E’ il terzo modello della linea più innovativa del gruppo Azimut Benetti, un piccolo grande yacht dedicato ai “navigatori” non è un caso che sia stato scelto un nome così evocativo ed importante per questa collezione del più grande gruppo italiano. Sicurezza in navigazione, consumi ridotti, abitabilità per il numero giusto di persone, autonomia, certificazioni verdi sono alla base di questo nuovo concetto che, per cominciare, muove attorno a carene definite dual mode, ovvero che possono navigare a bassa velocità (come le dislocanti) oppure in planata con un comfort adeguato. Per limitare i pesi e i consumi i motori sono piuttosto piccoli, cosa che potrebbe essere anche una tendenza più ampia del mercato che dovrebbe fare i conti non tanto con la velocità massima che una barca può esprimere ma con i trasferimenti che davvero si fanno. In altre parole, per spiegare, inutile avere una barca che può viaggiare a 30 nodi quando per risparmiare sui carburanti si va alla ricerca del miglior rapporto tra velocità e consumi. Quello che conta insomma non sono più i litri ora ma i litri miglio, che cambiano un poco la prospettiva. Magellano 43 ha due Cummins QBS da 5,9 litri e si può scegliere tra la taratura con potenza massima da 300 cavalli o 355. La differenza sta nella velocità massima di 18 o 21 nodi. L’autonomia con 1800 litri di carburante è di 500 miglia navigando a 10 nodi. La missione di queste barche può essere considerata simile a quella dei Trawler, barche sicure che facevano del peso e dei muscoli importanti elementi di sicurezza. L’innovazione sta proprio nell’ottenere prestazioni simili con un progetto moderno, che integra esigenze e dimensioni diverse anche per le soluzioni relative all’abitabilità. Per questa gamma Azimut ha lavorato alla ricerca di materiali particolari ed ecologici, come un composito a base di lino per alcune parti estetiche. Lo stile della barca deriva dalla collaudata collaborazione tra il designer olandese Cor D. Rover – con il team del cantiere Azimut Yachts, da sempre interprete di un gusto per i dettagli che contraddistingue il migliore Made in Italy. Magellano 43 al ponte inferiore ha due cabine con due bagni, una terza cabina con un letto può essere realizzata al posto di uno spazio di servizio. Interessante la scelta per il ponte principale living, con la cucina tra il pozzetto e la zona dinette coperta, che riafferma il cucinare come momento importante dello stare insieme. Nella versione Flybridge, l’abbondanza di sedute e prendisole del ponte superiore premia la formula per chi naviga il soprattutto il Mediterraneo. Una versione Sedan è pensata con lo sguardo a nord a chi userà la barca soprattutto in acque interne, canali laghi e fiumi con la necessità di passare sotto i ponti e quindi non avere una grande altezza dal livello dell’acqua: con l’alberetto delle antenne ripiegato non si superano i 3,2 metri. Magellano 43 segue nella collezione Magellano 74, il primo costruito, e Magellano 50 che si era messo in evidenza per essere stato un concentrato di novità, è stato presentato in settembre durante il Salone di Cannes.

Le avanguardie artistiche, culturali hanno sempre avuto una funzione: cambiare il linguaggio. Per questo possiamo considerare le idee di Luca Bassani e della sua invenzione Wally fondamentali nello sviluppo della nautica contemporanea. In tanti hanno ripreso suggestioni estetiche o funzionali nate per le sue barche. Wally Ace è una navetta dislocante: finora si è sempre sposato contenuto di innovazione con un incremento di prestazioni. In fondo questo è vero anche nel caso di questa barca con una differenza rispetto al passato: le prestazioni da cercare non sono la velocità pura. Insomma Bassani ha lavorato ad altro, spinto da nuove esigenze del navigare, e allora consumi ridotti, comfort, luce, spazio. “Non era facile essere innovativi con un tema così legato alla tradizione come la navetta – ha affermato Bassani – ma ci siamo riusciti, vogliamo dare nuovo significato a questa parola”. Il debutto nel mondo delle barche a motore di Bassani, lo ricordiamo tutti, è stato con Wally Power, non c’era ombra di crisi e un motoscafo di trenta sei metri che navigava a sessanta nodi con 16800 cavalli e turbine d’aereo era una cosa forte tanto da essere un protagonista del film The Island. La navetta è al contrario figlia del detto “chi va piano va sano e va lontano”, gli amanti del genere trovano le loro prede nel mercato delle barche da lavoro trasformate, oppure nel serbatoio delle costruzioni inglesi degli anni sessanta. Begli oggetti con tutto il sapore del mare. Tuttavia il tempo passa e c’è adesso tutto lo spazio per inventare qualcosa di nuovo. Pur conservando qualche buona vecchia abitudine come quella di usare motori con taratura da lavoro, che possono marciare al massimo del regime previsto per ore e ore. Su Wally Ace sono installati due Caterpillar con dodici cilindri che a 1800 giri la spingono a 13 nodi e poco più. Il bello è quando si naviga a otto, nove nodi e i consumi precipitano: la sua autonomia diventa più che oceanica, fino a 10 mila miglia in alcune condizioni 3 litri per miglio. Dice Bassani “i consumi vanno misurati in litri per miglio, tutte le altre definizioni traggono in inganno, perché i litri ora non danno una indicazione della distanza percorsa”. Il merito di questi risultati è anche di una carena con forme che sono l’incrocio tra quelle di una barca a vela e una a motore dai fianchi larghi, proprio per avere spazio e stabilità all’interno. Il comfort è assicurato anche dall’uso degli stabilizzatori giroscopici, scelti come unico sistema. Wally Ace ha una linea particolare, molto nuova. Le zone abitabili sono divise in due ponti più fly bridge, con alcune novità importanti. Sono ponti molto liberi, senza gradini che ostacolano il cammino e la vista. Dal prendisole di poppa fino alla prua infatti si cammina su un piano di calpestio unico. Il posto di pilotaggio non ha la esuberanza di una sala di navigazione ma usa con intelligenza l’elettronica moderna che riduce tanto le esigenze di spazio. Forse a qualche nostalgico mancherà la sala di navigazione da incrociatore, diventata più un elemento rituale che una esigenza vera. Tutta la zona living è al ponte superiore, mentre sottocoperta sono previste due versioni per quanto riguarda il layout degli interni, articolati con tre o quattro cabine. La novità sta nel fatto che l’equipaggio è a prua, il garage del tender fino a sei metri è a centro barca, a ridosso della sala macchine. e la zona ospiti è verso poppa dove di solito si creano le zone servizio. Una piccola rivoluzione, che rende possibile usare la spiaggia di poppa come luogo privilegiato, in comunicazione con gli interni. Le due cabine a centro barca restano uguali nelle due versioni, mentre a poppa si può avere una grande armatoriale unica o due matrimoniali. Le cabine comunicano con la spiaggetta, frequentabile anche in navigazione. In questo modo le cabine non sono solo buone per la notte, ma diventano vivibili tutto il giorno e in rada. Un effetto che Wally ha sperimentato su molte delle sue barche a vela e che riprende lo schema delle vecchie navi a vela, dove la poppa era considerata la zona nobile. Le due cabine centrali ricevono molta luce dalle grandi finestre laterali. La lunghezza scafo di Wally Ace è sotto i 24 metri, questo significa che non cade nella classificazione delle navi da diporto con tutti i vantaggi che ne conseguono. Come per gli altri Wally c’è uno studio particolare dello “stile”, con una scelta di colori e materiali molto particolare. Una cosa va detta in conclusione, Wally Ace è una barca di prezzo raggiungibile, vicino a quello di altre unità della stessa classe e dimensione.

Si può affermare che il gruppo Azimut Benetti con la linea Magellano ha reso disponibile una nuova tipologia: il nome del grande navigatore portoghese Fernäo de Magalhäes, il primo ad allestire una spedizione che ha concluso la navigazione attorno al globo, non è stato scelto a caso. E’ la testimonianza di voler proporre barche a tutto mare, che significa in grado navigare in ogni condizione ma anche di rispettarlo rispondendo in pieno alle esigenze di compatibilità ambientale di una utenza che si rivela sempre più matura.
Azimut Magellano 50 è stato presentato in anteprima mondiale durante il Salone di Genova e segue il primo modello della gamma, Azimut Magelllano 74, che ha segnato il cammino in questa navigazione nel mercato mondiale che ama i contorni “new classic”. Gli yacht Magellano sono il frutto di un grande lavoro di ricerca che si è spinto a esplorare nuove soluzioni in ogni aspetto fondante della barca: carena, propulsione, interni. Per Azimut Magellano 50 la carena è opera dello specialista americano Bill Dixon, il disegno particolare le consente di navigare in “dual mode”: a bassa velocità in dislocamento o a 24 nodi in planata. Il look esterno e il layout degli interni sono opera di Cor D Rover, per la prima volta su una imbarcazione di questa taglia sono disponibili ben quattro versioni. Tutte dispongono di una cabina armatoriale a centro barca, una cabina vip, ogni cabina ha il suo bagno, e possono disporre di una ulteriore cabina a letti sovrapposti oppure di una zona divano e/o studio nella zona centrale del ponte inferiore. L’interior design è opera dello Style Department di Azimut. Il dipartimento R&D di Azimut ha lavorato per una nuova propulsione ibrida disponibile in opzione che affianca di motori diesel common rail della ultima generazione, due Cummins da 425 cavalli con trasmissione V-Drive che lo spingono a una velocità massima di 22 nodi, che propone due motori elettrici da 20kW con cui si può navigare fino alla velocità di 8 nodi contando solo sulle batterie con una autonomia di 8 miglia con la dotazione standard di accumulatori (che possono essere raddoppiati) o sul generatore principale, una opzione che riduce molto i consumi di carburante (autonomia oltre 1000 miglia) e innalza il livello di comfort, attenuando drasticamente rumore e vibrazioni. Il sistema si chiama Easy Hybrid Plus e grazie al controllo elettronico si può passare in automatico dal regime elettrico a quello tradizionale spostando semplicemente le leve dei motori.
Magellano 50 è omologato in classe A CE e quindi può navigare in qualsiasi condizione di mare, dispone della certificazione Green Plus di Rina (primo yacht al mondo sotto i 50 piedi a ottenerla), di quella FSC (Forest Stewardship Council) che certifica che i legni impiegati provengono da foreste gestite con criteri di eco – sostenibilità, la laminazione in infusione della carena è realizzata negli stabilimenti Azimut di Avigliana che hanno ottenuto la certificazione ISO 14001 Ambiente.
Dice Paolo Vitelli, presidente del Gruppo Azimut Benetti: “Magellano 50 è il risultato di anni di esperienze e della volontà di proporre un progetto totalmente innovativo in cui esploriamo l’opzione della propulsione elettrica e tante nuove soluzioni. Per noi è un traguardo in nome della compatibilità. Tuttavia voglio sottolineare che in Azimut Benetti crediamo che per fare discorsi seri sulla riduzione dell’impatto ambientale bisogna lavorare sull’ efficienza generale e quindi soprattutto di riduzione dei consumi ottenuta anche con tecnologie tradizionali. Su gran parte della nostra gamma montiamo motori a bassa emissione che rispondono alle normative più severe comparabili agli Euro5 stradali, generatori con decantazione dei fumi, impianti per le acque nere sempre più sofisticati. Abbiamo iniziato a proporre tessuti naturali e legni FSC lavorati con trattamenti poco inquinanti oltre a materiali sintetici che li sostituiscono in alcune parti”.

Crystal 140’è il nuovo progetto “manifesto” della serie Class dei cantieri Benetti. Sono navi con la carena di vetroresina e non di acciaio o alluminio. Sono carene dislocanti, fatte per quel navigare senza violenza per il mare e per gli ospiti, ideale per arrivare sicuri in luoghi incantati e restarci in piena autonomia. Il tema di questi tempi è molto attuale: poco l’impatto ambientale per le intrinseche caratteristiche di queste carene. Anche consumi ridotti, il problema più che il portafoglio degli armatori tocca la loro sensibilità sempre più coerente con usi sostenibili del mare. Si tratta sempre di persone che hanno il senso e la passione del mare.

Benetti ha lavorato molto su questo progetto portando innovazione a bordo di un tipo di barca molto spesso ancorato troppo saldamente alla tradizione, ovvero al passato. Il capolavoro di Crystal è il layout degli interni, un lavoro che valorizza spazio e luce. Quattro ponti abitabili, con ampie zone di privacy e di vita in comune. Per ottenere una grande spiaggia di poppa tutta dedicata agli ospiti la parte tecnica del garage è spostata verso prua e i tender vengono messi in mare da portelloni laterali. Al ponte inferiore quattro cabine per gli ospiti, la cabina armatore è invece a prua sul ponte principale, in realtà è un luogo dove tutti vorrebbero restare in navigazione, con ampia vista sul mare. Tanta vista anche al ponte superiore, dove una vetrata avvolge il tavolo da pranzo da cui si gode una vista a 360° e un altro diaframma di vetrate chiude verso l’interno che può essere condizionato.

La lunghezza di Crystal sfiora i 42 metri, la larghezza i 9, con due motori da quasi 1500 cavalli e una riserva di combustibile da 58 mila litri Crystal ha una autonomia di 4000 miglia, che la colloca tra le navette autentiche, che hanno davvero la possibilità di girare il mondo. La velocità massima è di 15 nodi. Novità anche negli impianti, con sistemi di gestione centralizzata per la conduzione dove la tradizionale accozzaglia di strumenti di produttori diversi di cui qualcuno ha ancora il coraggio di vantarsi è sostituita da un sistema integrato. Gli strumenti sono sensori e l’interfaccia uomo avviene con pannelli touch screen di ultima generazione. Ormai la barca si può “guidare” anche con gli stessi strumenti (meglio dire terminali) di comunicazione che popolano la nostra giornata.

Si chiama Wider 42 la nuova creazione di Tilli Antonelli: l’inventore delle barche che portavano il nome di un generale americano ideatore di missili, scelto per il richiamo alla velocità, dopo la sua uscita dal Gruppo Ferretti, clamorosa per molti versi, non è rimasto fermo ad aspettare. Per Tilli Antonelli “il mondo degli open era fermo da troppo tempo, c’era bisogno di una novità: Wider si pone come una bandiera anti-omologazione che travalica il mondo della nautica e dà una scossa a tutto ciò che rischia una pericolosa stagnazione. L’intero mondo di riferimento del brand rimanda a parole nuove: coraggio, originalità, leggerezza, divertimento.”

Il nome della nuova barca richiama la larghezza e la prima rivoluzione proposta. Infatti quando non naviga, nelle soste in rada cui è destinata, con l’apertura delle fiancate si arriva a toccare l’acqua con una larghezza di sei metri, realizzando una piattaforma che si allarga al centro della barca che ha una superficie dii una quindicina di metri quadri, una vera terrazza sul mare che può essere attrezzata con arredamento particolare, in parte gonfiabile. Antonelli ai tempi della fondazione di Pershing aveva inventato un nuovo open rendendo abitabile una barca che di solito era veloce ma scomoda, era il primo Pershing 37 ideato assieme al designer Fulvio De Simoni, cui ha chiesto aiuto anche per questa rifondazione nautica. Per molti sarà una provocazione, soprattutto perché scavalca il tentativo di realizzare una barca solo bella e veloce nel senso comune e sposa invece la necessità di assolvere delle funzioni non ultima quella di portare una moto d’acqua sempre pronta a poppa, la dove le navi hanno la scialuppa di salvataggio c’è uno strumento di divertimento. Chi lo vuole a poppa può avere un diving center o il più tradizionale tender. La rivoluzione in tempi di crisi è anche qui: più “fun per money” di una volta. Un concetto talvolta dimenticato da chi ha invece usato motivazioni di vendita legate più al lusso e all’apparire. Un nuovo rapporto (o meglio vecchio) con il mare e un nuovo uso della barca, sempre più giornaliera, nelle taglie piccole, e sintonizzata sulle esigenze di chi vive la barca con la seconda casa. In questo caso anche tender per lasciare il megayacht in rada. Vocazione day cruiser anche se c’è una cabina per dormire e la cucina, divertimento a basso impatto, sia per le soluzioni scelte per motori e carena a basso consumo, sia per i materiali impiegati, per la coperta Esthec, completamente riciclabile. La carena è una “stepped hull”, significa che ha dei gradini dove tocca l’acqua e crea una sorta di cuscino di aria e acqua polverizzata che migliora le prestazioni, è disegnata da Mark Wilson, uno dei massimi esperti di carene da corsa. E’ costruita con carbonio e con il sistema scrimp, una laminazione sottovuoto. Il Wider 42 è accreditato di una velocità massima di 45 nodi con due motori da 370 cavalli abbinati ad eliche di superficie Arneson, alla velocità di crociera di 40 nodi può percorrere 350 miglia, che è un’autonomia notevole. La voglia di divertire e cambiare regole si avverte nella strumentazione: un display al centro del volante restituisce le informazioni principali, quelle che servono alla conduzione assieme a un piccolo plotter cartografico.

La nuova società che nasce nella sede del primo cantiere Pershing a Castelvecchio di Monteporzio , per il momento ha il compito di assemblare quanto viene costruito da abili artigiani secondo le specifiche di progetto. Ad affiancare Antonelli nell’impresa ci sono Paolo Favilla, che ha lavorato nel ruolo di amministratore delegato in Pershing nel 2009 e Vincenzo Sulpizi, interior designer. L’avventura è solo all’inizio, dopo il primo modello da 42 piedi con la stessa filosofia ci saranno un piccolo 35 e un 50 piedi.

E’ a La Maddalena uno degli oggetti naviganti più inguardabili che siano stati concepiti. Il passato, e anche il presente, ci ha proposto barche veramente brutte, ma almeno avevano l’attenuante di non avere nessuna firma e nessuna ambizione: erano il frutto di fantasie personali. Il pubblico di fronte a questa creatura di nome Ocean Emerald si sente costretto ad annuire, anzi stupire. Il motivo sta nella firma. Grande architetto, grande designer che si esprime a suon di conferenze stampa e che muove una corte rinascimentale di bravi ragazzi e ragazze che lo seguono con il nasino per aria. Si chiama sir Norman Foster, ed effettivamente è uno dei maestri dell’architettura contemporanea, ha scritto pagine interessanti nelle grandi opere londinesi e mondiali: torri, grattacieli, restauri. Ma andar per mare è una storia diversa, come sappiamo. E questa barca non solo è brutta da vedere, rolla anche da ferma per le sue grandi sovrastrutture. C’è qualcosa di buono? Si, il dentro non corrisponde al fuori, nel senso che gli spazi e gli arredi, le luci, sono gradevoli e lontani dal kitch consueto delle navette a motore, dove sembra spesso che le lezioni del design contemporaneo siano dimenticate e che si possa esprimere solo lo stile “ottone e radica”. Lo stile di arredo in realtà è molto simile  alla new age minimale proposta una decina di anni fa da alcuni progetti di restauro. Insomma sir Norman Foster ci ha deluso. E tanto. E più di lui tutti quelli che, solo perchè è baronetto, pensano abbia ragione.

E’ di qualche settimana fa la notizia dell’uscita dal Gruppo Ferretti di Attilio “Tilli” Antonelli: uno degli imprenditori nautici più dinamici dell’ultimo ventennio. E’ nato in Romagna e ha passato la gioventù a bordo del Moro di Venezia di Raul Gardini conquistando presto il soprannome di “Toro Tilli” per la sua risolutiva potenza fisica. Sicuro che nel mondo della vela non poteva far cassa ha fondato i “Cantieri dell’Adriatico” che hanno iniziato a produrre le barche Pershing, nome preso a prestito da quello dei missili inventati dal generale John Pershing. La sua è stata una delle belle favole dell’italian style: con il designer Fulvio De Simoni Tilli ha imposto l’idea di un open abitabile che ha fatto scuola, di abitabilità e stile visto che la finestrella ad arco è stata copiata perfino nelle auto. Il primo modello era un 37 piedi. Negli anni del boom il cantiere è diventato Pershing ed è confluito nel Gruppo Ferretti, trovando energie per diventare grande e fare ricerca: “per il mio bambino è stato come andare all’Università, abbiamo imparato tanto e siamo cresciuti”, dice Antonelli. Ma dopo il successo del gruppo di Forlì ha condiviso anche la forte crisi. Negli ultimi mesi Antonelli avrebbe visto bene la vendita del cantiere di cui era sempre rimasto l’anima operativa a nuovi acquirenti, fondi internazionali, che avevano fatto una offerta da 100 milioni. Il gruppo non ha voluto cedere il marchio, che ritiene strategico per uscire dalla crisi e Antonelli si è dimesso. “Hanno scelto una tattica e una strategia che non condivido: si poteva restringere il gruppo mantenendo le competenze e i valori di prima. In un angolo del cervello mi resta l’idea che prima o poi Pershing sarà di nuovo mio, vorrei e spero che non succeda quando è in coma”, afferma.

Come vede la situazione attuale del mercato?

“Sono convinto che ci siano dei segni di ripresa. Guardando anche alla situazione globale da Hong Kong a Singapore alla Thailandia, vedo qualcosa. Il mercato italiano deve riprendere le vecchie abitudini, ridimensionare le sue voglie di barca, tornare ai tempi in cui si misurava meglio la barca che ci si poteva permettere. L’effetto leasing e il finanziamento a lungo termine erogato con una certa facilità ha spinto qualcuno a spingersi ben oltre le sue possibilità: valutava la rata a breve e non tutto il contesto. Poi è successo che sulla scia di cantieri solidi ne sono nati molti fragili che sono entrati rapidamente in crisi. Il mercato ha bisogno di prodotti che hanno una concretezza totale. Non basta fare una barca bella e buona, ci vuole una barca bella, buona e che abbia più appeal delle altre. Il prodotto è il fulcro fondamentale della ripresa. Le barche inglesi sono competitive in termini di prezzo ma questo non è bastato a imporle, perché gli manca qualcosa”.

Insomma ci vogliono idee

“Certo, per esempio il progetto Why di Luca Bassani (Wally ed Hermes) mi ha acceso la lampadina della novità. Il Wallypower era l’estremo di un percorso già noto, questo è proprio nuovo. La nautica sta diventando stanca, un esempio per tutti: se si tolgono i marchi e le decorazioni dei motoscafi di una banchina del Salone di Genova è difficile anche per un esperto capire chi li ha costruiti. Sono tutti uguali. Ci vuole concretezza per non fare troppi voli pindarici ma anche la fantasia per proporre roba nuova”.

Ma le barche come i Pershing che destino hanno?

“… con o senza Tilli….? Io credo che quella tipologia continua ad avere senso perché unisce il comfort elevato alle prestazioni sportive. Tutto riconoscibile e distinguibile dal resto. Sicuramente ”.

La crisi ci porterà verso nuovi prodotti più compatibili con l’ambiente?

“Bisogna distinguere bene tra quelle che sono solo operazioni di marketing e i contenuti veri. Un pannello solare o anche un motore elettrico su una barca non fa ecologia: le barche continuano a essere quello che sono e il loro impatto ambientale è modesto perché sono poche rispetto alle auto. Io credo che lo sforzo autentico e importante potrebbe essere quello di migliorare le prestazioni delle carene, i pesi delle barche per ridurre le potenze impiegate. Questo sarebbe serio. Anche ridurre la resistenza usando l’aria per far scivolare meglio la carena. Il contributo vero all’ambiente è arrivare a una concreta riduzione dei consumi. Questi sono anche i concetti della mia nuova barca. Un day cruiser intelligente che presenterò tra poco”.

Si può sapere di più?

“Sto lavorando a questa piccola barca che non è in competizione con nessun brand del Gruppo Ferretti. E’ votata al divertimento, per fare il bagno, che si muove con pochi cavalli con belle soluzioni tecnologiche. Mi serve per riflettere su quello che potrò o vorrò fare da grande”

Da ex velista come valuta il mercato delle barche a vela?

“Nonostante sia sembrato che per qualche anno la barca vela potesse avere una sua rivincita sul motore mi sembra che non ci stia riuscendo. E’ verde per definizione ma ha il limite del tempo: la barca e vela è lenta e per alcuni diportisti questo è un forte limite”.

I cantieri seri negli ultimi anni hanno cercato di uscire da una fase artigianale per entrare in una più vicina all’industria. Questa crisi può provocare una involuzione? Un ritorno a vecchi schemi?

“Non credo si torni indietro. La mia filosofia adesso è di mettere insieme poche persone molto capaci che uniscono le esperienze sotto il mio coordinamento per arrivare a un prodotto tecnologico dal punto di vista industriale, che sia facile da assemblare perché industrializzato con cura. Fare questo significa anche avere flessibilità di struttura e di prodotto attraverso per esempio moduli intercambiabili”.