Nei secoli più remoti la propulsione delle navi da guerra e da trasporto era spesso fornita dalle vigorose braccia di prigionieri trasformati in schiavi che vivevano tra grandi privazioni al limite della sopravvivenza. La situazione a bordo dei grandi velieri dell’epoca d’oro non era molto migliore: i marinai che sceglievano l’imbarco per vocazione erano davvero pochi e molto spesso le marine ricorrevano all’uso della leva forzata o almeno incentivata con premi di arruolamento. In pratica, soprattutto in tempi di guerra, la ronda reclutava senza troppi complimenti chi trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato: taverne, vicoli, prigioni, anche negozi. In pochi minuti la vita di un uomo poteva cambiare radicalmente, poteva esser strappato da famiglia e lavoro. Ed è facile immaginare quali sforzi costasse mantenere la disciplina a bordo, andare per mare era insomma come stare in prigione con in più il rischio di annegare o comunque di ritrovarsi con una gamba o un braccio di meno. Le infrazioni ai durissimi regolamenti erano punite con la frusta, tipicamente il gatto a nove code, oppure con le bacchette, sistema con il quale ogni membro dell’equipaggio assestava un colpo al punito, infine non mancava il giro di chiglia, cioè il passaggio sotto lo scafo da prua a poppa trascinati da una cima. In effetti la punizione, soprattutto quest’ultima, portava spesso alla morte del punito e quindi prima di arrivare a queste conseguenze “dimostrative”, che comunque avrebbero privato l’equipaggio di un effettivo, ci si pensava due volte. L’equipaggio di una nave da battaglia dell’ottocento era di circa ottocentocinquanta persone, compreso gli ufficiali. In tutta la nave la ventilazione era scarsa e mancavano gli impianti idraulici. Il problema igienico era uno dei più gravi anche per l’efficienza della nave, oltre alle condizioni sanitarie, perfino l’Ammiraglio aveva diritto ad un solo bagno alla settimana, c’erano i gravi problemi di alimentazione che solo dopo la metà del settecento si iniziò a risolvere con successo. Ma i comandanti impararono anche che con un buon equipaggio che sentisse suo il risultato in battaglia si navigava meglio. Questa sorta di motivazione si ritrova ad esempio sui clipper inglesi dell’ottocento, sui quali l’equipaggio partecipava alla corsa al record e teneva in modo particolare alla propria nave.
Scorbuto e malattie
Tanto per fare qualche numero dei 176000 uomini che presero il mare tra il 1774 e il 1780 solo 1243 furono uccisi in azione di guerra: 18451 finirono per malattia, gran parte per scorbuto, e 42000 disertarono. Per fortuna in questo quadro di privazioni qualche piacere era anche concesso. Le donne innanzi tutto, che i marinai incontravano a terra, soprattutto nei grandi porti, e anche a bordo. Durante le soste ogni uomo poteva portare a bordo una donna che era ammessa nelle brande che affollavano lo spazio tra i cannoni. Da qui la definizione “son of a gun”, figlio di un cannone, per definire un padre incerto. Alcune restavano e talvolta oltre a fare il bucato nella stiva andavano persino all’attacco. Poi c’era la razione di grog, rhum allungato, e il tabacco da masticare. Per evitare che troppi si fingessero malati per saltare il turno la razione di rhum era negata agli occupanti dell’infermeria. Gli hobbies erano la costruzione di modellini di navi in osso o legno e non mancava chi suonava il violino. Quello che possedeva un marinaio era davvero poco, e spesso stava tutto raccolto in un fazzoletto. Gli ufficiali avevano la cassa con anche gli strumenti di navigazione. Gli oggetti che vi entravano erano anche coltelli, pipe, scacchi e dama, rasoio. Gli indumenti erano venduti dallo spaccio di bordo e il loro costo trattenuto dalla busta paga.
Il chirurgo
La bravura del chirurgo variava da una nave all’altra, ma in ogni caso aveva la missione di amputare gli arti “irreparabili”. Una frattura, una scheggia nemica, una ferita troppo difficile mettevano in azione la sega, e un intervento rapido riduceva il pericolo di infezione. Il rhum era l’unico rimedio contro il dolore concesso allo sfortunato, assieme ad un morso di tela che gli impediva di mordersi la lingua gridando. Per il resto gli attrezzi erano affilati coltelli, la sega, molto simile a quella dei falegnami, e la pece bollente che serviva per “cauterizzare” la ferita. La sala operatoria era appena sotto la linea del galleggiamento, poco illuminata da lampade a petrolio ma relativamente più sicura da colpi di cannone in battaglia. I feriti venivano portati a braccia e depositati sul pavimento prima di essere trattati.