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Con qualche giorno di anticipo sulla data promessa, il 31 marzo, il Defender della Coppa America, Royal New Zealand Yacht Squadron e il Challenger of Record Circolo della Vela Sicilia (ovvero Luna Rossa) hanno presentato il regolamento che sarà alla base della costruzione delle nuove barche AC 75 per il match della edizione numero 36, campo di regata Auckland nell’estate australe del 2021. Il regolamento rispetta quanto scritto finora, ovvero monoscafo foiling di 75 piedi (22 metri circa). Sarà una barca complessa: per alzarsi sull’acqua è previsto un sistema di pinne e zavorre mobili. In pratica durante la navigazione la pinna sottovento resta in acqua esprimendo il sostentamento necessario al sollevamento, mentre quella sopravento sarà zavorra, il contrappeso necessario per contrastare la forza della vela. La vela principale è una specie di ala non rigida, una vela che un artificio di stecche e strutture renderà “spessa” e non una semplice superficie. Non tutti sono felici di questa scelta compromesso che nasconde da una parte la voglia di essere riconoscibili al grande pubblico, che considera la barca monoscafo, e dall’altra il desiderio dei progettisti vincitori di mantenere il vantaggio conquistato nelle ricerche fatte per vincere a Bermuda lo scroso giugno.  Sono in molti a dire che una volta deciso di abbandonare i catamarani dell’ultima edizione un ritorno più radicale alla tradizione, con un grande monoscafo solo planante non foiling ma comunque spettacolare e maneggevole,  avrebbe giovato all’evento. La barca avrà alcune parti comuni tra i diversi team: il sistema di movimento delle pinne/zavorra, il profilo dell’albero, il rigging ovvero l’attrezzatura dell’albero.  Ci saranno limiti di costruzione per molti componenti , per ridurre i budget complessivi. Si sa bene che la Coppa può diventare facilmente un pozzo di San Patrizio, chi ha soldi cerca in ogni modo di convertirli in velocità. Il nostro Patrizio, ovvero Bertelli alla sua sesta sfida al massimo trofeo velico, ha preso di petto la vicenda: con Prada sarà sponsor di un team con ambizioni di vittoria, ma anche lo sponsor delle regate di selezione degli sfidanti. Quella per intenderci che era la Louis Vuitton Cup e che hanno vinto sia Luna Rossa sia il Moro di Venezia. Il consiglio di amministrazione della maison ha deciso di finanziare il team con 65 milioni di euro: non è chiaro, solo molto probabile, se sarà anche il budget del team o se ci saranno altre iniezioni di denaro con altri sponsor. Luna Rossa si è assicurata il diritto dovere di essere il COR, cioè il Challenger of Record, primo degli sfidanti e responsabile dei rapporto con il defender e gli altri sfidanti. La piccola organizzazione per il momento conta super esperti di Coppa America: Laurent Esquier, Matteo Plazzi (che va ricordato vincitore a bordo di Oracle nel 2010), Alessandra Pandarese e Jennifer Hall. Il team italiano sarà condotto da Max Sirena con Francesco Checco Bruni e l’americano James Spithill che è stato assunto poche settimane fa. Base operativa Cagliari. Ci sono altri sfidanti? Pochi per il momento, i più dotati di denaro, sulla carta più di Luna Rossa, sono il team America Magic con Terry Hutchinson per il  New York Yacht Club e Land Rover Bar di sir Ben Ainslie per il  Royal Yacht Squadron. Budget oltre i 100 milioni di euro. In Italia è noto il desiderio di partecipare di Adelasia di Torres, sindacato di base sarda e con probabili denari medio orientali. Un sindacato australiano non è ufficializzato, così anche uno cinese e un altro italiano. Alla finestra per il momento restano Alinghi il cui patron Ernesto Bertarelli ama i catamarani e Artemis, due volte partecipante e ora in difficoltà di budget e per rispettare le regole sulla nazionalità. Probabilmente parteciperanno a un circuito parallelo organizzato con i “vecchi” cat trasformati in monotipo da Russell Coutts, con potenziale sponsor Louis Vuitton, che avrà il sapore della regata degli esclusi, una prova di forza cui la Coppa ci ha abituato: il lettore non si agiti, tanto vince sempre la vecchia Coppa questi confronti. Si, uno dei più forti vincoli della prossima Coppa saranno le regole per la nazionalità di residenza e provenienza dell’equipaggio. In pratica è richiesto un numero di giorni che impedirebbe all’equipaggio svedese di allenarsi per un tempo congruo in mare cosa impossibile per il lungo congelamento del mare e comunque la temperatura rigida. Per il sindacato svizzero il limite potrebbe essere simile. Insomma una regola che una volta comunicata qualche mese fa aveva suscitato critiche per essere troppo leggera sta diventando invece un limite alla partecipazione. Non solo il 20% dell’equipaggio deve avere la cittadinanza ma la gran parte degli stranieri devono comunque avere un periodo di residenza e presenza piuttosto lungo. La speranza adesso è di arrivare a  cinque, sei sfidanti: non gli otto dieci che si sperava.  Sarà una bella Coppa America, soprattutto perché Bertelli ha imposto una visione popolare della distribuzione dei diritti Tv, delle immagini e di quanto fa social. Questa,  tra tutte, sarà probabilmente la novità più determinante per la conquista del pubblico che ancora non c’è.

Ernesto Bertarelli è alle Bermuda con il suo favoloso Vava2, nave a motore su cui ha lavorato per due anni al design, che è costata altri due anni per la costruzione. Si sposta ogni giorno cambiando spot nella baia. Segue in particolare il circuito Red Bull dove è iscritto un team svizzero, ma è qui ovviamente per la Coppa America. La sua passione. Sono tutti convinti che ritornerà. Lo farà, probabilmente, se restano i multiscafi, che gli sono sempre piaciuti e con cui ha corso il Bol D’Or la famosa regata su lago di Ginevra. Berterelli e il suo Alinghi hanno scritto la storia della Coppa America dal 2000, quando si è presentato a Auckland per assumere Russell Coutts e i suoi fedelissimi, fino al 2010 anno in cui è stato sconfitto da Larry Ellison con BMW Oracle. “Sono circolate voci sulla mia intenzione di fare il Challenger of Record – ha detto – non lo farò”.

Possiamo dire che finalmente si gode la Coppa America da spettatore?

“Sono qui sereno, neutrale, me la godo come una bella festa e con me sono tutti simpatici. Per una volta non ho nessun problema con nessuno, mi diverto e non è lavoro. La Coppa fa parte della mia vita ce l’ho nel sangue.  Sono stato invitato sulla barca francese da Franck Cammas ed è stato molto divertente. La cosa di cui sono più orgoglioso oggi sono i dieci giorni che ho passato qua e l’amicizia con le persone che ho incontrato in questi anni. Da chi lava il tender ai giornalisti, agli atleti. Mi hanno accolto bene anche dopo una edizione mancata”.

Le piace Emirates Team New Zealand?

“Sono tutti sorpresi dalla velocità dei kiwi e ancora una volta hanno dimostrato di avere inventività: anche solo da vedere la barca è più bella di quella americana. Nel primo week end c’è stato il vento giusto vediamo se aumenta cosa succede, non è ancora fatta”.

E’ vero che ha fatto la pace con Russell Coutts?

“Ho visto Russell,  sono andato a casa sua e abbiamo discusso di tutto ma soprattutto non di vela. E’ sempre difficile sapere cosa pensa lui ma credo di alcune cose sia soddisfatto. Il prodotto televisivo è buono, le regate delle selezioni sono state interessanti combattute”.

Pensa che Peter Burling sia il Russell Coutts del nuovo decennio?

“Si, ha proprio lo sguardo del killer. Penso che sia un vero talento e mi sembra che sia anche un ingegnare capace”.

Se vince la Nuova Zelanda ci sarà un ritorno ai monoscafi?

“Io penso che sarebbe un grandissimo errore perché oggi se si deve fare un monoscafo moderno bisogna comunque aggiungere qualcosa sotto, foil derive basculanti, e la barca diventa complicata. Personalmente non credo fatto al monoscafo, agonisticamente ho iniziato con i multiscafi e li trovo entusiasmanti. Bisogna anche comprendere che c’è un problema di concorrenti, quando si potevano costruire più barche una delle due utilizzate in una edizione poteva andare a un team che entrava, venduta o in prestito nella successiva.  Adesso non c’è questa possibilità ed è difficile fare esperienza e avvicinarsi al livello necessario e acquisire velocità. Penso che il problema sia lo stesso qualunque team vinca. Sarà difficile trovare concorrenti”.

Che formato suggerisce per una prossima Coppa, se fosse nella stanza dei bottoni a decidere cosa proporrebbe?

“Se dovessi fare il COR di sicuro manterrei le barche, queste perché ce ne sono già sei. Darei un piccolo vantaggio alle squadre che entrano come si fa in certe classi dove ai nuovi arrivati si danno un paio di vele in più. Una squadra nuova potrebbe avere qualche foil in più, in maniera che se sbaglia clamorosamente può rientrare in gioco. Cercherei di fare la prossima edizione tra due o tre anni al massimo e non quattro.  Due anni non è male anche per una squadra che arriva nuova. I costi sono minori. Farei molte più regate di circuito. Lascerei stare gli AC 45 che non significano più nulla e non vanno in foil con poco vento. Farei  al più presto regate di circuito con le barche di Coppa”.

La nazionalità è un altro argomento su cui si discute molto.

“Se devo essere egoista una volta sarebbe stato un problema per la Svizzera, adesso abbiamo una generazione di giovani che hanno 20 / 25 anni e quindi molti più marinai che all’epoca. La Coppa ha più bisogno di team che della regola della nazionalità e quindi dobbiamo trovare un equilibrio. Nessuno vuole tornare a una situazione come quella del 2010, così conflittuale. Però il protocollo fa sempre in modo che il defender abbia vantaggi e quando una delle squadre ha vantaggi c’è sempre una ragione per discuterne”.

 Cosa le è piaciuto meno di quello che è successo qui?

“Non correi ripetermi  ma la cosa che pesa di più sull’evento è il numero delle squadre. Si può cominciare a far discussioni su una cosa o l’’altra. Ma il numero è importante.

Cosa bisogna fare per richiamare più squadre?

“Purtroppo la Coppa continua a essere una cosa non proporzionata in termini di costo e resa per gli sponsor.  La Formula Uno costa molto di più ma rende molto di più e la relazione tra incassi e costi è più equilibrata. Quando mi guardo attorno trovo che chiunque sia il defender deve porsi questa domanda. Deve fare molta attenzione al relativo costo della squadra a confronto dell’incasso. A Valencia siamo arrivati a dare 10 milioni di euro a ETNZ per il secondo posto.  Eravamo comunque riusciti a rinnovare il sistema e a questo non siamo ancora tornati. Ci vogliono più squadre e per avere più squadre ci vogliono meno costi. Avevamo Cina e Sud Africa,  un gioco più aperto”.

 Si è rivisto con Larry Ellison?

“Non ho ricostruito un rapporto con Ellison. Come ho incontrato Russell Coutts incontrerei Larry. Oggi non ho più risentimento e ho solo esperienza. Il risentimento non è una buona cosa. Ho imparato certe cose, certamente ho fatto degli errori e so che li ho fatti. Ma questo è dietro di me. La vita è troppo corta”.

Tornerà alla Coppa America, ci sono delle condizioni per tornare?

“Quanto ho fatto la Coppa nel 2000 avevo varie ragioni per farla Oggi ce ne sono molte meno. La principale è che l’ho già vinta due volte e quindi sono meno accanito che certi altri. L’altra è che penso che ci sia troppa incertezza e probabilmente la Coppa ha un momento critico peggiore di altre volte. Forse quando Ellison ha iniziato la battaglia legale eravamo messi male, forse peggio. Ma questo può essere un momento simile. Adesso è difficile lanciare una sfida con l’incertezza che resta sulle barche da usare. E’ tutto molto difficile per una nuova squadra. Bisogna aspettare a vedere chi vince e cosa ci propongono. Speriamo che non ci facciano aspettare per sei mesi come  fatto in passato”.

Quanto può esser un budget sostenibile per squadra.

“Ho sentito diverse cifre, dai trenta milioni di euro per i francesi agli 80 milioni di pound per gli inglesi. Gli inglesi dicono che serve molto meno e i francesi dicono che con trenta milioni non è abbastanza. Dovremmo avere squadre che con 30 milioni ce la fanno a fare una buona partecipazione e con 50 possono vincere.  Finora non ho mosso nessuna pedina”.

p.s. L’intervista è stata realizzata assieme agli inviati della Gazzetta dello Sport

La quinta sfida alla Coppa America di Patrizio Bertelli e di conseguenza di Prada è quasi lanciata: mancano alcuni aspetti formali ma quello che conta è che la base allestita a Cagliari sta già lavorando a tutta forza agli ordini dello skipper Max Sirena per produrre velocità e allenare campioni. Oggi la notizia è stata diffusa urbi et orbi con un comunicato interattivo, qualche video senza sonoro e comunicati stampa. La domanda da porre ai lettori e in assoluta amicizia a Max Sirena è: bisogna parlare di chi non vuole si parli di lui? Ovviamente interpretando questo come un desiderio riservatezza e non una volontà cui si è costretti per altri motivi, base non pronta, Protocollo difficile. In questa scelta forse ci sono risvolti semiologici e forse anche un modo di intendere la comunicazione nuovo. Si, nuovo e da comprendere e indagare. Mentre tutto è frenetico, il capo del Governo e il Papa twittano e questo sembra l’unico modo di vivere sui nostri eroi scende la saracinesca del riservo. Un vecchio detto, tra giornalisti dice “con Luna Rossa si sbaglia sempre”, perché comunque vada quello che scrivi, dici, fai, è sempre preso da un punto di vista che non ti aspettavi. Volevi essere un sostegno e ti trovi dalla parte dei cattivi. Ma come diceva Chiambretti: comunque vada sarà un successo. Insomma W Luna Rossa. Sembra che questa volta, finalmente per lui e anche per noi, il timoniere titolare sarà il bravo palermitano Francesco “Checco” Bruni, anche se gli sono affiancati altri nomi come Chris Draper e il neozelandese Adam Minoprio. Oltre al team che ha fatto esperienza a San Francisco ci saranno alcuni vincitori a bordo di Oracle, l’italiano Gilberto “Gillo” Nobili, l’italo caraibico Shannon Falcone, l’americano Simeon Tienpont. In totale i nuovi arrivi sono una quindicina, presi come si fa sempre da tutti i sindacati che hanno partecipato per entrare in possesso delle esperienze buone e cattive. Dallo sconfitto team neozelandese che sta vivendo un momentaccio il progettista principale Marcelino Botin, spagnolo di una ricca famiglia che lo ha sempre lasciato giocare con le barche. Ma nel design team ci sono altri nomi importanti, citiamo Mario Caponetto (vincitore due volte con Oracle) e Michael Richelsen, un tipo che ha messo le mani in quasi tutti i codici per la progettazione di vele. Questa volta si tratta di progettare un catamarano foiling (che si solleva sull’acqua) lungo poco meno di diciannove metri della nuova classe AC 62, un solo scafo per sfidante mentre il defender ne avrà due sebbene dello stesso progetto. Ma questo è comunque un vantaggio determinante in termini di sicurezza (possono tirare di più sapendo che hanno comunque una barca di riserva, possono fare esperimenti mentre gli altri sono impegnati in regata). Purtroppo i cattivoni di Oracle, Russell Coutts e Larry Ellison con il Challenger of Record Bob Otley e Iain Murray (primo sfidante) hanno scritto un Protocollo con regole piuttosto ingiuste e difficili da digerire, che in alcuni casi hanno dovuto subito ritrattare o meglio “chiarire” come quella della Giuria autonoma e non ISAF che pone seri problemi agli atleti. La Auld Mug, come sempre, andrà avanti tra mugugni, prese di posizione, aggiustamenti. E anche fortuna: se i grandi sconfitti neozelandesi non avessero “inventato” il foiling le regate di San Francisco sarebbero state noiose, per non parlare dello storico comeback di Oracle che ci ha fatto versare fiumi di inchiostro. Pare che anche Patrizio Bertelli abbia sparato qualche bordata delle sue ad alzo zero contro il Protocollo, ma alla fine la sua anima combattiva e toscana non si spaventa delle regole ingiuste: questa è la sua quinta sfida ed è già finanziata da Prada con una cifra di 55 milioni di euro, destinati a crescere perché il budget medio per ambizioni di vittoria si stabilizzerà verso gli 80 milioni, almeno facendo arrivare l’investimento complessivo in quasi vent’anni di partecipazione vicino ai 300 milioni di euro. Nella storia secolare ha fatto come lui solo sir Thomas Johnstone Lipton con i suoi Shamrock, un altro fortissimo self made man, eterno sconfitto in acqua ma assolutamente vincente nella vita. I nostri eroi prima di arrivare a sfidare il defender Oracle questa volta gestito da James Spithill (su Luna Rossa nel 2007) dovranno vedersela con i già citati australiani eredi degli storici vincitori dell’83, con gli svedesi di Artemis condotti dall’inglese Iain Percy. Mentre i neozelandesi di Grant Dalton faticano a mettere insieme il budget il più pericoloso sarà sir Ben Ainslie che ha lanciato un dream team che si aggiunge alle sue cinque medaglie olimpiche e vuole a tutti i costi riportare la Coppa dove è stata forgiata. Attenti, questa diventerà una impresa nazionale, come uno sbarco in Normandia del terzo millennio: sir Keith Mills, l’uomo che ha portato le Olimpiadi a Londra, è lì con loro sorridente nelle foto, pronto a dare il suo contributo con le connessioni nella city. Altre notizie? La Coppa è prevista nel 2017, sede più probabile San Diego perché San Francisco ha detto no, prima ci saranno regate di preparazione.

Le anticipazioni di dicembre sono confermate: la quinta sfida di Patrizio Bertelli alla Coppa America avrà base a Cagliari, la data prevista per il prossimo evento è l’estate 2017 quasi certamente di nuovo a San Francisco, probabilmente con catamarano di 60 piedi, diciotto metri invece di ventuno come erano gli AC 72, ma con caratteristiche simili di velocità, ovvero “foiling” e con “wing”. Traduciamo: voleranno sull’acqua come aliscafi spinti da vele rigide. Sulle regole si discute molto, sono anticipazioni di radio banchina. Al momento ci sono quattro sfidanti sicuri: il Challenger of Record è Robert Oatley, recente vincitore della Sydney Hobart con Wild Oats, attraverso l’Hamilton Island Yacht Club, isoletta della barriera corallina che è tutta sua, nel suo team indicano Iain Murray e James Spithill. Poi, oltre ai nostri eroi, ci sono i kiwi di Team New Zealand che hanno ricevuto un aiuto dal governo per mettere sotto contratto i bravi che potevano essere assunti da altri (Luna Rossa per prima), dopo la sonora, anzi drammatica sconfitta, il team si sta ricostruendo attorno a Matteo de Nora, Grand Dalton e Dean Barker ma e ha assunto il giovane timoniere Peter Burling, vincitore della Red Bull Youth America’s Cup. Torna Artemis con skipper l’inglese Iain Percy. Da citare gli sforzi di sir Ben Ainslie per allestire un sindacato inglese con JP Morgan per sponsor iniziale per riportare la Coppa a casa, sull’isola di Wight: attenzione, Ben se non si perde è il prossimo uomo Coppa, il velista assoluto che ha fatto vincere Oracle e adesso vuol far da solo con la sua bandiera. Chi avrà Ben nel team sarà a metà dell’opera. Torniamo a Cagliari, come dice il patron della barca italiana: “Abbiamo scelto Cagliari perché le condizioni meteo di questo golfo sono ideali per gli allenamenti con i catamarani. La città di Cagliari, inoltre, offre un’ottima situazione logistica e ci ha riservato un’accoglienza particolarmente calorosa. Siamo molto contenti che, dopo diversi anni all’estero, la base del team sia nuovamente in Italia”. L’ultima volta, prima di approdare a San Francisco e per via della collaborazione con il team neozelandese, il team agli ordini di Max Sirena è stato a Auckland Nuova Zelanda, andare laggiù piace a tutti, atmosfera e servizi ideali per i velisti e anche per le famiglie che da una parte spediscono i figli nelle scuole inglesi dall’altra hanno vissuto in una grande città di mare dove vince l’ambiente. Cagliari era da tempo nel mirino di Bertelli e Max Sirena che aveva già condotto sulla costa sarda allenamenti segreti (in realtà se ne sono accorti tutti subito) per provare i famoso foiling (quel modo di navigare per cui gli scafi si sollevano sull’acqua), la scelta era stata annunciata fin dalle regate di San Francisco. Adesso però sono completati gli accordi con le autorità locali. Il porto di Cagliari è infatti oggetto di una ampia ristrutturazione dopo alcuni errori progettuali degli anni passati culminati, per esempio, nel prevedere un terminal crociere dove non c’era un fondale sufficiente alle grandi navi. A Cagliari infatti oltre alla base di Luna Rossa, che sarà abbastanza vicino al centro, sorgeranno un porto per grandi barche private, un nuovo terminal crociere (di cui è azionista il Terminal Crociere di Venezia) un nuovo polo commerciale e una grande zona cantieristica sia per il diporto sia per il commerciale. Insomma, Luna Rossa entra a far parte di un progetto di rinnovo del rapporto della città sarda con il mare che dovrebbe far forza attraverso la sua centralità nel Mediterraneo. Come afferma il Commissario dell’Autorità Portuale, Piergiorgio Massidda: “L’annuncio di Patrizio Bertelli di scegliere Cagliari come base per il team di Luna Rossa ci onora e ci ripaga per quanto fatto negli ultimi anni per migliorare le condizioni della nostra città e renderla punto di riferimento per la vela internazionale. Si tratta di un’occasione unica non solo per la città, ma per tutto il territorio che otterrà un ritorno di immagine senza precedenti a livello internazionale”. Nei prossimi mesi la base verrà resa operativa con la costruzione fisica: a Valencia era intervenuto Renzo Piano inventando una base con le pareti fatte con le vele vecchie, si fa per dire alcune erano nuove e mai usate superate in disegno e tecnologia, qui potrebbe esserci una nuova sorpresa. Ovviamente non si lavora solo alla base, ma anche al team. In questi mesi Max Sirena ha lavorato sodo per acquisire prima di altri i bravi liberi. E’ una fase incerta perché senza conoscere le nuove regole, di cui si dovrebbe sapere qualcosa nelle prossime settimane, non si sa su che specialisti puntare. Al momento il settore design, ricerca, coordinamento dovrebbe essere quello più interessante, è infatti quello che inizia a lavorare prima di altri.

Mentre nella baia infuria la lotta tra Oracle e New Zealand, mister Patrizio Bertelli (il mister sta li per dire che dire che da l’impronta alla squadra) si è fatto vedere spettatore sul gommone con Max Sirena e il gruppo storico di conduzione di Luna Rossa. Tra i ragazzi, non manca l’avvocato Luis Saenz Mariscal, che sta lavorando sodo in questo periodo. Dopo le proteste il documento in preparazione è il Protocollo. Se Emirates vince, Luna Rossa sarà Challenger of Record, con la responsabilità, per Patrizio Bertelli, Max Sirena, Matteo De Nora e Grant Dalton, per citare i vertici, di costruire un nuovo evento a misura di vela e non è roba da poco, dopo la controversa eredità di questa edizione: barche lanciate verso il futuro, così avanti da essere poco comprese. Un evento partito con alcune buone idee mai praticate.
Il circuito delle World Series  si è ridotto e il suo messaggio di diffusione ha perso grinta. Le notizie che sono trapelate finora parlano di una stretta sul controllo della nazionalità, i team dovrebbero avere una minima quota di stranieri, sicuramente non il timoniere. Questo è bene per le nazioni mature, non tanto per aprire a nuove realtà, come il far east che non ha una dotazione sufficiente di campioni locali. Esclusa la condivisione dei progetti. Se esiste un fondamentale accordo su gran parte delle questioni che riguardano l’evento per la decisione che tutti aspettano ci vorrà tempo. Sono pronti dei modelli, delle simulazioni, tra cui decidere. Lo abbiamo intervistato prima che ripartisse per Milano, destinazione sfilate.
Patrizio chi vince?
“Mi sorprenderei davvero che Oracle riuscisse a rimontare: deve vincere dieci regate, i kiwi cinque. A loro basta vincerne una al giorno delle due per andare avanti e non è impresa impossibile. I kiwi mi sembra siano sempre più veloci di bolina anche due nodi”.
La sua Luna Rossa le è piaciuta?
“Abbiamo centrato l’obiettivo che ci eravamo posti: arrivare alle finali con Emirates Team New Zealand. Abbiamo vinto le World Series con gli Ac 45 imparando a portare la barca molto in fretta. Nei primi eventi eravamo dietro tutti. Ci è mancata una corretta filosofia progettuale. Abbiamo ottenuto il massimo risultato per gli strumenti che avevamo, oltre che maggior tempo avremmo dovuto avere una seconda barca come gli altri”.
E quello che succede in mare?
“Non mi piace il percorso delle regate, la partenza al lasco va bene, ma ci vorrebbe subito la bolina come una volta, quando si aspettava il primo incrocio e c’era da fare tattica vera fino alla prima boa. Adesso chi è dietro alla prima boa deve aspettare la bolina. Insomma io sono contrarissimo alle partenza di poppa. Il percorso dovrebbe essere bolina , poppa, bolina, si può togliere anche il gancio. Per quanto riguarda le barche devo ammettere che da maggio in poi ”.
Le barche così contestate sono davvero da buttare?
“Ho sempre detto che catamarani erano difficili da vedere per il consumatore, per chi va in barca da anni sul monoscafo è difficile riconoscersi. Dopo l’incidente di maggio tempo in cui sembrava di aver preso davvero una strada sbagliata ogni giorno la mia opinione è cambiata, migliorata, mi sono avvicinato a questi mezzi. Il risultato positivo è raggiunto anche se resta la complessità di queste barche, che in una prossima edizione finirebbe per restringere la partecipazione a pochi team”.
E’ arrivato a cinque sfide, solo sir Thomas Lipton ha fatto tanto. Cos’è per lei la Coppa America?
“Ho iniziato un po’ per gioco, per la mia passione per la vela, per fare una sfida, anche per sostenere l’immagine dell’Italia. Sono arrivato a cinque sfide un po’ così, ogni volta con una motivazione diversa. Della Coppa America mi piace un insieme di cose: la costruzione del team, saper studiare un progetto vincente, anche gli aspetti legali”.
Dopo la quinta andrà avanti?
“Vincere la Coppa America è l’obiettivo finale della nostra quinta sfida. Per quanto mi riguarda la considero la mia ultima volta, direi che ho fatto abbastanza. Partiamo per vincere e portare la Coppa in Italia. Questo team è servito per gettare le basi del prossimo, volevamo partecipare per non perdere la continuità e fare esperienza con la velocità. Da questo punto di vista abbiamo un vantaggio sui team che si formeranno”.
C’è una autocritica da fare?
“In questi anni ci è mancato un design team con una scuola di pensiero, che poteva fare esperienza e crescere avere continuità, a volte abbiamo avuto un equipaggio molto forte ma ci è mancata la cultura del progetto”.
Tanti attacchi alla Coppa perchè c’è poco match race
“Se guardiamo al suo percorso la Coppa negli anni trenta era solo velocità, poi è stata match race. In questo momento deve essere l’uno e l’altro. Tra Oracle e New Zealand abbiamo visto belle regate anche con il match race”.
Qual’è la dote migliore di Max Sirena?
“La dote migliore di Max è che sa gestire i rapporti con i suoi collaboratori molto bene, ne capisce le logiche e li tratta in modo paritetico, tiene al gruppo.
Nel futuro della Coppa cosa vede? Cosa bisogna fare per aumentare la popolarità della vela?
“S’è capito che bisogna promuovere lo sviluppo tecnologico che resta una parte importante e fondamentale della Coppa. Poi le World Series hanno dimostrato che il pubblico può esserci e si appassiona. Bisognerà anche avere la modestia di fare una comunicazione meno elitaria, parlare a tutti in modo da spiegare che è un evento vero. Spero che non venga considerato solo l’avventura di qualche marinaio un po’ pazzo e ricco. Se saremo Challenger non vorremmo occuparci di questo aspetto che assorbe molte energie e distrae dalla vittoria. Lo stesso vale per il Defender, credo vada creato un organismo autonomo e molto dipenderà dallo sponsor della manifestazione”.
Una ultima domanda: i velisti sono stati rivestiti di casco salvagente, cintura, che impatto ha sul pubblico questo aspetto, che li fa sentire più vicini a dei combattenti e più lontani dai velisti
“ Con questo aspetto da combattenti attirano la fantasia, son vestiti così perché ci sono delle norme di sicurezza e d’altra parte succede anche in Formula Uno e in altri eventi. Il fatto che non si parla più del gentleman con la maglietta ma di uno sportivo con degli strumenti più aggressivi è interessante”.

 

Questa Luna Rossa tramonta, sconfitta per 7 a 1 da Emirates Team New Zealand: ci ha provato fino alla fine, anche nell’ultimo giorno di nebbia americana triste anzi dai toni tragici e con vento debole, ma la differenza di velocità era troppa. La buona notizia, per il popolo dei velisti, è che Patrizio Bertelli ha già annunciato che ce ne sarà un’altra. Lo ha detto chiaro: “torno torno… è si chiamerà ancora Luna Rossa. Lo skipper ancora Max Sirena, sarà il seguito di questa campagna. Siamo arrivati dove volevamo essere: protagonisti delle semifinali, sapevamo che battere i kiwi era impossibile, siamo partiti in ritardo e non era il nostro obiettivo“. Rilanciare è un bel modo di incassare la sconfitta, del resto era ampiamente nei programmi, procedere a una sfida senza troppe ambizioni per imparare tutto il futuro che c’è in questa nuova formula di barche. Si è chiusa così, con lacrimuccia, la Louis Vuitton Cup ottava edizione, trentennale. Un evento che ha dato certamente molto alla Coppa stessa, visto che nella selezione sfidanti ha costruito spettacoli grandiosi, con edizioni ricche di avvenimenti. Solo tre sfidanti e un programma difficile da digerire hanno mortificato questsa edizione.
La prossima volta di Patrizio Bertelli sarà la quinta: solo uno nella storia ha fatto come lui: sir Thomas Lipton, che i nobili inglesi chiamavano con spregio “il droghiere del re” irlandese emigrante che pur di vedere una sua barca contro gli americani, sempre con il nome di Shamrock, ha lanciato l’ultima sfida ottuagenario. Emirates Team New Zealand ha così conquistato il diritto a incontrare il defender Oracle, è la terza volta che i neozelandesi vincono le regate di selezione: è successo nel 95 a San Diego, poi nel 2007 e adesso. Nel 95 la vittoria migliore: veloci come ora con un mezzo imprendibile, dopo aver dominato le selezioni hanno stracciato Dennis Conner e Stars & Stripes in Coppa. L’incontro con Oracle è molto incerto, dovrebbero essere più veloci i kiwi ma nel gioco di vedo non vedo i 50 nodi che raggiungono potrebbero anche non bastare. E’ più o meno deciso che se Emirates vincerà la Coppa, come tutti sperano, compresi gli abitanti di San Francisco che non amano il magnate Larry Ellison, Luna Rossa o meglio il Circolo Vela Sicilia, sarà Challenger of Record, primo degli sfidanti, vuol dire che toccherà a loro disegnare assieme ai kiwi un nuovo evento, con più sport e meno incognite forse senza catamarani volanti ma con un monoscafo molto veloce. Si è molto discusso sulla validità delle barche AC 72, catamarani in grado di fare foiling, ovvero si alzarsi sulle derive come aliscafi e raggiungere la velocità di quasi cento all’ora: appaiono oggetti incomprensibili anche ai velisti, veloci da incutere timore, inadatti a fare match race. Sono stati spettacolari ma in maniera clandestina: nessuno ha potuto vedere la ottima produzione Tv , a parte i canali sul web che hanno raccolto pochi consensi. La Coppa America tra Emirates Team New Zealand e Oracle inizia il 7 settembre e vincerà il primo che arriva a nove vittorie: sono molte e il programma rischia di essere molto lungo. Nei porssimi giorni dopo qualche riposo è previsto il collaudo delle “sciabole” che non è stato possibile usare e di allenarsi ancora con i neozelandesi.

Patrizio Bertelli con la consegna avvenuta a Newport durante le regate delle World Series del luglio 2012 è stato il primo italiano a entrare nel ristretto, anzi ristrettissimo club, della Hall of Fame della America’s Cup. Il riconoscimento gli è stato assegnato nel corso delle regate delle World Series di Newport, dove Luna Rossa Piranha ha vinto le regate di flotta. Si arriva alla Hall of Fame per votazione di un gruppo di saggi, e le caratteristiche richieste da chi lo concede sono un mix di buone intenzioni, di sportività, anche tecnica. Non ci sono solo gli “armatori” nella breve lista: oltre ai Vanderbilt e Bond ci sono marinai, tecnici, inventori. L’importante è aver dato qualcosa al grande trofeo, e averlo dato con lo spirito giusto. C’è in fondo un filo di moralismo americano, puritanesimo un po’ settario: ma dalla parte buona delle cose, dove lo spirito antico ha una faccia gradevole, serena e concreta. Insomma non un’etichetta dove la data è di fantasia e la grafica new old. Non è un caso che la vita della Hall sia condivisa con l’Herreshof Marine Museum ovviamente in Rhode Island, campo storico della Coppa America. La famiglia Herreshof ha segnato con i suoi progetti e le sue costruzioni le vittorie americane del ‘900. Nathaniel Herreshof è il sogno di chi comincia a disegnare barche. Patrizio Bertelli è uomo di grande passione, dietro le sue inimitabili prese di posizione c’è sempre a guidarlo un alto tasso di desiderio per la vittoria, sconosciuto a molti che si contentano di esserci, neanche partecipare. La passione per la Coppa gli è nata quando ha cominciato a navigare sui famosi sesta classe di Vasco Donnini, uomo pratico che con il taglia e cuci trasformava scavafango in fuoriserie. È uscito allo scoperto quando con Luna Rossa edizione 2000 ha vinto la Louis Vuitton Cup. Dopo quella volta, seguendo il consiglio di sir Peter Blake ci ha provato e riprovato. Caparbio e tenace. L’anno prossimo a San Francisco sarà la quarta volta con Luna Rossa, alleato di Emirates Team New Zealand e anche per questo rispettato e temuto. Nella storia solo altri due lo hanno fatto: il barone Marcel Bich con i suoi France, e l’australiano Aland Bond, unico a vincere nell’83. Più di loro il mitico Thomas Lipton, arrivato ottuagenario a cinque sfide con i suoi Shamrock.