiano gli italiani che toccano i 39,33 nodi contro i 37,28 dei kiwi. Emirates Team New Zealand che ha raggiunto il punteggio di 5 – 1 si avvia dunque a vincere la ultima edizione della Louis Vuitton Cup. Le bastano altre due regate per raggiungere le sette vittorie necessarie, che potrebbero essere oggi sabato 24 agosto, una data che potrebbe restare nella storia come chiusura di un ciclo trentennale legato alla maison francese che dall’83 sposa la sua immagine alla Coppa America. Il meteo però promette troppo vento.. tanto per allungare i tempi, allora il programma prevede altre due regate domenica. Luna Rossa spera ancora, spera che il vento le dia un vantaggio per iniziare una rincorsa impossibile. Non è stato annunciato ufficialmente ma tutti sanno che la nuova dirigenza di Louis Vuitton non vuole più investire in questo mondo. Chi vincerà la Coppa America dovrà trovare un nuovo sponsor per le regate di selezione sfidanti, un problema che si aggiunge a quelli di scelta di una nuova barca e di un nuovo formato più attraente per il pubblico e gli sponsor. Ma c’è un altro rischio: potrebbe anche essere l’ultimo giorno di regata per Luna Rossa alla sua quarta sfida: il combattente Patrizio Bertelli ha promesso una nuova partecipazione, sarebbe la quinta, ma con delle condizioni che molto probabilmente in caso di vittoria americana non saranno realizzabili. Con una nuova e quinta sfida l’uomo di Arezzo, raggiungerebbe nella storia della Coppa sir Thomas Lipton il leggendario eterno sconfitto, innovatore nel commercio, nella pubblicità, amico dei regnanti ma escluso dai nobili. Bertelli vuol vincere però… partecipando a un gioco più vero. Tutto il programma di questa partecipazione è connesso alla possibilità di diventare Challenger of Record sfidando il Royal New Zealand Yacht Squadron. Per il Circolo Vela Sicilia sarebbe la prima volta, non per Bertelli che lo è stato nella complessa edizione del 2003.

La Coppa… il più antico trofeo dello sport che si disputa senza interruzioni, se non quelle delle guerre che più che altro l’hanno rallentata. La domanda, che tutti si sono posti in questi giorni di regate bizzarre con questi oggetti volanti che quando passano fischiano più che sbattere sull’onda è: ma questo è davvero sport? E’ la nostra vecchia vela? La montagna di critiche sommerge le poche voci a favore. Gli AC 72 appaiono oggetti incomprensibili, che tutti dichiarano costosi senza sapere davvero quanto costano, che tutti dichiarano solo “tecnologici” senza sapere quanta abilità debbano avere i marinai, anche i grinder che hanno più compiti. Navigare su un AC 72 è come essere su un 7 metri: i tre che fanno l’equipaggio devono fare tutto tutti insieme senza sbagliare. Se uno degli undici sbaglia (come è successo a New Zealand in poggiata) si finisce gambe all’aria: la macchina non domina nessuno, bisogna saperla usare con tempi di reazione fulminei.
La Coppa, bisogna ammetterlo, è stata troppo spesso palestra di grandi eccessi di tycoon con l’ego esuberante, occasione di affari d’oro dove gli equipaggi e le loro avventure sono stati quasi sempre in secondo piano, perché era meglio vedere altro. Le azioni incrociate delle ultime edizioni hanno finito per erodere il grande patrimonio di popolarità conquistato negli anni in edizioni memorabili. Dall’83 in poi, in particolare, la Coppa era stata davvero un grande evento sportivo. Adesso non lo è più, si capisce dalla risposta modesta dei media, dalla sala stampa semivuota.  Così nascono le ricette, tornare alla tradizione sembra l’ancora di salvezza perdendo di vista il fatto  che la tradizione della Coppa è l’innovazione. Forse il salto in avanti con il foiling è stato eccessivo, visionario: ma è un salto in avanti.
Così in questa edizione così particolare e nuova alzando la bandiera del troppo tecnologico si dimentica quanta fatica abbiano fatto designer, progettisti, equipaggi per imparare a navigare. E la poesia di Emirates Team New Zealand così forte in alcuni momenti costruita sull’abilità delle persone (anche i designer, ma senza dimenticare i marinai) resta senza pubblico. Il pubblico critica, Facebook critica: non è match race, rivogliamo i monoscafi. Vero: il mondo è stato scoperto in monoscafo. Ma non tutto: i polinesiani sono arrivati in Nuova Zelanda con ridicoli multiscafi.
Poi tutti a dire, nonostante i budget sia inferiori o uguali a quelli del 2007: costa troppo. Le critiche di chi non c’è, la storia della volpe e l’uva: non mi piace perché non ci posso arrivare. Ma non con il portafoglio, con la testa. Questi team hanno speso meno o uguale al 2007. Una barca costa 6 milioni, una ala 3, un set di chiglie uno. E i designer che lavorano a tempo pieno non sono di più di quelli che servivano per il monoscafo. Team di 18/20 persone. Allora disegnavano bulbi di piombo adesso “elevator”.
Del resto c’è poco di più immutabile della navigazione a vela: le caravelle che hanno scoperto l’America non sono tanto diverse dalle le navi tonde romane che 14 secoli prima navigavano la rotta del grano dall’Egitto a Roma, i galeoni di sir Francis Drake mica tanto diversi dalle navi di Horatio Nelson signore di Bronte che due secoli dopo l’arrivo a San Francisco del corsaro della regina erano a Trafalgar. In mare il progresso è lento perchè “barca che va non si cambia”. E’ la paura del mare a rendere prudenti i marinai. In un secolo che riscopre la lentezza poi, gli AC 72 sono alieni. La Coppa America deve essere davvero match race? Nasce per definizione come incontro di due Yacht Club con due barche diverse. Il desiderato monotipo non è previsto neanche per scherzo. E’ previsto l’esperimento, l’eccesso, la leggenda. Non è ancora tempo di bilanci, certo, ma quel che si vede (anche a occhio nudo) è che la parte comunicazione (e non quella degli addetti specifici, che hanno poco da comunicare, la strategia complessiva), programmi di regata, contatto con il pubblico, sia stata molto peggiore della scelta della barca così veloce e moderna. Per gli sponsor che volevano partecipare, tre anni fa, era impossibile avere un programma definito, garantito. Quello è l’errore, non l’estetica della velocità degli AC 72, barche del terzo millennio. La presunzione di avere a che fare con un evento che vale o che è la Formula Uno, di cui si può vendere anche l’accesso alla toilette. Da questo punto di vista la vela deve imparare che il pubblico si “compra”, perchè il pubblico è il valore da trasmettere agli sponsor. Ma attenzione, non vuol dire semplicemente regalare diritti Tv e distribuire pubblicità, come può pensare qualche studente di pubbliche relazioni, significa costruire un evento che è sport. E questa è tutta un altra storia. Lo sport fatto di uomini, risultati, vittorie, sudore, palestra, tecnica. Altro che le birre nel parterre dello Yacht Club dopo che qualche prua slanciata si è graziosamente tuffata un acqua…
La Coppa America andrà avanti, anzi queste regate di San Francisco sono un mattone in più per la sua leggenda, corse con catamarani che non rivedremo mai più. Questa è leggenda. Cosa succederà? Se vince Emirates Team New è molto probabile che torneremo con i piedi per terra con un monoscafo che plana a 35 nodi, potrebbe essere una spece di RC 44 di 80 piedi o più, leggero e manovrabile. Garanzia di circling ma anche di planate, spruzzi, telecamere sommerse. Se invece vince Oracle (che pare molto forte di bolina)  quasi tutti sono convinti che si arriverà a un catamarano di 60 piedi, ovviamente con ala rigida e foiling. Dopo questa edizione le differenze tra i team, con la circolazione di uomini  che ci sarà che porteranno in altri team le esperienze, sarà più facile avere performance vicine con la seconda generazione foiling. Chi ricorda la enorme differenza tra il Moro 3 (considerato seconda generazione Iacc nella prima edizione che li utilizzava nel 92) e gli altri al mondiale del 91? Anzi, aver mostrato tutto quel potenziale è stato un danno per gli italiani.  Insomma, altro giro, altro spettacolo. Altra leggenda, ma è meglio che chi dovrà decidere impari cosa è un evento sportivo.

Come da programma e da previsioni Luna Rossa ha battuto Artemis nella quarta regata della finale Louis Vuitton Cup e si prepara a incontrare Emirates Team New Zealand dal 17 agosto al meglio di sette regate. E’ la terza volta in quattro sfide che Luna Rossa accede alla finale sfidanti, un bel risultato per un team in gran parte nuovo.
La quarta regata ha una storia leggermente più complessa delle altre tre, con due penalità somministrate agli svedesi, una in partenza e una per aver superato i confini del percorso, ma la sostanza è quella: Luna Rossa ha vinto con un vantaggio di due minuti e undici secondi.  La finale sfidanti era l’obiettivo di Patrizio Bertelli quando ha lanciato la sua quarta sfida e quindi si realizza. “Ho anche la soddisfazione di accedere alla finale con il budget più basso delle mie quattro sfide, nonostante queste barche complicate e il momento difficile della Coppa America”, in un momento in cui la critica di tutto il mondo a questa Coppa America è il budget eccessivo è anche una bella affermazione che fa apparire il budget più una scusa generica che una realtà: anche per altri sarebbe stato possibile partecipare, per esempio facciamo nomi Azzurra, se avesse avuto le idee più chiare e non si fosse fatta intimorire subito dai budget e dal catamarano.
Luna Rossa ha scelto di comprare il progetto neozelandese, scelta fatta a freddo sapendo che non sarebbe stato facile sviluppare la barca ulteriormente ma che sarebbe stato possibile partecipare con buone prestazioni arrivando vicini ai kiwi. Per Patrizio Bertelli d’altra parte, per la sua grande passione, era difficile restare fuori: voleva esserci, fare esperienza sui cat che forse non vuole più, ma non importa. “Credo che per avere successo di pubblico questa Coppa abbia presentato troppe novità: le barche, il percorso, e la mancanza di sfidanti – ha detto Bertelli – stanno giocando contro”.  Ma ci sono errori organizzativi di un certo rilievo, soprattutto nella gestione dello spettacolo, dei diritti televisivi. A San Franscisco hanno costruito tribune da cui non si vede quasi nulla ma si paga il biglietto e dopo l’incidente di Artemis hanno dovuto restituire i soldi. Il tentativo molto americano di vendere anche le mutande è servito poco.
Nei prossimi giorni nella base italiana si lavora a modifiche alla barca. Radio banchina dice che Luna Rossa cercherà di usare delle nuove derive che possono cambiare forma nel lato di bolina, che sarebbero in arrivo dopo esser state costruite in Italia presso il cantiere Persico, dove sono stati realizzati gli scafi. Cambiare come? Un progetto che ha l’aria dell’arma segreta che potrebbe sorprendere i neozelandesi che sono i favoriti.  Potrebbero favorire il foiling di bolina oppure al contrario ridurre il drag (la resistenza) in assenza di foiling raddrizzando il profilo della L.
Dice Bertelli: “Il nostro obiettivo era arrivare in finale e ci siamo riusciti. Credo che battere Emirates Team New Zealand sarà molto difficile, loro hanno una seconda barca e le chiavi dello sviluppo del progetto, che noi abbiamo comprato e che abbiamo faticato ad evolvere”. Ma chissà, adesso è il momento di sperare nel botto conclusivo, nel grande slam con un ritrovato tecnologico, del resto tutti dicono che le “piattaforme” contano meno dei “fin” ovvero del sistema di timoni e derive.
Gli svedesi chiudono con dignità dopo il dramma che li ha travolti. L’armatore di Artemis, Torbjon Tornqvjist,  ha affermato: “tornerò un’altra volta, aspettiamo che finisca questa edizione e che venga definito il formato della prossima edizione, ma il desiderio resta. Sono arrivato in un mondo nuovo che ancora non conosco per intero, però mi affascina”. La campagna di Artemis è costata circa il doppio di quella di Luna Rossa e hanno partecipato a quattro regate, significa circa venti milioni di euro a regata persa. Tanta roba… Qual è l’errore commesso? Il progetto è nato male, e l’inseguimento degli avversari hanno pesato più dell’incidente mortale che certamente è costato tempo. Come ricorda lo skipper italiano Max Sirena: “abbiamo battuto un team che è andato in acqua un anno e mezzo prima di noi e che ha potuto fare un lungo sviluppo tecnologico della barca. Ora faremo il massimo per farci trovare pronti contro Team New Zealand, in questa terza finale della Vuitton Cup per Luna Rossa.”

 

 

 

 

 

 

Si regata nel sud dell’Australia, il club del defender è il Royal Perth Yacth Club sul campo ogni giorno soffia con regolarità un vento gagliardo, si chiama Freemantle Doctor. E’ una delle edizioni più belle della storia, per numero di sfidanti e qualità delle battaglie. Le regate? Le foto? Sono spettacolari. Circolano filmati del tempo che restituiscono una atmosfera autentica, di spettacolo ma anche di genuinità sportiva. Dennis Conner dopo la brutta sconfitta dell’83 vuole la rivincita e dunque riportare la Coppa in America, a casa sua. Con la sua Stars & Stripes, iscritta per il San Diego Yacht Club, batte per quattro volte il defender Kookaburra III armato da Kevin Parry e portato da Iain Murray e Peter Gilmour. Alan Bond e John Bertrand dopo la storica vittoria si sono ritirati da vincitori e hanno lasciato ad altri la difesa della Coppa: per Bond sarebbe stata la quinta partecipazione. Gli sfidanti sono dodici di cui cinque americani, li Challenger of Record (organizzatore delle regate di selezione) è lo Yacht Club Costa Smeralda. Oltre a Conner ci sono il New York Yacht Club con America II, poi ci sono Heart of America, Eagle, Usa. Dall’Inghilterra arriva White Crusader, c’è Canada II. Due sindacati francesi: French Kiss di Marc Pajot fa scalpore, c’è anche Challenge France del fratello Yves. Due gli italiani: sono Italia con i fratelli Tommaso ed Enrico Chieffi che finisce a ridosso dei migliori e ancora Azzurra, purtroppo molto lenta. Il sindacato italiano costruisce ben quattro scafi alla ricerca di quello che lo soddisfa, ma questo non basta. Durante i Round Robin e le semifinali a fare scalpore è New Zealand, la prima sfida costruita da Michael Fay. Il progetto è di Bruce Farr, la costruzione in fibra di vetro: è il primo e unico 12 metri S.I. realizzato in questo materiale. Al timone c’è il giovane Chris Dickson. Prima di incontrare Stars & Stripes nella finale Louis Vuitton Cup vince 37 regate su 38, sembra imbattibile. Ma il vecchio leone americano lo demolisce vincendo quattro regate, una la perde per un’avaria. Dalla sconfitta però nasce un team che saprà, con diverse configurazioni, essere presente e vincere la Coppa fino a diventare una autentica nazionale della vela neozelandese.La vittoria di Conner è costruita con determinazione, una campagna “scientifica” dove ha un ruolo importante John Marshall che coordina disegno e prestazioni. Decisiva la scelta di cambiare la poppa della barca dopo la prima fase di regate, modifica possibile per la costruzione di alluminio, per renderla più potente con vento forte.

 http://www.youtube.com/watch?v=D2ZKhoqie1A

È l’edizione che cambia la storia del Trofeo: Australia II di Alan Bond, condotta da John Bertrand e iscritta per il Royal Perth Yacht Club, il 26 settembre riesce a battere nella settima regata, che consacra il punteggio di quattro a tre, Liberty di Dennis Conner,  defender per il New York Yacht Club. Tutto avviene nell’ultimo lato di poppa, quando Conner rinuncia alla manovra di copertura classica dell’avversario e lascia uno spiraglio aperto. Così, dopo 132 anni, la Coppa cambia finalmente padrone.
Australia II è una barca particolare: disegnata da Ben Lexcen, ha una chiglia rivoluzionaria con le alette che è rimasta nascosta fino alla fine, provata a lungo nella vasca navale di Vageningen in Olanda sotto la direzione di Van Oossanen. Ma a bordo ci sono molte innovazioni: un metodo professionale di allenare l’equipaggio, le prime vele triradiali disegnate da Schnackenberg. La vittoria è costruita per somma di particolari. È anche l’edizione della prima Louis Vuitton Cup, la regata di selezione degli sfidanti voluta dal barone Bich nel 1970 trova sponsor per volere del presidente Henri Racamier. Gli sfidanti sono le altre australiane Advance di Syd Fisher e Challenge Twelve, l’inglese Victory, la canadese Canada e France 3.
Tra gli sfidanti dall’Italia arriva Azzurra, prima partecipazione italiana. È condotta da Cino Ricci che ha scelto come timoniere Mauro Pelaschier, è voluta da Karim Aga Khan e Gianni Agnelli porta il guidone dello Yacht Club Costa Smeralda. Il progetto è di Andrea Vallicelli e la costruzione di Marco Cobau. Azzurra vince ventiquattro regate su quarantanove e nelle semifinali non riesce a battere Victory per un soffio, nella regata determinante Azzurra si ritira per una piccola rottura e subito dopo anche gli inglesi hanno una avaria più grave: se gli italiani non si fossero ritirati avrebbero potuto anche navigando con prudenza battere gli avversari. La barca inglese passa il turno e viene poi sconfitta nella finale sfidanti da Australia II per quattro a zero. L’Italia scopre la Coppa America, Azzurra diventa il nome di molte bambine e anche pizzerie.

Azzurra, lo storico nome legato che per ha portato per la prima volta l’Italia in Coppa America con la sfida per la edizione 1983 a Newport torna sul palcoscenico della grande vela. Dopo aver rinunciato ad allestire una sfida per la edizione 34 della Coppa è il nome di una barca che partecipa al circuito MedCup Audi, che si corre con le barche della classe TP52, una formula inventata per traversare l’Oceano Pacifico da San Francisco alle Hawaii presa a prestito per queste regate tra le boe, il successo del circuito è stato deciso da Juan Carlos di Borbone qualche anno fa ha scelto di costruire una barca (le barche del Re si chiamano Bribon, che significa più o meno ragazzaccio) per partecipare “sdoganando” di fatto il neo nato circuito. La prima tappa è in corso a Cascais, L’armatore di Azzurra è Alberto Roemmers, appassionato socio argentino dello Yacht Club Costa Smeralda, la barca è nuova costruita su progetto di Rolf Vroljik (quello di Alinghi per non sbagliare) le basi di organizzazione ed equipaggio sono quelle di Matador, nome della barca precedente dello stesso armatore con skipper Gulliermo Parada e l’addizione non superflua di Francesco Bruni, uno dei migliori velisti nazionali e Vasco Vascotto, che merita la medesima definizione. Il progetto è seguito in prima persona dal Commodoro dello Yacht Club costa Smeralda Riccardo Bonadeo, madrina del varo è stata Zahra Aga Khan. Bonadeo dopo aver accarezzato il sogno di rilanciare una sfida con il nome Azzurra in Coppa America partecipando al Louis Vuitton Trophy conserva un altro sogno nel cassetto, quello di un giro del mondo in equipaggio Volvo Race. Dice Bonadeo: “Cerchiamo qualcosa che tenga viva l’icona di Azzurra, quando ci siamo noi c’è subito un nuovo interesse per la vela e il mio impegno è di riuscire a trasmetterlo in maniera corretta. Insomma Azzurra fa bene al futuro della vela. Il mio sogno resta il giro del mondo che resta la regata di riferimento per molti di noi”. Bonadeo, che per le sue barche usa il nome di Rrose Sélavy, pseudonimo femminile dell’artista Marcel Duchamp, commenta anche la situazione della Coppa America che ha perso il Challenger of Record Mascalzone Latino: “come molti sanno io e Vincenzo Onorato abbiamo discusso e non dovrei esser io a commentare la situazione … in realtà mi spiace molto quello che è successo e do atto a Vincenzo di aver fatto una grande fatica per portare l’evento su binari ragionevoli, per renderlo un gioco possibile sia per lo spettacolo che per i budget. Adesso penso tutto il peggio possibile, proprio non mi piace”. Gli avversari forti di Azzurra sono Synergy (Russia), Quantum Racing (Usa), Ran (Svezia), Container (Germania) e All4One (Francia-Germania), Bribon (Spagna). Le tappe del MedCup 2011 saranno cinque. Il 16-24 maggio; 14-19 giugno a Marsiglia; 19-24 luglio a Cagliari; 23-28 agosto a Cartagena; 12-17 settembre a Barcellona. Dal 2 all’8 ottobre lo Yacht Club Costa Smeralda ospiterà a Porto Cervo il TP 52 World Championship 2011.