A trentasette anni è già baronetto infatti succede che a Sua Maestà non sfuggano gli eroi nazionali anche dello sport (da noi li bocciano a scuola) oppure della musica, come capitato ai Beatles. Rivolgendogli la parola bisogna usare quel suffisso “sir”, che fa tanto signore imbalsamato, chiuso in un cappotto fumo di Londra di lana pesante.
Sir Ben Ainslie è il velista che ha sperato ogni altro nel medagliere olimpico: cinque medaglie in cinque edizioni, con quattro ori consecutivi. Poi ha vinto la Coppa America da eroe, infatti è stato indicato come l’uomo che ha cambiato le prestazioni di Oracle, rendendo possibile la grande rimonta. Quasi vero. Ma Ben, soprattutto, è da guardare per come ha costruito la sua carriera per vincere sicuro e in questo modo: ha sempre scelto la strada più difficile per essere e diventare campione. Poteva essere tattico su New Zealand ma ha scelto di timonare la barca lepre “perché io voglio timonare”, prima aveva lasciato il sindacato di One World, perché lo distraeva dalla carriera olimpica e il timoniere era James Spithill. Come dargli torto… visti i risultati. Adesso è considerato l’uomo che più di ogni altro può battere lo squadrone americano e riportare la Coppa a casa nel Solent. Sogni che forse JP Morgan, suo sponsor da tempo, e la vecchia Inghilterra possono rendere possibili, perché gli eredi della regina Vittoria sembrano finalmente riuniti attorno al più grande velista, quello che ha superato i record di Grael, Scheidt, Elvstrom, Schumann.  Sta raccogliendo un budget di 100 milioni di dollari,  e può contare sul supporto sir Keith Mills (che lo aveva voluto su Team Origin) e Charles Dunstone. Singolista ha costruito la sua carriera sul Finn nella fortissima squadra inglese dove è cresciuto insieme a Iain Percy e a Andrew “Bart” Simpson, l’amico perso nel corso dell’incidente di Artemis dopo il quale ha dubitato di continuare ad andare in barca.
Ben quale è la differenza intima e personale tra vincere le Olimpiadi e la Coppa America?
“L’ Olimpiade è una questione personale, sei in singolo e sei tutta la squadra… sei tu a controllare il tuo destino, non dipendi da nessuno. Nella Coppa America c’è il piacere di far parte di un team che diventa una grande squadra.  A San Francisco per la prima volta ho vinto facendo parte di un team che si è rivelato eccezionale. E’ stato molto potente, mi sono divertito molto. Dopo cinque medaglie considero la mia carriera olimpica conclusa, non tornerò dopo quello che ho già fatto, le soddisfazioni sono molte ma è anche molto faticoso, assorbe tutta la tua vita”.
Cosa bisogna fare per migliorare il seguito della vela olimpica e di conseguenza la popolarità della vela?
“Il problema delle classi olimpiche è che tra una Olimpiade e l’altra non se ne parla abbastanza. Il Cio ha fatto bene a dire che le classi non cambieranno per due tre edizioni, ma questo non basta, bisogna creare un circuito che riempia il vuoto tra le diverse edizioni”.
Come bisogna disegnare il futuro della Coppa?
“Il concept della manifestazione ha dimostrato di essere valido e di grande successo, lo spettacolo c’era. Ci possiamo dire fortunati di come è andata non tanto perche abbiamo vinto noi di Oracle, ma perchè e piaciuto al pubblico, un fatto che non era scontato. Tra le cose positive c’è senz’altro la copertura televisiva, le immagini prodotte sono state molto belle. Adesso penso si dovrebbero semplificare le barche e ridurre i budget, forse con elementi one design che possono renderle meno pericolose e più facili da disegnare per ridurre i costi. Ci vuole un circuito di avvicinamento che conti davvero qualcosa in termini di classifica”.
Sappiamo che la vittoria di Oracle è stata una miscela di miglioramenti e scelte, ma se dovesse indicare uno solo, quale sarebbe?
“La nostra mossa migliore è stata di mettere a punto l’ala usando al meglio il giorno di riposo. Questo ci ha fatto cambiare radicalmente le prestazioni, ed è stato decisivo. Abbiamo aumentato il rake e dato più profondità alla vela, queste modifiche ci hanno dato grande potenza e di conseguenza ci ha reso più sicuri delle prestazioni della barca, questo ci ha fatto navigare meglio”.
Però in molti dicono che la mossa decisiva è stato l’arrivo a bordo di un certo Ben Ainslie.
“In realtà sono un po’ imbarazzato quando dicono così. Spesso, quando le cose vanno decisamente meglio si pensa che sia il risultato dell’arrivo  a bordo di un campione. Ma il nostro è stato il risultato di un team, la Coppa è assolutamente uno sport di squadra, fatto di tante componenti. Ho avuto un ruolo nel team e nella vittoria, non lo nego, ho portato nuovo ottimismo, una visione mia della regata. Devo anche riconoscere la piena collaborazione di John Kostecki, che mi ha messo a disposizione tutti i dati che non conoscevo a fondo e quella che ho avuto da Tom Slingsby a bordo”.
Un errore di Emirates Team New Zealand?
“I kiwi hanno fatto una grande campagna, sviluppando bene gli ac 72, inventando il foiling e facendo per primi tante altre cose. Non riesco a definire un errore decisivo… al contrario Oracle ne ha fatti molti. Noi siamo sempre stati capaci con un impegno continuo di sviluppare la barca ogni giorno, senza fermarci fino alla fine. La nostra era una barca più difficile da portare e quando siamo riusciti imparare come si faceva ha dimostrato la sua superiorità. Alla fine questa è stata la vera differenza”.
I suoi programmi a breve?
“Tutta la mia vita velica è passata in monoscafo, solo da un paio d’anni mi dedico a multiscafi ed è una nuova sfida. E’ tutto molto più veloce, corto. E’ vela d’impatto. Sto lavroando da tempo per riportare un team inglese in Coppa. Con Jp Morgan partecipiamo al circuito degli Extreme 40 perché era la soluzione migliore per iniziare gli allenamenti con l’equipaggio che vorrei portare in Coppa America. Quest’anno non ci saranno eventi con gli AC 45, non è esattamente la stessa cosa ma molto simile. Vogliamo anche portare avanti la campagna di ricerca sponsor. Gli Extreme sono un buon modo per essere in regata con quel brand, quel nome, per costruire il sailing team”.
Insomma dopo tanti anni di assenza dalla Coppa un team inglese sembra finalmente possibile.
“Ci lavoriamo duramente da anni e finalmente sembra un evento vicino. Adesso aspettiamo che ci siano le nuove regole per arrivare a definire il team nei dettagli. Vorrei vedere JP Morgan come title sponsor, abbiamo una bella partnership. Il Challenger of Record Bob Oatley sta negoziando con Oracle, ma Iain Murray che lo rappresenta è molto aperto nel raccontare le trattative che sono in corso e ci tiene informati, è molto positivo, ma c’è ancora un percorso da completare prima di arrivare al protocollo. Per vedere una bella Coppa direi che ci vorrebbero almeno sei sfidanti, forse possiamo arrivare a otto”
Sogni nel cassetto?
“Di sicuro vorrei riportare la Coppa al suo posto nel Regno Unito, è nata qui e vorrei vedere i cat che fanno il giro dell’isola di Wight con i foil: quanto possono metterci? Un’ora? Poi forse il giro del mondo. Io amo la vela e mi piace stare sull’acqua. Vorrei anche andare a vela per il solo piacere di navigare, come un turista qualsiasi, questa è una cosa che ho fatto davvero poco”.

  

 

 

Per un velista la parola Star non è solo la stella che lo guida in cielo, è il mito, la leggenda della classe da regata più antica e tecnica, anche longeva. Fino alle Olimpiadi delle scorsa estate era la classe regina: diventarne campione del mondo era come accedere a una cerchia ristrettissima dei gradi cardinali della vela, signori del timone. Non è neanche un caso, tanto per restare in tema religioso, che Lowell North che ne è stato campionissimo con la sua barca North Star, una casuale e invidiabile combinazione di cognome e classe di barca, per tutta la vita sia stato considerato il Papa. La battuta era stata: ma se chiamiamo Elvstroem “God”, come va chiamato Lowell? Pope, allora. I grandi timonieri di Star hanno fatto carriera in Coppa America, oltre a North che a dire il vero non riuscì mai a essere un vero leader, i fortissimi Dennis Conner, Paul Cayard, Tom Blackaller. A casa nostra sono da citare Agostino Straulino, Dodo Gorla, Roberto Benamati, Enrico Chieffi. Più Francesco Bruni che alle Olimpiaci di Atene ha fatto vedere che poteva fare la sua grande figura sul palcoscenico importante. Diego Negri è l’alfiere ancora in attività.
Bene, se considerazioni poco condivisibili sul come far diventare più popolare la vela ne hanno decretato la fine olimpica per i prossimi Giochi brasiliani, oltre tutto nella terra del campionissimo Torben Grael che ci ha vinto quattro delle sue cinque medaglie olimpiche, la Star vuole scommettere ancora su un futuro. La Star Sailors League Final 2013, regata a invito, sarà organizzata dal Nassau Yacht Club dal 3 all’8 dicembre 2013 e vedrà competere molti dei migliori staristi al vertice della ranking della neo formata League. Diciotto gli equipaggi invitati, tra cui undici campioni del mondo e tre ori olimpici, da11 nazioni. Hanno già dato la loro conferma il brasiliano Robert Scheidt, il francesce Xavier Rohart, lo svedese Freddy Loof, il norvegese Eivind Melleb, il danese Michael Hestbaek, lo svizzero Flavio Marazzi, i tedeschi Johannes Polgar e Robert Stanjek, il polacco Mateusz Kusznierewicz, gli americani George Szabo e Mark Mendelblatt. L’Italia è rappresentata da Diego Negri, che alla barca olimpica ha dedicato gli ultimi anni correndo nel Gruppo Sportivo delle Fiamme Gialle. Un concorrente speciale sarà Paul Cayard, l’americano reduce dalla partecipazione alla Coppa America come CEO di Artemis non è nuovo a queste operazioni “back to basic”: la Star resta una barca piccola e vicina all’acqua. Ti porta al sommo vertice della stima velica, ma è tanto bagnata e faticosa. Si corre in due, timoniere e prodiere, che di solito è un omone che passa i cento chili per dare potenza e raddrizzamento con vento forte. Questo evento si distingue inoltre per mandare in scena un formato di regate inedito per la Star. Le 18 barche presenti gareggeranno al completo nei primi tre giorni di regata, nei quali sono previste un massimo di quattro prove al giorno fino ad un totale non superiore a nove. Il quarto giorno saranno ammessi al via delle semifinali i migliori dieci equipaggi qualificati nella prima fase e, in modo simile alle qualifiche della Formula 1, nelle due regate successive (quarti di finale e finalissima) verranno eliminati progressivamente gli ultimi tre arrivati. Il vincitore assoluto dell’evento sarà quindi l’equipaggio che taglierà per primo la linea del traguardo nell’ultima prova e riceverà 4.000 punti validi per la Ranking SSL.

Si scrive e parla sempre di quanto la vela agonistica e dunque la Coppa America, possa avere influenza nel mondo reale, quello di tutti i giorni. I critici degli AC 72 poi hanno sfoderato ogni argomento per dichiarare che “non serviranno a nulla”. Possibile certo che la tecnica del foiling non sia una cosa da tutti i giorni, così come le ali rigide. Però è succcesso oltre tutto in tempi non sospetti già qualche anno fa, che l’inventore del Moth si sia messo al lavoro per realizzare un kit che rende il Laser, la deriva più diffuca al mondo, “volante”.  Ian Ward con la collaborazione di Peter Stephinson ci è riuscito. Ha fatto volare nel 2009 il Laser olimpico di Michael Blackburns che ha poi raggiunto 20 nodi. Oggi la notizia diventa attuale, per saperne di più e vedere il video della deriva che vola, piuttosto stabile e anche di bolina, questo il link a Scuttlebut, noto sito internazionale di vela e regate.

http://www.sailingscuttlebutt.com/2013/08/07/video-foiling-laser/?utm_medium=email&utm_campaign=Scuttlebutt+3899&utm_content=Scuttlebutt+3899+CID_10600dd4313d56b9fe321a925da53189&utm_source=Email%20Newsletter