Giovanni Soldini ha conquistato con Maserati il record sulla rotta Hong Kong Londra, ha impiegato 36 giorni, 2 ore e 37 minuti per battere di cinque gionri il record precedente stabilito da Gitana 13. Ha navigato, come dice Giovanni “a canna morta” traducibile in qualcosa che significa, di più non potevamo correre. Lui e il suo equipaggio sono arrivati a percorrere  644 miglia in 24 ore,  una misura che è da record fino agli anni 2000 ma che è stata polverizzata da Banque Populaire di Pascal Bidegorry nel 2009, un trimarano di 40 metri che ha percorso in una giornata 908 miglia alla media di 37,84 miglia nautiche per ora nella sua folle corsa per battere il record di traversata atlantica, che ha conquistato fermando i cronometri dopo 3 giorni 15 ore e 25 minuti. Dopo ha anche stabilito il record attorno al mondo in 45 giorni e 13 ore, poi battuto da Idec di Frank Cammas  che che ha impiegato solo 40 giorni e 23 ore.
Sono le burrasche meravigliose che di solito consentono di spingere le barche senza risparmio, come hanno sempre fatto marinai indiavolati, di solito più vicini alla incarnazione del capitano Achab che a quella del bravo ragazzo.  In realtà la corsa di Giovanni si è giocata più sulle bonacce equatoriali che sulle giornate di vento forte e infatti aveva scelto l’assetto della barca non foiling, proprio per essere più rapido e sicuro nelle andature di bolina e con poco vento. Seguito alla perfezione dal routier  Pierre Lasnier  ha sbagliato poco, quasi nulla.  Tre i momenti chiave: la rottura del timone sbattendo contro un oggetto prima di superare Capo di Buona Speranza, il passaggio del famoso capo dove il tempo era brutto così come il passaggio del golfo di Biscaglia che ormai Giovanni conosce molto bene.
Il recordismo se da una parte ha una forte spinta verso la ricerca e la velocità dall’altra ha le sue trappole:  in tempi di caccia alla comunicazione facile sono stati inventati record per ogni piccola o grande rotta al grido di purché se ne parli. Il risultato è che il pubblico ha perso contatto con le difficoltà ed è diminuito il significato dell’impresa per quelli veri. Il popolo dei social non ha mancato di accorgersene e di mettere in dubbio, nel suo grande cinismo, il valore di alcune di queste avventure.
Il mondo, che è stato scoperto a vela e dove i marinai hanno piantato le prime pietre delle nostre grandi città che prima di tutto erano porti,  è stato diviso nel tempo in grandi rotte commerciali, che hanno segnato la storia. Questa è una di quelle. Certo ci sono delle differenze: quando a metà 800 è stata istituita la corsa del The che ha avuto una risonanza mediatica formidabile i clipper che impiegavano 98 giorni avevano nella pancia un carico prezioso di 800 tonnellate, composto da  the o spezie,  vasellame in bone china. Il trimarano di Giovanni è una farfalla dove ci stanno appena i velisti a dormire e la loro pentola a pressione per cuocere il vero propulsore dell’impresa, la pasta, cui Giovanni non rinuncia mai, che sia nella sua bella casa con vista mare o negli oceani tempestosi.
C’ è altro da raccontare:  l’armatore di Maserati, che è l’ex Gitana XV, si chiama John Elkan, nome che non occorre presentare ai lettore de Il Sole 24 Ore e che spesso naviga con Giovanni Soldini. Le famiglie de Rotshild che ha recentemente festeggiato i 140 anni di barche che si chiamano Gitana e Agnelli hanno condiviso molte imprese veliche, in un intreccio che ha visto protagonisti i grandi imprenditori europei e non solo quelli. Il cat di trenta metri Gitana 13 detentore del record precedente era nato per il giro del mondo senza scalo, che ha vinto con il nome di Club Med al comando di Grant Dalton, l’uomo che ha finalmente riportato la Coppa America in Nuova Zelanda. Lo raccontiamo per dire che a bordo con lui nel 2000 c’era l’italiano Stefano Rizzi, altro marinaio di straordinaria esperienza, che era riuscito a nascondere prima della partenza un prosciutto dentro l’albero di carbonio che solo dopo un po’ è stato scoperto dallo skipper.
In molti vorrebbero Giovanni Soldini al comando di una barca che partecipa al giro del mondo Volvo Ocean Race, e lui ci aveva provato concretamente, sempre con l’aiuto di John Elkan, comprando un monoscafo per prepararsi e allenarsi. Purtroppo esiste una difficoltà: lo sponsor principale della regata è Volvo, marchio concorrente di Maserati e di qualsiasi altro marchio automobilistico e questo ha finito per essere un problema concreto per gli uomini del marketing. Però chissà magari ci riesce e riporta l’Italia in quel palcoscenico che ci ha visto protagonisti con Falk e tanti altri.

La Vendee Globe al momento è l’unico giro del mondo a vela che vale la pena di seguire: solitario, eroico, senza scalo, senza aiuto, immagini forti di planate. E’ la grande vela epica della Great Circle Route, quella degli esploratori. Nata per essere una sfida assoluta in stile francese ha sofferto all’inizio per le regole troppo libere e i pochi compromessi voluti dopo i disastri delle prime edizioni, riguardano soprattutto e giustamente la sicurezza. Gli incidenti, ribaltamenti e avventure varie, hanno spinto a prendere pochi provvedimenti fondamentali, che hanno salvato la vita ad alcuni, lavorando su particolari delle barche e vincoli sulla rotta che non può scendere troppo a sud. Questo non ha impedito di scendere dai quasi 120 giorni della prima edizione a 80 con un progresso di velocità incredibile. Del resto si tratta sempre di raggiungere un compromesso: troppe regole ammazzano l’evento, poche regole ammazzano i partecipanti. Il pericolo o la morte sono fin dal tempo dell’antica Roma un ingrediente dello spettacolo, tuttavia nel quarto millennio della civiltà, con un parlamento europeo che non pensa ad altro che alzare il livello di sicurezza di ogni manifestazione umana, anche lo show business (perché di questo si parla in presenza di sponsor) deve essere sicuro. Alla Vendee insomma, come ad altre regate, dobbiamo essere in grado di togliere il rischio di vita e lasciare lo spettacolo. Sono partiti in venti e dopo pochi giorni di regata sette, tra cui alcuni dei meglio preparati erano già all’ormeggio. Un paio sono finiti addosso a barche da pesca, altri hanno rotto qualcosa. Bisogna partire… ma anche tornare a casa. Suona incredibile che un velista esperto come Vincent Rioux si sia giocato la partecipazione per non avere un tirante del bompresso di ricambio, e che in una posizione esposta lo abbia scelto di carbonio: in acciaio sarebbe pesato solo poco di più con ben altre garanzie di durata. Le barche sono ancora una volta troppo fragili cosi come lo sono state quelle della Volvo Race, regata dove nessuno ha finito senza almeno un problema grave alla barca. Non si può più assumere per vera una battuta, cioè che se una barca non si rompe è troppo pesante, bisogna saper progettare e costruire barche che arrivano in fondo… e saperle portare a casa. Un passo indietro? No, è un passo avanti, sarebbe il progresso vero, utile.

Team Telefonica ha vinto la prima tappa della Volvo Ocean Race, Alicante CapeTown. Una vittoria ben conquistata dallo skipper Iker Martinez, due medaglie alle Olimpiadi, due Volvo Race con Telefonica e una Barcelona Race chiusa al secondo posto  con il suo prodiere di 49er  Xabi Fernandez dopo aver vinto il terzo titolo mondiale della classe olimpica. E’ quasi certo che finita la Volvo, finite le Olimpiadi di Londra raggiungerà Luna Rossa per diventare timoniere titolare. Dopo una bella girandola di nomi si potrebbe vedere un pozzetto fatto di olimpionici Martinez e Bruni. Martinez è uno che corre… sul 49er e sul Vor 70 è facile la consuetudine con l’alta velocità. Dopo Telefonica sono arrivati Camper, autore di un errore di navigazione piuttosto sciocco all’uscita del Mediterraneo, e Groupama autore di un errore molto sciocco: ha preteso di navigare verso l’Africa sottocosta, una trappola in cui non cadevano neanche i navigatori del principe Enrico nel 500. Gli altri tre si sono ritirati: due alberi in mare, quello di Abu Dhabi e di Puma e una delaminazione a prua di Sanya.
Abu Dhabi ha scelto il ritiro dopo essere ripartito, Sanya si è fermata per ricostruire una nuova prua. Le due barche stanno raggiungendo Cape Town in cargo. Lo stesso destino toccherà a Puma ma con una avventura molto più rocambolesca, perchè non ha rotto in Mediterraneo ma in pieno Atlantico del Sud, dove soccorso e assistenza sono molto difficili. Ken Read ha deciso di navigare a motore e con una vela di fortuna verso l’isola di Tristan da Cunha, aveva poche altre scelte, un cargo gli ha passato il gasolio. Il programma è di caricare la barca sul cargo Team Bremen, il difficile è che l’operazione va fatta in mezzo al mare sebbene al ridosso dell’isola perchè non si può entrare in porto e per issare la barca è stata costruita una gru di fortuna. Il cargo si è mosso apposta per il recupero della barca da Città del Capo dove era fermo in attesa di commesse. L’albero di Abu Dhabi è caduto per il cedimento della check stay e il successivo della D2, non chiaro quello di Puma Mar Mostro, che ha rotto dopo aver ridotto la randa. Il quesito adesso per i due team è questo: ci dobbiamo fidare del secondo albero identico? Già, se non sono errori di manovra sono errori di calcolo o rigging, e allora come si fa a tenere il piede sull’acceleratore senza pensare a modifiche? Tre ritiri su sei partecipanti pongono perlomeno qualche quesito sui perchè di questa regata e su come dovrà essere una prossima volta.  

Dopo poche ore dal via della Volvo Ocean Race due barche  hanno subito danni nelle pesanti condizioni meteo incontrate subito dopo il via. Abu Dhabi è precipitata da un’onda verticale e ha rotto l’albero. Dopo aver recuperato quel che poteva, soprattutto la preziosa randa, ha dato motore per rientrare ad Alicante e aspettare l’albero nuovo. Per lo skipper Ian Walker è stato un brutto momento. Fervono i lavori per poter rientrare in regata. Anche Sanya, la barca con bandiera cinese portata da Sanderson ha subito un grave incidente, con una estesa delaminazione della zona di prua. Alcuni dicono provocata da un impatto con un oggetto semisommerso. Sanya tuttavia è una barca che ha già una edizione del giro del mondo sulle spalle e non sarebbe da escludere un cedimento del composito per fatica. Ai tempi della Whitbread, quando la regata era un evento “semi” professionale o comunque il professionismo non aveva raggiunto i livelli contemporanei il ritorno in porto non era mica raro, ai molti partecipanti con barche con cui adesso non andremmo neanche a Capo Corso mancava sempre qualcosa. Fino alla sera prima del via era uno stridere di cacciaviti e un passaggio di provviste. Altro che il “day off” con abboffata e dormita prima del via. Si cominciava a dormire dopo…. Dunque di sei concorrenti ne restano quattro davvero in competizione per vincere la prima tappa. Abu Dhabi ha ripreso il mare ma è evidente che la sua navigazione, sebbene ancora formalmente in regata sarà in sostanza un trasferimento senza prendere troppi rischi, magari con la speranza di  agganciare qualche ritardatario che ha commesso errori tattici. La sua regata ricomincia a Cape Town. Sanya ha rinunciato alla prima tappa  anche se è evidente che arrivare a CapeTown è comunque necessario completare le riparazioni. Insomma, qualche domanda, pur nello spettacolo complessivo e nella complessa macchina mediatica fatta di cronache in diretta, gioco virtuale e tante altre cose, sorge spontanea. La Volvo Race era criticabile per la sua formula prima ancora che partisse: troppo pochi sei concorrenti. Adesso? E l’altra domanda è: se Giovanni Soldini fosse partito con la sua barca, che come Sanya ha già un giro alla spalle che rischi avrebbe preso? La risposta sta nel collisione si, collisione no, anche se il fianco sembra aver perso la pelle superficiale e l’anima del sandwich in un distacco. Una collisione forse avrebbe provocato un vero buco.

E’ previsto vento forte per la partenza della Volvo Race, il giro del mondo a vela in equipaggio. I sei equipaggi si infileranno dentro una prima perturbazione con vento a 25 nodi e mare incrociato. Dopo il via di Alicante bisogna navigare per 6500 miglia prima di raggiungere il traguardo di Città del Capo per concludere la prima tappa. Se riusciranno ad uscire indenni dall’inizio duro con l’uscita dallo stretto di Gibilterra, i sei team tenteranno di battere il record di percorrenza sulle 24 ore di 596.6 miglia, stabilito da Ericsson 4 proprio nella prima frazione della scorsa edizione. Le barche, costruite con la regola Vor 70, sono davvero spettacolari in molti aspetti, sono monoscafi davvero velocissimi. Sei concorrenti sono un po’ pochi per un evento che è nato come la grande avventura attorno al mondo. Colpa dei budget indubbiamente, ci vogliono almeno diciotto milioni di euro per prendere il via, ma anche di una crisi strutturale dell’evento che inseguendo leggi di marketing contemporaneo ha diluito la vena poetica con una serie di scelte non del tutto sportive. Le tappe e gli eventi, tanto per essere espliciti, sono modellati su esigenze di mercato di sponsor e partecipanti piuttosto che sulla dura legge del mare. La formula attuale, oltre tutto con classifica a punti, è molto lontana dalla originaria inventata da mr Whitbread. La classifica a punti resta un invalicabile baluardo delle ultime edizioni, scelta per tenere in gioco chi rompe l’albero e dare valore alle innshore race è pressochè incomprensibile al grande pubblico generalista, che vorrebbe vedere protagoniste le lancette del cronometro. Come al Tour de France si potrebbero fare diverse classifiche, premiare certi arrivi con abbuoni in tempo. Questo cambierebbe radicalmente la tattica di regata e la scelta delle barche adesso improntata al controllo degli avversari con decisioni mai estreme. I partecipanti sono sei, uno corre a bordo di una barca della scorsa edizione, si tratta del team cinese Sanya di Mike Sanderson, già skipper di Abn Amro One vincitore nel 2005-2006. Il colosso nell’abbigliamento sportivo Puma schiera una barca condotta da Ken Read, versatile timoniere. Puma sta investendo molto nella vela, e ha raggiunto un accordo anche con l’organizzazione della Coppa America. Camper ha sponsor spagnolo e equipaggio neozelandese guidato dallo stesso Grant Dalton che ha vinto un paio di volte e che conduce il team in Coppa America. I kiwi hanno scelto di partecipare alla regata attorno al mondo in un momento di incertezza dell’altro evento per confermare il loro ruolo di nazionale della vela per la Nuova Zelanda, fa un certo effetto vederli vestiti di un bel rosso vermiglio e non di nero. Abu Dhabi, che ha costruito un grande marina e ha forti interessi nella nautica, ha una barca timonata dal’inglese Ian Walker. I francesi tornano dopo diciotto anni di assenza con una barca condotta da Frank Cammas, espertissimo di multiscafi e detentore di molti record, che issa Groupama, per lui lo sponsor di sempre. In qualche modo è il più atteso per la sua confidenza con gli oceani. Chiude il pacchetto dei concorrenti la spagnola Team Telefonica portata da Iker Martinez. Le sedi di tappa sono dieci: Alicnate, Capetown, Abu Dhabi, Sanya in Cina, Auckland, Itajai, Miami, Lisbona, Lorient e Galway. Per paura dei pirati della Somalia dopo la partenza da Abu Dhabi le barche saranno dirette verso un porto segreto, caricate su una nave e rimesse in acqua in una località sicura.


I magnifici dieci, Frank Cammas e i suoi nove compagni, hanno chiuso un’altra partita importante. Hanno navigato attorno al mondo in meno di 50 giorni, per la precisione in 48 giorni, 7 ore e 44 mnuti. Il record precedente era di Bruno Peyron fissato in 50 giorni, 16 ore e 20 minuti, stabilito con il catamarano Orange II. Il trofeo Jules Verne era nato per battere gli ottanta giorni del famoso romanzo con protagonista Phileas Fogg. Il primo a riuscirci era stato proprio Bruno Peyron nel 94 con il catamarano Commodore Explorer, allora era sceso di poco sotto gli ottanta giorni, 79 giorni 6 ore e 15 minuti. I record sono tutti polverizzati, le velocità che prima erano impensabili raggiunte con facilità. Cammas, che lo ricordiamo è stato anche l’uomo che ha propiziato la vittoria di Bmw Oracle come consulente del team, è al momento l’uomo più veloce del mondo. Dice “potevamo fare meglio ma abbiamo incontrato una serie di sistemi meteo non proprio propizi, ma voglio lasciare a qualcuno la possibilità di batterci, non mi rimetterò in corsa con me stesso”. Il velista francese, ben noto nel circuito oceanico, ha un nuovo obiettivo per il futuro: la Volvo Race, per cui sta preparando un dream team con lo stesso sponsor e il progetto di Juan Koumdjian. Dovrà vedersela con New Zealand di Grant Dalton, che sta preparando un team per partecipare al suo vecchio amore, ma vuole che la regata arrivi a Auckland per partecipare.

La corsa del trimarano francese, che ha stabilito il record dell’Indiano e quello del Pacifico, ha subito un forte rallentamento dopo il passaggio di Capo Horn. Il vento è poco e la rotta scelta, lontana dalle coste del Brasile, non sembra produttiva. Il risultato è un ritardo di 240 miglia. Non sono molte viste le velocità che questi trimarano possono produrre, ma è ma il risultato finale, scendere sotto i cinquanta giorni attorno al mondo, può essere più difficile da raggiungere.

Nella foto Capo Horn

qui la cartina con la rotta
Groupama – Jules Verne