E’ il primo progetto e la barca entry level di una serie di modelli di dimensioni maggiori destinati a diventare benchmark, nuovi riferimenti per il mercato di barche da crociera veloce. I nuovi Eleva Fast Cruiser sapranno abbinare la facilità di conduzione anche in equipaggio ridotto e con manovre assistite a ottime prestazioni in acqua, diventando cruiser totali senza limiti di condizioni marine. Progettati per rispondere alla impegnativa classe di navigazione A, conservando  un design pulito, innovativo e molto personale, che diventa una autentica firma riconoscibile in un panorama di concorrenti molto simili che giocano tra loro su piccole differenze. Il futuro di Eleva è fatto di autentici cruiser che sapranno farsi notare anche in regata e non di carene nate per competere tra le boe e addomesticate alla crociera. Tutto frutto di una progettazione integrata che parte dalla carena ma non dimentica le necessità ergonomiche.

Eleva è un nuovo marchio che si inserisce nel mercato dei fast cruiser con una missione precisa: barche a vela di alta qualità dedicate al gran turismo nautico, alla crociera veloce dove l’abitabilità e il comfort si sposano con il piacere di andare a vela e alle doti marine.  Per arrivare a questi risultati la struttura di ogni modello nasce da un team di esperti, che sanno infondere nel prodotto il meglio della tecnologia contemporanea in termini di costruzione struttura e prestazioni ma anche che sanno indagare gli aspetti funzionali più semplici, quelle piccole cose che finiscono per essere determinanti per godere in pieno il piacere della grande crociera. L’armatore che sceglie Eleva si inserisce in un team che sa guidarlo nelle sue scelte e ne interpreta i reali bisogni nautici. Eleva Yacht nasce presso Carbon Line, un noto costruttore di imbarcazioni, per il progetto è stato scelto il progettista Giovanni Ceccarelli.

Il progetto è sviluppato dallo studio Ceccarelli Yacht Design che è intervenuto nei diversi aspetti:  linee di carena, esterni e coperta, interni e strutture. Pur partendo dalle linee di carena, pensate per un dislocamento medio leggero e con l’ausilio del CFD (Computational Fluid Dynamics) ha stato realizzato il design esterno e quello interno senza scendere mai a compromessi. Lo stile esprime linee che sono direttamente legate alla funzione come il fregio nel mascone a prua che ha la funzione di deflettere l’acqua. La sheerline  è caratterizzata da un motivo ad onda che è una novità assoluta nel mondo delle barche a vela, questo oltre a dare una forte personalità al progetto  permette di avere una prua alta sull’acqua che la renderà meno bagnata in navigazione e una tuga leggera che si ferma subito a prua via dell’albero.

 Prestazioni Le linee d’acqua con sezioni di poppa larghe e svasate, relativamente strette al galleggiamento con importanti volumi di prua rendono la barca stabile e bilanciata oltre che veloce in tutte le andature e condizioni di vento. La grande stabilità di forma è pensata al fine di avere ottime prestazioni  nelle andature larghe e portanti sotto gennaker  per raggiungere il massimo piacere di timonare, unito ad una facilità di conduzione e sicurezza di navigazione.  In caso di traversata atlantica The Fifty può esprimere elevate medie giornaliere di trasferimento, che superano le 200 miglia per giorno.  Queste forme di carena permettono anche di sviluppare velocità di crociera a motore elevate, grazie allo scafo che facilmente supera la velocità critica, un altro elemento di comfort soprattutto nelle estati mediterranee. Il doppio timone oltre alla distribuzione dei volumi consente una grande stabilità di rotta e facilità di conduzione anche con autopilota, peculiarità delle barche nate per la conduzione in solitario per le regate oceaniche.

 Costruzione. Per la progettazione delle strutture è stato fatto un grande lavoro di dettaglio nel rispetto delle normative ISO  categoria A, la realizzazione sarà fatta utilizzando le migliori resine e tessuti attualmente in commercio. Tutto il processo di realizzazione di scafo e coperta è in infusione,  garantito dalla grande esperienza e professionalità di Carbon Line, struttura unica in Italia con questo potenziale specializzata in infusione di imbarcazioni di grandi dimensioni in grado di dedicare un cantiere intero per la produzione delle barche a vela.  Tutta la filiera produttiva è realizzata e controllata internamente fin dalla costruzione dei modelli con seste e fasciame mediante taglio con macchine a controllo numerico e poi con la realizzazione di stampi femmina con resine caricate.
Lo scafo  è laminato con tessuti di vetro e resina epossidica con il processo di infusione in 3 step, con la prima fase che riguarda la infusione della pelle esterna, la seconda l’incollaggio dell’anima sotto vuoto e la terza fase l’infusione della pelle interno. L’obbiettivo è di donare maggiore robustezza e leggerezza allo scafo, grazie a un più accurato controllo nel processo stesso. Le strutture dello scafo sono a loro volta tutte infuse, sempre con resina epossidica e anche loro applicate in tre fasi di processo, prima i longitudinali alti, poi i madieri, la terza fase è la posa dei longitudinali centrali. Per i rinforzi delle strutture si impiega il carbonio, compresa la zona di sostegno della chiglia. Le paratie sono tutte strutturali, infuse su placca con resine epossidiche, incollate e resinate a bordo. Le lande strutturali sono di carbonio, laminate con il processo del sottovuoto.  La coperta è interamente realizzata di carbonio con resine epossidiche in infusione, la soluzione è stata scelta per avere un miglior rating con il regolamento di stazza ORC e abbassare il baricentro e limitare i pesi in alto e rendere l’insieme scafo/coperta più rigido.
Tutte le varie fasi di lavorazione del composito sono controllate con processi accurati, che prevedono il controllo continuo delle temperature dell’ambiente e dei manufatti durante l’iniezione della resina che viene portata alla giusta temperatura per avere in tutti i punti lo stesso grado di viscosità; inoltre l’elevato numero di punti di infusione garantiscono lo stesso grado di catalisi in diverse zone dello scafo. Per ottimizzare le migliori caratteristiche della resina epossidica i manufatti vengono postcurati in un forno di grosse dimensioni che è in grado di raggiungere gli 80°. La chiglia è realizzata in acciaio scatolare ad alta resistenza  con bulbo in piombo al fine di abbassare  il centro di gravità ed aumentare il momento raddrizzante in maniera considerevole.

Coperta e piano velico – Il pozzetto di The Fifty è il più grande tra quelli delle imbarcazioni di 50 piedi attualmente in produzione.  E’ nato per vivere il mare in crociera ma si rivela ergonomico se usato in regata o in equipaggio alla ricerca di prestazioni e regolazioni rapide. Il trasto della randa davanti al timoniere è una garanzia di sicurezza con vento forte e conserva le potenzialità di regolazione che servono ad un velista evoluto per regolare al meglio le vele.  Il piano velico è caratterizzato da un albero  posizionato circa a mezza nave, che permette di avere una distribuzione della tela esposta molto equilibrata sia nelle andature di bolina che alle andature portanti. L’armo è frazionato al 90% e sono previsti un genoa al 104% di LPG , una trinchetta ed un Code 0 montato sul bompresso sul quale può essere armato anche il gennaker.

Il layout della compartimentazione interna prevede la distribuzione ormai classica per unità di questa dimensione: tre cabine e due bagni di cui uno dedicato alla cabina di prua, considerata armatoriale e uno alle due di poppa e per uso diurno.  Mentre la disposizione delle cabine letto non cambia è prevista una opzione per la cucina, che può essere come da progetto originale a centro barca oppure in posizione più classica in prossimità della scaletta di discesa. Anche il divanetto centrale può essere trasformato in tavolo carteggio.

Gli interni sono pensati per vivere il mare con ampie parti vetrate ed aperture in tuga per un corretto movimento dell’aria questo per il piacere di abitare anche l’interno della barca.  Gli arredi sono strutturali, in gran parte realizzati in composito poi rivestito di essenze di legno  prodotte da ALPI , che offre una ampia scelta di essenze che abbinato alle scelte dei  tessuti per i rivestimenti saranno parte della personalizzazione che ogni cliente vorrà proporre.  La finitura di ogni barca sarà personalizzata in base alle esigenze della committenza. Puntando alla qualità è stata fatta una grande ricerca per i materiali, gli impianti e gli accessori le finiture.  Ogni dettaglio è stato scelto  in armonia con il progetto per restituire quel carattere solido e innovativo che fa di Eleva The Fifty una barca che guarda al futuro rispettando la tradizione.

THE FIFTY
Dati tecnici / Technical data
Lunghezza fuori tutto/Lenght overall (with bowsprit)

m 16,50

ft 54,12

Lunghezza carena / Hull lenght

m 15,24

ft 49,99

Lunghezza al galleggiamento / LWL – Light dspl

m 13,85

ft 45,43

Larghezza al galleggiamento / BMAX

m  4,86

ft 15,94

Immersione / Draft  – Standard

m 2,87

ft 9,41

Immersione / Draft  – Chiglia corta – Short keel

m 2,45

ft 8,04

Dislocamento a vuoto / dspl light

kg 10500

lbs 23100

Dislocamento carico / dspl load

kg 12900

lbs 28380

Zavorra / Ballast – Standard

kg   3900

lbs   8580

Motore /Engine Volvo D2-75 Saildrive

cv 75

hp 75,00

 PIANO VELICO / SAIL PLAN
Sup. velica bolina / Sail area upwind

mq 154

   sqft   1657,64
Randa / Main

mq   88

sqft   947,22

Fiocco / Jib

mq   66

sqft   710,42

Gennaker

mq 240

  sqft   2583,34

MISURE PIANO VELICO / RIG AND SAIL DIMENSIONS
P   m  20,5

ft 67,24

E   m    6,8

ft 22,30

I   m  20,6

ft 67,57

J   m    6,0

ft 19,68

LPG MAX

m    6,3

ft 20,66

CAPACITA’ SERBATOI / TANK CAPACITY
Carburante / Fuel

lt  270

Us gal  52,00

Acqua / Water

lt  510

Us gal 114,4

Acqua calda / Hot water

lt   40

Us gal  10,40

Acque grigie / Grey water

lt   45

Us gal  11,70

Acque nere / Black water

lt   90

Us gal  23,40

www.elevayachts.com

“Ho già posseduto uno Swan, era un 601, ma volevo qualcosa di più definitivo. Io navigo molto a Miami dove il mare è oceano e serve una barca marina, solida e divertente. Da qui raggiungiamo i Caraibi navigando in mare aperto, e può essere impegnativo. Questo Swan 80 è quello che cercavo da tempo, facile da condurre e confortevole”. Sono parole di George Collins, neo armatore di Chessie, uno Swan 80 FD appena arrivato a Fisher Island, Miami.
Il nome potrebbe dire qualcosa a chi segue le regate: questo signore e appassionato navigatore è stato armatore e timoniere di Chessie Racing durante la ultima edizione della Whitbread Round The World Race (adesso Volvo con un percorso molto diverso), dunque è un amatore di notevole esperienza che è arrivato a varare questo ventiquattro metri a ragion veduta e come punto di arrivo per le sue esigenze. La misura degli 80 piedi resta, in un mercato che offre di tutto e di più, una delle più fortunate e sognate, del resto è quella storica di quei maxi yacht che hanno scritto tante pagine di vela leggendaria prima dell’avvento dei megayacht. Grazie a un generico downsizing dovuto in parte alla crisi, in parte a cambiamenti di stile degli armatori resta un caposaldo della vela. E’ anche la misura scelta da Leonardo Ferragamo dopo l’acquisizione del cantiere per farne un manifesto del nuovo corso con un nuovo modello. “Mi piace essere coerente – dice Ferragamo – e nelle mie barche cerco qualità che riflettono il mio stile e visione della vita. Partecipo molto da vicino alle fasi della costruzione e mi piace lavorare con un team di professionisti di fiducia. Decisi di acquistare il cantiere Nautor perché sentivo un’affinità con l’azienda e a sua dedizione a valori quali eleganza senza tempo, affidabilità e prestazioni”. Valori che sono tutti in questo Chessie.
Ottanta piedi è stata anche una misura chiave anche per German Frers, autore del progetto, che la interpreta fin dall’inizio della sua carriera, le sue carene hanno traversato ogni regolamento di regata e ogni modo di fare crociera, dunque in un certo senso il designer argentino non può sbagliare. Per trovare i primi maxi con la sua firma si può risalire  risalire fino agli anni settanta, quando i grandi armatori del tempo cominciarono ad affidargli progetti importanti, tra questi il Moro di Venezia I di Raul Gardini  (ancora brillante concorrente tra le barche classiche, ora armato dal nipote Massimiliano “Ciacci” Ferruzzi) oppure Windward Passage, Recluta, Scaramouche, Emeraude, Gitana.
Nautor’s Swan propone la carena da 80 piedi chiuse da tre diverse coperte, la FD, che sta per flush deck, ed è quella di Chessie. Poi ci sono la S, la RS. La differenza è tra le diverse soluzioni della tuga e della dinette che trova più luce nelle due proposte più ingombranti, il resto degli interni è molto simile. A sua volta lo Swan 80 FD è proposto in tre versioni per il layout degli interni. Nel caso di Chessie prevede una ampia cabina armatore a poppa che occupa tutta la larghezza della barca, una delle due doppie ospiti di centro barca in questo caso è dedicata al comandante, un’altra matrimoniale è a prua. L’armatore ha voluto che fosse espresso il massimo sforzo per ottenere una barca leggera non solo nella costruzione dello scafo. Per questo gli interni, paioli e mobili, sono realizzati con sandwich di alta tecnologia, con la parte estetica in spessore ridotto di teak verniciato. La sensazione che si riceve scendendo sottocoperta è quella di una barca molto curata, in un certo senso tradizionale. Al decor degli interni ha lavorato Heini Gustafsson di Nautor. “Gli interni di Chessie sono la combinazione di uno Swan classico e di un moderno – dice – usiamo il teak verniciato che è qualcosa che arriva dal passato e che è stato usato per molti anni combinato con qualcosa di moderno e più semplice, cerchiamo di essere minimali. Lo stesso vale per i colori, cerchiamo di usarne il meno possibile e così ci sono molti pannelli bianchi nelle cabine, in cucina, anche in dinette e gli ambienti restano più luminosi. Anche le pelli dei divani sono bianche, in questo modo gli armatori possono scegliere i loro colori preferiti per i loro cuscini e ottenere un carattere più personale con facilità”. Pur nella semplicità per l’occhio non mancano finiture di pregio, come la rubinetteria Dornbracht con finitura platino matt nei bagni o il Corian per i piani sia dei bagni che della cucina, materiale che può essere adattato a varie forme per realizzare per esempio i bordi antirollio. La sostanziale severità della dinette è interrotta dalle sedie di Vaar Yacht, che diventano un elemento d’arredo su cui posare l’attenzione. In coperta si può contare su una zona franca dedicata agli ospiti, libera da manovre che possono diventare pericolose, invece rinviate verso poppa. E’ un po’ il cuore della vita al’aperto, dove si trovano sedute imbottite e schienali a misura di salotto.
Se per molti anni Nautor ha costruito in vetroresina monolitica facendone un elemento di marketing legato alla sicurezza e alla durata (erano i tempi in cui era di proprietà di Kymmene, una cartiera con interessi forestali, sotto la direzione di Olle Emmes) ha cambiato rotta diventando anzi un innovatore tecnologico. Dunque inutile scrivere che per albero e boma è stato scelto il carbonio, il piano velico ha un genoa senza ricopertura e una grande randa che può essere square top nella versione regata. Purtroppo i limiti di pescaggio imposti dall’home port di Fisher Island hanno costretto alla scelta di una chiglia di immersione ridotta, cosa che non impedisce di correre spesso a velocità di due cifre, insomma spesso oltre i dieci nodi anche con vento medio. Del resto questo è proprio l’effetto maxi, che solo dopo una certa dimensione diventa visibile, cioè la capacità di costruire velocità e vento apparente con un risultato che con dimensioni inferiori non riesce così bene.
In navigazione Chessie, o meglio lo Swan 80 mantiene quello che promette sulla carta: Frers non può sbagliare su una misura che conosce così bene. Un timone docile che sa sempre condurre la barca dove la vuole portare il timoniere. Le prestazioni sono solide, o meglio rotonde con quella che se fosse uno strumento musicale sarebbe definita una gamma musicale molto ampia. Insomma la capacità di interpretare tutte le situazioni proposte dall’ Oceano aperto come vuole il suo armatore.

Il Salone Nautico di Parigi è sempre un bel termometro di dove stanno andando le barche a vela. Intendiamo dire nel senso del design, della qualità di quello che naviga, della capacità dei cantieri di dare risposta a esigenze di mercato precise. Intanto, il popolo dei velisti francesi è molto vario, anzi variopinto, ma è sempre aggiornato avanti coi tempi. La Francia, va sottolineato, è una patria del design “avanzato”, dove hanno lavorato grandi innovatori che hanno saputo unire, più che altrove, il piacere dell’innovazione con quello che funziona. Citiamo automobili? La Citroen DS o la 2 cavalli, in tempi recenti la Renault Espace, madre di tutte le monovolume. E’ un peccato, aprendo una parentesi, che i regolamenti che governano l’auto siano così restrittivi da limitare l’inventiva dei progettisti contemporanei.
A Parigi c’erano almeno quattro ammiraglie: due lo erano per dimensione, Bordeaux 60 e Amel 55. Una dimensione che a noi pare quasi piccola e infatti per certi versi lo è: sedici, diciotto metri sono orma una misura “abbordabile”, al punto che Jeanneau ha già annunciato il lancio del nuovo Jeanneau 64 (nelle foto), barca venduta sulla carta in numerosi esemplari con un prezzo di listino di 850 mila euro. Un terzo di quanto costa un pari misura di marchio blasonato, medesimo “contenuto vacanza”.
Una era ammiraglia per storia, Pen Duick II la mitica barca da regata con cui Eric Tabarly ha conquistato la Ostar e la copertina di decine di giornali, infine una per velocità… Il catamarano classe C foiling Groupama del supervincente Frank Cammas, che ha pure portato a casa il riconoscimento velista dell’anno. Era in mostra una vela senza complessi, che sa mescolare senza problemi simboli storici con quelli sportivi e tecnologici dove tutto insegna qualcosa e viene digerito, trasformato: è già in vendita un cat foiling “di serie”, sebbene ovviamente con vele morbide. Tante suggestioni nelle barche da crociera prese a prestito dagli oceanici che hanno sempre un posto di rispetto. E’ proprio in questa fascia che emerge l’evoluzione della specie, quella razza di velieri che i francesi sanno esprimere molto bene, i traversatori atlantici o meglio dire le barche per il grande vagabondaggio. Forse la pressione della crisi, oppure l’esempio di transat di tutte le dimensioni divenute sempre più popolari, non solo per il pubblico ma anche per i partecipanti lasciano il segno e i particolari si ritrovano un po’ ovunque. Anche per questo immediato il successo del Sun Fast 3600, prenotato in oltre 100 esemplari soprattutto per partecipare alla TransQuadra, dedicata agli audaci ultra quarantenni. Intendiamoci, si trova come sempre anche quello che non serve a nulla, come due pale di timone in una carena stretta e da crociera che però deve strizzare l’occhio a prestazioni adrenaliniche. I disegni sui tavoli sono di ambiziosi cruiser, anche di alluminio. I progetti dei grandi gruppi sono di infastidire i giganti del lusso su misure di cross over tra serie e one off, proponendo buone barche oltre i diciotto metri a prezzi aggressivi, lo Jeanneau infatti non è l’unico.  La crisi comincia ad avere i suoi effetti.. non economici, votati al ribasso, dopo aver tagliato la testa alla produzione troppo classica, sta generando novità.

Per qualcuno, i forzati dell’ottimismo, il Salone di Genova è stato un successo. Per carità, come ha detto Massimo Guardigli di Comar “almeno ho visto gente interessata davvero che fa domande vere, cerca barche medie”, questo può essere un vero segnale positivo e l vela non ha mai fatto la parte del leone a Genova. La stessa industria con sufficienza la considerava una parte piccola e quasi “inutile” nell’economia del Salone che doveva rappresentare la produzione dei cantieri italiani. Era parzialmente vero, anche se il Salone di Genova ha sempre vissuto nell’ambiguità tra le due esigenze storiche: quella di vetrina della capacità industriale nostrana ma anche di soddisfare le esigenze dei visitatori nostrani. In un salone grande dovrebbe esserci posto per tutti, come accade all’estero. A Genova l’equivoco è sempre rimasto attivo. Negli anni d’oro il mercato della vela valeva il 90% circa del fatturato del settore ma a Genova i visitatori interessati alla vela erano almeno uno su tre. Dunque una forte differenza tra capacità industriale e gusti del mercato interno. Negli anni questo ha provocato autentiche rivolte, fino alla più ingenua dell’anno scorso con la proposta di spostare tutta la vela altrove. Adesso le carte sono ben rimescolate, in un Salone ridotto in dimensioni ed espositori le poco meno di 50 barche a vela hanno costituito una attrattiva importante, quasi decisiva per riempire le banchine. Sintomo di un rinnovato equilibrio? Forse anche del passaggio dal motore alla vela, complici i consumi e i costi rilevanti dei carburanti e le manutenzioni. Resta molto da fare per far trovare al Salone una dimensione orientata al pubblico e alla sua voglia di “comprare”. La freddezza di alcune iniziative del passato pesa ancora e sebbene alcune cose siano decisamente migliori, come l’esposizione degli accessori in un padiglione nobile e non nel vecchio C, manca ancora la cornice, il palcoscenico. Attività che potrebbero essere al centro dell’attenzione come Convegni, incontri al Teatro del Mare, sono finiti confinati in luoghi inaccessibili. Chi ricorda Londra con il vecchio Salone di Earls Court? Beh, li il grande schermo, la piscina centrale, ti portavano comunque a vivere un’attenzione diversa al “mare”. Artificiale? Certo, ma con le immagini forti della Whitbread (di una volta), delle grandi regate, di molto altro. Genova no, perchè tutto si paga, tutto si deve. Polemica? Quando i cantieri crescevano a due cifre nessuno ha messo da parte qualcosa per la nautica nostrana, anzi. I cantieri, che possiedono Genova attraverso Ucina, hanno preferito il salone di Cannes vuotando la propria creatura di significati. Adesso bisogna far quadrato, creare un canale con l’estero, riportare i clienti in Italia. Difficile, ma possibile.
“La crisi ha colpito duramente il mercato della barca a vela – racconta Massimo Franchini, architetto ed ex titolare di un cantiere che è stato uno dei marchi italiani fmosi – il mercato è sceso del 95%, e non è uno scherzo. La fascia media è totalmente scomparsa, si salva il piccolo e il lusso”. La sintesi è crudele, ma veritiera della situazione molto grave. Il mercato delle imbarcazioni immatricolate fatica a superare le cinquanta unità anno, tra imbarcazioni costruite in Italia e importate. Negli anni migliori il solo marchio Beneteau vendeva oltre cento unità sul nostro mercato. I marchi storici sono in palese difficoltà, per non dire peggio. Si salvano le realtà più nuove, quelle che non avevano un assetto industriale imponente e quindi costoso. Il gruppo Bavaria prima dell’estate e dopo due anni di tentativi ha abbandonato ogni speranza di sollevare il Cantiere del Pardo che è entrato in concordato, le notizie pre-salone lo danno passato di mano al Gruppo Trevi di Davide Trevisani, che in passato aveva acquisito anche Sly Yachts, per un valore di circa 8 milioni di euro che dovrebbero corrispondere più o meno agli asset. Trevi è tra le società che hanno partecipato al recupero della nave Concordia. In corsa per questa acquisizione si erano presentati il vecchio proprietario Giuseppe Giuliani Ricci, che ora controlla Solaris con buon successo, e il cantiere turco Sirena Marine ma con proposte decisamente inferiori. Del Pardo con la sua gamma Grand Soleil resta molto solido, nonostante le difficoltà recenti, nell’immaginario del mercato che tende perfino a sopravalutare le barche usate, una posizione conquistata molti anni fa con modelli storici. Purtroppo l’esperienza all’interno del Gruppo Bavaria dimostra che solo con una radicale rivisitazione della produzione si può puntare a un grande ritorno. E’ ormai il tipo di barca proposto a essere in crisi. Il cantiere giuliano Solaris, punta in alto con la sua gamma e propone modelli che arrivano ai 21 metri, a Genova c’era mlta della sua gamma: un completo 72 (che nasce dalle linee di carena degli Zero di Peterson) un bel 60 piedi, e le più piccole. Wally, il marchio creato da Luca Bassani, ha chiuso l’unità produttiva di Ancona, Wally Europe, ma resta attivo da Montecarlo per design e vendita, al Salone di Montecarlo ha presentato il Wally 100 di Lindsay Owen Jones, secondo esemplare di un aggressivo cruiser racer.
Advanced Yachts, il marchio ideato da Marco Tursini è tra quelli che vivono meglio il momento “abbiamo venduto una barca nuova da 80 piedi – dice l’imprenditore milanese – e stiamo preparando un 42 piedi molto tecnologico disegnato da Roberto Biscontini. Possiamo cominciare a pensare di essere in una fase di risalita del mercato”.
Sempre interessanti le barche proposte da Southern Wind, il cantiere sud africano controllato da Pegaso Yacht di Genova, che ha varato in questa stagione il 102 piedi Hevea, con disegno generale di Nauta Design e carena disegnata dallo studio Farr. Novità anche in casa Nautor, il cantiere di Leonardo Ferragamo con produzione in Finlandia che ha presentato un nuovo modello di 60 piedi per grande crociera oltre a nuove iniziative nel campo del motore con il marchio Camper & Nicholsons. La parte del leone della vela europea continua a farla il gruppo Beneteau, che resta solido nella sua posizione di leader mondiale. Quest’anno presenta Oceanis 38, ideato con la formula degli interni componibili, anche dopo l’acquisto, la versione base è un piccolo loft con un bagno solo, la più completa ha tre cabine e un bagno. La barca ha avuto successo, molto visitata, anche se la versione completa appare un poco costosa. Jeanneau affronta la stagione con una nuova ammiraglia da 64 piedi che per rapporto qualità prezzo sarà una spina nel fianco per i marchi che tendono al lusso con una sopra valutazione di marchio e finiture, che ormai rappresenta il vero limite allo sviluppo.

Sotto, Oceanis 38 ultimo nato in casa Beneteau

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il lancio del primo Sense aveva lasciato il segno: una forte novità per la distribuzione degli interni, per l’abitabilità del pozzetto, un ibrido (se così si può dire) che strizzava l’occhio a un mercato nuovo, abituato ai volumi delle barche a motore. Il Sense 55 di queste pagine interpreta in una dimensione più grande le medesime vocazioni. Una barca con tanto spazio, tanta luce, tanta aria. Facile da usare in molte situazioni che sa interpretare diversi ruoli: in rada la gioia di un dialogo senza ostacoli con il mare grazie al grande pozzetto, la possibilità di alzare le panche e circolare senza problemi e oggetti da scavalcare; in navigazione prestazioni da ammiraglia con una carena dotata di due pale del timone, un buon raddrizzamento e un piano velico generoso; in porto agilità di manovra con il sistema di controllo Dock & Go con joy stick realizzato in collaborazione con ZF che si basa su un piede che gira in tutte le direzioni che interagisce con un bow thruster. Negli interni si ritrova la volontà di avere una grande zona living vicina al pozzetto, cui si accede con pochi gradini comodi, grazie anche alle finestre che si aprono verso poppa da dentro ci si sente quasi in un ambiente unico, in continuo dialogo con l’esterno. Un passo avanti nelle dimensioni degli interni: non solo cabine grandi, anche porte, passaggi, di una dimensione sconosciuta per le barche a vela tradizionali. Le due cabine doppie di centro barca sono quanto di meno claustrofobico si sia visto su una barca di questa taglia, in questa posizione infatti lo spazio sopra il letto non è limitato dal pozzetto, come quando le due gemelle sono a poppa e ci si trova a muoversi e guardare sotto un cielino da un paio di metri. Le porte sono enormi e scorrevoli, lasciandole aperte si realizza quasi un open space, pieno di aria e di luce. Ogni cabina ha il suo bagno, la armatoriale di prua, la più tradizionale, lo ha diviso in locale Wc e doccia. La coperta e il piano velico dichiarano attenzione alla navigazione anche impegnativa. Lo racconta ad esempio la rotaia per la trinchetta auto virante abbinata ai punti di scotta regolabili in maniera tradizionale per il genoa, oltre al bompresso per il gennaker o code zero. Il triangolo di prua è largo, ma anche la randa è importante e full battened. In navigazione la carena, larga e con un dislocamento di circa 18 tonnellate, ha un incedere autorevole. Il lavoro dei designer Berret Racopeau ha portato a forme che privilegiano le andature portanti ma che anche contromare conserva un buon comfort. Di solito queste barche molto larghe finiscono per essere molto piatte e quindi piuttosto dure nell’impatto con l’onda. Da una parte il peso, dall’altra le forme aiutano. Le prestazioni sono quelle di una ottima barca a vela, chi pensa ai passaggi atlantici, alle lunghe navigazioni con il vento al giardinetto può pensare al Sense 55 come una scelta azzeccata. Grazie alle due pale non si perde mai il controllo e timonare è facile oltre che comodo visto come sono realizzate le sedute del timoniere, delle vere poltrone. A motore, con 120 cavalli a disposizione, si possono raggiungere importanti velocità, con una crociera di otto nodi e anche qualcosa di più, che significa, e questa volta pensiamo alle bonacce mediterranee, traversate rapide.

 

E’ nato come protezione del pilota delle auto da corsa, ma si sta rapidamente diffondendo  sulle barche a vela. I cantieri lo usano per la sua suggestione di sicurezza, ma serve a poco. Già, finora al roll bar avevano pensato solo i rudi navigatori oceanici: a loro serviva per montare antenne, pannelli solari, generatori eolici, e appenderci sotto il tender. Una piramide che aveva anche il simpatico effetto di far calare di qualche centimetro il bordo libero a poppa, solo talvolta compensato da altrettante dotazioni infilate nei gavoni di prua, tanto per dimenticare la buona regola dei pesi al centro per passare meglio l’onda. Ma in barca ciò che fa sicurezza non è sopra… come sulle auto dove l’abitacolo deve proteggere gli ospiti anche in caso di ribaltamento. Le spider per regola devono avere un roll bar, ma i designer di oggi fanno di tutto per non farlo vedere: di solito collaborano alla protezione il sostegno del parabrezza e i sedili. Ma le barche… semplicemente non devono ribaltarsi e quello che le rende sicure è sott’acqua e si chiama zavorra. Chi compra una barca a vela dovrebbe sapere cosa sono la percentuale di zavorra, il momento raddrizzante, la stabilità. Negli anni la zavorra è calata molto, questo porta un risparmio sia in materiali sia in strutture del fondo dello scafo. Il roll bar è stato usato tanto come decorazione dei fly bridge dai designer dei motoscafi, proprio in anni in cui nelle auto spopolava e poi è rimasto li, una piattaforma verso il cielo. Adesso la simpatica protesi viene proposta sulle barche a vela di grande serie. Il motivo principale, sebbene condito da un alibi funzionale per sostenere il trasto della randa, è psicologico. Il roll bar addolcisce il senso di scomodo della barca a vela lavorando sulla suggestione di una sicurezza che andrebbe cercata altrove. E poi… le fa somigliare ai motoscafi e questo serve per catturare quel poco di clientela che non può più riempire serbatoi che alimentano motori roboanti. Insomma, il roll bar è una bugia. Forse innocente e necessaria, ma pur sempre una cosa di cui non si sentiva il bisogno. Quando avremo le barche a vela con il fly bridge? O con due ponti. Qualche megayahct così esiste già, purtroppo la mente corre a quei maxi anni ottanta “flush deck” con la loro severa eleganza, oppure alle tughe leggere e filanti di qualche buona barca contemporanea.

Un tempo, mica tanto lontano, i progettisti pensavano solo a riempire come possibile una carena “perfetta”, un’idea che non ha abbandonato alcuni progettisti molto innamorati delle loro forme e troppo sicuri che per le prestazioni non si debba scendere a compromessi. Mah.. il tempo passa per tutti e sono arrivati nuovi strumenti per il progetto e alcuni cantieri furbi hanno capito che era del tutto inutile torturare chi dormiva in dinette con una landa che passava in mezzo al letto, da circondare con le gambe. Qualcuno insomma ha cominciato a capire che spostando un poco il letto si riusciva a mantenere un livello di comfort più umano e la barca non cambiava, oppure che quella landa poteva tranquillamente essere ancorata in un’altra posizione. Sono stati decisivi programmi di modellazione a tre dimensioni che erano impossibili da concepire ai tempi dei piombi e le listelle di pero e dove stava tutto alla sensibilità del progettista “sentire” il vlume. Ma quella nuova è anche una filosofia che cambia leggermente il punto di vista: la barca vista come progetto totale, non come carena riempita. Del resto le automobili sono fatte così: si parte da un abitacolo con misure “ergonomiche” (e questa parola è sempre usata a sproposito nella nautica, tanto che andrebbe abolita) una cellula vitale che definisce la classe della vettura a cui si aggiunge il resto. Le auto sono cresciute di dimensione, per inciso, a parità di cellula per rispettare le norme anti crash e quindi migliorare il livello di protezione. Il modo distratto di gestire gli interni delle barche non è mica abolito del tutto, capita di salire a bordo di novità dove si capisce che l’attenzione dedicata allo spazio è minore di quella dedicata al piano velico. Eppure quattro o sei letti pesano uguale, che siano fatti bene o male, un frigorifero pure, un tavolo da carteggio anche. Spesso il risultato non è una questione di peso, di costo, ma solo di attenzione e volontà. In questa trappola non è caduto il grupo Beneteau, che sta producendo una innovazione tremenda. Il pianetto è quello del nuovo Sun Odyssey 509, una bella macchina da crociera. Ma più si sale in dimensione peggio è, perché alle necessità veliche si aggiungono quelle stilistiche secondo una bizzarra visione del design minimale, nato per togliere la inutile decorazione e premiare la funzione e finito per essere decorazione talvolta senza funzione. Povero Van der Rohe: “the less is more…”. Ma questa è la storia del Post Moderno che vi lasciamo scoprire. Facciamo un esempio? La cabina marinaio… chi possiede un sessanta piedi ha per forza un marinaio: ricco, anche se sa navigare, non vuole lavare il ponte. Il marinaio si contenta, ma perchè su un Beneteau 50 da noleggio si quindici anni fa il problema era risolto con lusso di spazio e su un bestione di oggi non si riesce e si va alla ricerca di alibi, giustificazioni sul fatto che non si fa più grande crociera? E’ strano come alcune esperienze forti di layout di interni, come il progresso di qualche anno fa nell’uso del volume si sia un poco perso per strada. Le cause? Mah da una parte forse l’innamoramento da parte dei cantieri verso una generazione di progettisti troppo giovani usciti dalle scuole di design che hanno per il momento portato innovazione solo nel colore e negli spigoli inutili. Poi forse la atavica necessità di riscoprire l’ovvio.