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Una decisione che a noi appare improvvisa getta ancora una volta il magico mondo della Coppa America nell’incertezza. Il Challenger of Record, l’australiano Hamilton Island Yacht Club per la famiglia Oatley (soprattutto vino e resort nei loro interessi) con uno statement ha manifestato l’intenzione di ritirare la sfida, confermata poi con manovra renziana (siamo in tempi moderni) via twitter. Un fulmine a ciel sereno: sebbene con un equilibrio precario la edizione 35 del più antico Trofeo velico stava andando avanti. E dire che solo un paio di settimane fa l’uomo forte di Team Australia Iain Murray era a Malcesine per allenamenti e regate su mezzi “foiling”, il singolo Moth e il catamarano GC 32 e si era affacciato alle regate Star. Aveva lasciato dichiarazioni critiche con Oracle: “è stata dura ma abbiamo portato a casa un Protocollo, una base decente che speriamo di modificare nei punti oscuri” ma non sembrava vicino a un passo del genere. Poi però, pochi giorni fa, un meeting tra sfidanti e defender ha riaperto il solco tra le incertezze e le pretese di Russell Coutts, cui Larry Ellison lascia più o meno fare tutto quello che vuole, su date e luoghi che mancano ancora rendendo ogni programma del tutto incerto. Cosa si propone agli sponsor? Alcuni team hanno preso la decisione di esserci in ogni caso come Luna Rossa e Artemis, altri hanno bisogno di attrarre sponsor come quello inglese di Ben Ainslie o i kiwi di New Zealand e altri che stavano lavorando per arrivare in tempo e le sedi proposte delle isole Bermuda o San Diego non sembrano molto interessanti. E poi, anche i due finora pazienti Patrizio Bertelli e Torbjörn Törnqvist potrebbero svegliarsi un mattino con la mosca al naso. Non sarebbe la prima volta. Insomma Bob Oatley, un energico signore australiano che aveva lanciato la sfida con la fiducia di poter riportare la Coppa a essere un evento per velisti, dopo mesi di estenuanti trattative ha mandato tutti a quel paese, così come aveva fatto Vincenzo Onorato con Mascalzone Latino, più o meno per gli stessi problemi, lievitazione dei costi verso cifre impreviste, difficoltà delle relazioni con sua altezza Coutts che ha imposto mediazioni difficili da digerire. E’ la seconda volta in due edizioni che il Challenger of Record si ritira dal suo ruolo e prima in quasi due secoli non era mai successo. Oatley, un passato di regatante storico e molti record con le sue barche da regata che chiama Wild Oats, deve proprio aver pensato “ma chi me lo fa fare in questa gabbia di matti, torno alle mie vigne sulla mia isola privata”. Adesso il ruolo di Challenger of Record potrebbe passare a Luna Rossa oppure ad Artemis, i due che hanno presentato sfida e deposito monetario (prima rata da un milione di dollari) formale. Ma qui c’è il pasticcio: gli americani non avevano ancora accettato le due sfide, pretendendo per farlo di arrivare almeno a quattro sfidanti, e New Zealand e Ainslie a quanto pare stavano aspettando il termine dell’8 agosto per farlo. Ben Ainslie infatti ha fatto l’annuncio con festa, principessa e baronetti ma non il versamento e gli atti formali. Dunque a chi toccherebbe la successione? Di solito conta la cronologia, e se conosciamo un poco il carattere di Luna Rossa non vorrà prendersi questa grana di poco onore e molto onere. Quanto successo potrebbe, anzi dovrebbe, riaprire il dibattito sul Protocollo che se non viene firmato da un altro Challenger non ha nessun valore. Siccome piaceva poco questa potrebbe essere l’occasione per ricominciare a litigare nel tentativo di togliere qualche vantaggio al Defender e costringerlo (letteralmente) la dove Murray non era riuscito. La Coppa, è il caso di dirlo, è il alto mare… Ancora una volta peccato e nostaglia di quando esistevano i riferimenti, che non è un tempo tanto lontano.

La quinta sfida alla Coppa America di Patrizio Bertelli e di conseguenza di Prada è quasi lanciata: mancano alcuni aspetti formali ma quello che conta è che la base allestita a Cagliari sta già lavorando a tutta forza agli ordini dello skipper Max Sirena per produrre velocità e allenare campioni. Oggi la notizia è stata diffusa urbi et orbi con un comunicato interattivo, qualche video senza sonoro e comunicati stampa. La domanda da porre ai lettori e in assoluta amicizia a Max Sirena è: bisogna parlare di chi non vuole si parli di lui? Ovviamente interpretando questo come un desiderio riservatezza e non una volontà cui si è costretti per altri motivi, base non pronta, Protocollo difficile. In questa scelta forse ci sono risvolti semiologici e forse anche un modo di intendere la comunicazione nuovo. Si, nuovo e da comprendere e indagare. Mentre tutto è frenetico, il capo del Governo e il Papa twittano e questo sembra l’unico modo di vivere sui nostri eroi scende la saracinesca del riservo. Un vecchio detto, tra giornalisti dice “con Luna Rossa si sbaglia sempre”, perché comunque vada quello che scrivi, dici, fai, è sempre preso da un punto di vista che non ti aspettavi. Volevi essere un sostegno e ti trovi dalla parte dei cattivi. Ma come diceva Chiambretti: comunque vada sarà un successo. Insomma W Luna Rossa. Sembra che questa volta, finalmente per lui e anche per noi, il timoniere titolare sarà il bravo palermitano Francesco “Checco” Bruni, anche se gli sono affiancati altri nomi come Chris Draper e il neozelandese Adam Minoprio. Oltre al team che ha fatto esperienza a San Francisco ci saranno alcuni vincitori a bordo di Oracle, l’italiano Gilberto “Gillo” Nobili, l’italo caraibico Shannon Falcone, l’americano Simeon Tienpont. In totale i nuovi arrivi sono una quindicina, presi come si fa sempre da tutti i sindacati che hanno partecipato per entrare in possesso delle esperienze buone e cattive. Dallo sconfitto team neozelandese che sta vivendo un momentaccio il progettista principale Marcelino Botin, spagnolo di una ricca famiglia che lo ha sempre lasciato giocare con le barche. Ma nel design team ci sono altri nomi importanti, citiamo Mario Caponetto (vincitore due volte con Oracle) e Michael Richelsen, un tipo che ha messo le mani in quasi tutti i codici per la progettazione di vele. Questa volta si tratta di progettare un catamarano foiling (che si solleva sull’acqua) lungo poco meno di diciannove metri della nuova classe AC 62, un solo scafo per sfidante mentre il defender ne avrà due sebbene dello stesso progetto. Ma questo è comunque un vantaggio determinante in termini di sicurezza (possono tirare di più sapendo che hanno comunque una barca di riserva, possono fare esperimenti mentre gli altri sono impegnati in regata). Purtroppo i cattivoni di Oracle, Russell Coutts e Larry Ellison con il Challenger of Record Bob Otley e Iain Murray (primo sfidante) hanno scritto un Protocollo con regole piuttosto ingiuste e difficili da digerire, che in alcuni casi hanno dovuto subito ritrattare o meglio “chiarire” come quella della Giuria autonoma e non ISAF che pone seri problemi agli atleti. La Auld Mug, come sempre, andrà avanti tra mugugni, prese di posizione, aggiustamenti. E anche fortuna: se i grandi sconfitti neozelandesi non avessero “inventato” il foiling le regate di San Francisco sarebbero state noiose, per non parlare dello storico comeback di Oracle che ci ha fatto versare fiumi di inchiostro. Pare che anche Patrizio Bertelli abbia sparato qualche bordata delle sue ad alzo zero contro il Protocollo, ma alla fine la sua anima combattiva e toscana non si spaventa delle regole ingiuste: questa è la sua quinta sfida ed è già finanziata da Prada con una cifra di 55 milioni di euro, destinati a crescere perché il budget medio per ambizioni di vittoria si stabilizzerà verso gli 80 milioni, almeno facendo arrivare l’investimento complessivo in quasi vent’anni di partecipazione vicino ai 300 milioni di euro. Nella storia secolare ha fatto come lui solo sir Thomas Johnstone Lipton con i suoi Shamrock, un altro fortissimo self made man, eterno sconfitto in acqua ma assolutamente vincente nella vita. I nostri eroi prima di arrivare a sfidare il defender Oracle questa volta gestito da James Spithill (su Luna Rossa nel 2007) dovranno vedersela con i già citati australiani eredi degli storici vincitori dell’83, con gli svedesi di Artemis condotti dall’inglese Iain Percy. Mentre i neozelandesi di Grant Dalton faticano a mettere insieme il budget il più pericoloso sarà sir Ben Ainslie che ha lanciato un dream team che si aggiunge alle sue cinque medaglie olimpiche e vuole a tutti i costi riportare la Coppa dove è stata forgiata. Attenti, questa diventerà una impresa nazionale, come uno sbarco in Normandia del terzo millennio: sir Keith Mills, l’uomo che ha portato le Olimpiadi a Londra, è lì con loro sorridente nelle foto, pronto a dare il suo contributo con le connessioni nella city. Altre notizie? La Coppa è prevista nel 2017, sede più probabile San Diego perché San Francisco ha detto no, prima ci saranno regate di preparazione.

Il Protocollo è arrivato, con ampio ritardo sulla data promessa, ma soprattutto con ampie concessioni dal defender che sono state l’oggetto del grande ritardo nella sua presentazione. Il Challenger of Record ha ottenuto davvero poco per gli sfidanti in cambio delle pretese di Oracle. Iain Murray sulla stampa australiana ha parlato di cambiamento epocale in positivo. Ma a parole siamo bravi tutti…. i fatti pur non avendo letto nel dettaglio le tante pagine  sono diversi e lo scenario appare peggiore di quello dell’era Alinghi, dove il catenaccio imposto dal defender cominciava a essere forte e talvolta sgradevole.  Le barche saranno spettacolari, gli AC 62 possono essere uno strumento moderno per le regate, il foiling non è male. Ma il futuro degli eventi sportivi non è solo tecnologia, lo spettacolo passa attraverso rapporti con il pubblico più raffinati di qualche chilo di carbonio. Dove è il messaggio sportivo? Questo sarà sport “olimpico” o “kermesse”? Iain Murray e Russell Coutts potrebbero aver firmato l’ultimo atto della Coppa America, che come sappiamo non morirà (la Auld Mug ce la fa sempre) ma che finirà per vivere di se stessa, mondo autoreferenziale. Altro che concorrenza ai mondiali di calcio, alle Olimpiadi, al Tour de France, mancano i requisiti minimi di trasparenza. Certo, stanno diventando carrozzoni infernali anche quelli, gestiti da burosauri impomatati. Ma ci sono lezioni da imparare.
Di fronte a una “legge” qualsiasi ci si pone la domanda: “dove ci vuole portare chi l’ha scritta”? Regolamenti edilizi, regole di stazza, norme ambientali producono sempre modificazioni agli oggetti, al’ambiente. Dunque in altre parole, dove mira questo Protocollo? Che sia una intenzione esplicita (gli americani non ostante i loro studi di marketing sono talvolta di una ingenuità raggelante) o no, i challenger sono probabilmente destinati a restare cinque, che ben conosciamo, se non a scendere per abbandono. Le date di iscrizione sono molto vicine, il fee e il deposito sono abbondanti e solo chi è già al lavoro adesso ha già le risorse e la sicurezza interiore per iscriversi a un evento dove parte subito penalizzato.
Si sa che la Coppa America è fatta per caratteri forti, che chi vince scrive le regole. Però… la promessa sportiva era diversa, il depliant presentato da Ellison durante una combattuta conferenza stampa dell’estate 2007 era ben diverso, si parlava di valori sportivi, perfino “democratici”. Quasi quasi bisognerebbe avere la forza di dire: non ci sto. E infatti il New Zealand Herald già scrive a Dalton e compagni di defilarsi all’inglese senza rivincita. C’è una barca libera per partecipare alla Volvo Race, roba da uomini forti, i rumors dicono che Knut Frostad pur di avere sette partenti la vende con grande sconto. Una opzione per i kiwi, ma anche per Luna Rossa.
Ma come si fa a tirarsi indietro? Il Protocollo è certamente il risultato si una lunga azione di mediazione. Mancano le sedi di regata e senza quelle è più complesso progettare e finanziare. Chi vorrà mettere sul piatto 2 milioni di dollari per l’iscrizione per aspettare nuove regole che forse verranno? Forse solo un ricco emiro, nessuno sponsor che si muove secondo strategie e previsioni di contatto. Oltre all’unico sfidante sicuro australiano Bob Otley (Challenger of Record con l’Hamilton Island YC) chi ha già manifestato l’intenzione di esserci sono la nostra eroica Luna Rossa con Patrizio Bertelli alla quinta sfida e Max Sirena alla sesta campagna, gli svedesi di Artemis con Iain Percy in cabina regia, il baronetto Ben Ainlie con un sindacato che sventolerà l’union jack, un vincente nello sport con le sue cinque medaglie luccicanti e la sua azione risolutiva su Oracle nello storico come back e infine lo sconfitto Team New Zealand, incerto nella raccolta fondi, nella scelta dello skipper e ora nel supporto nazionale. Come prima impressione (e con tutto il desiderio di essere smentiti) non c’è posto per il ventilato secondo sindacato italiano, per quello di lingua araba, per i russi, per i cinesi, non c’è posto per altri defender che l’America avrebbe potuto produrre come ha sempre fatto. La edizione numero 35 non potrà superare in concorrenti quelle di Perth, San Diego, Auckland, Valencia. La cosa positiva è che i sindacati che hanno promesso la partecipazione sono di qualità, pochi ma buoni direbbe la nonna.
I vantaggi grandi per Oracle sono almeno tre. Intanto, non era mai successo non ostante i tentativi di farlo in passato, corre assieme ai challenger una regata non solo dimostrativa, come erano le world series con barche vecchie o con gli AC 45, che darà un punto importante nel match. Sulla carta l’idea non è male anche perché, per come stanno le cose, si trova a conquistare questo punto contro tutti gli sfidanti, però gli sfidanti lo “pagano” lasciandogli la possibilità di analizzare in regata le prestazioni dei loro AC 62, fatto che può diventare determinante per il risultato finale. Il defender può costruire due scafi (o meglio quattro che fanno due barche) ma dallo stesso progetto: la two boat campaign è fondamentale per costruire velocità, la stessa operazione dei kiwi nel 95, procedendo a modifiche graduali di cui verificare l’efficacia in acqua. Gli sfidanti lavoreranno con un solo scafo e mentre saranno impegnati in una località che non è quella dell’evento finale rischiando rotture il defender ne terrà uno ben custodito nella sua base. Infine la Giuria indipendente, non “imposta” dall’Isaf ma scelta tra avvocati sportivi. Dopo i due punti di penalità (che potevano essere una squalifica) per il taroccamento degli AC 45 è evidente che gli americani vogliono avere la possibilità di manovrare meglio queste decisioni. Ma quel che ci interessa di più è: cosa farà questa Coppa per diventare un grande evento? A San Francisco grande produzione televisiva per nessuna diffusione, bello spettacolo per un pubblico molto ridotto complici una serie di errori di prospettiva nella cessione dei diritti Tv, che in realtà non valgono quasi nulla, e la speranza che come succedeva decenni addietro la stampa si buttasse sull’osso con voracità. Purtroppo la crisi mondiale del mondo editoriale, il cambio dei gusti del pubblico, i costi ingenti di produzione e trasferta a fronte di risultati dubbi sono un freno che si può sbloccare solo investendo denaro vero per assicurarsi audience. Operazioni di marketing aggressive forse, ma che gli altri sport hanno praticato senza presunzione ammettendo che di Formula Uno ce n’è una sola. Dopo San Francisco insomma speriamo non sia una seconda edizione del “non comunicare” o perlomeno farlo con vecchie strategie contando sulla sicurezza femminile “sono ben truccata si accorgeranno di me”, pensando che sia il pubblico a muoversi senza essere perlomeno invogliato, senza una strategia di conquista, nessuno si accorgerà nel 2017 della Coppa America, perché le tecnologie a disposizione non sono l’unica chiave del successo.

Mentre nella baia infuria la lotta tra Oracle e New Zealand, mister Patrizio Bertelli (il mister sta li per dire che dire che da l’impronta alla squadra) si è fatto vedere spettatore sul gommone con Max Sirena e il gruppo storico di conduzione di Luna Rossa. Tra i ragazzi, non manca l’avvocato Luis Saenz Mariscal, che sta lavorando sodo in questo periodo. Dopo le proteste il documento in preparazione è il Protocollo. Se Emirates vince, Luna Rossa sarà Challenger of Record, con la responsabilità, per Patrizio Bertelli, Max Sirena, Matteo De Nora e Grant Dalton, per citare i vertici, di costruire un nuovo evento a misura di vela e non è roba da poco, dopo la controversa eredità di questa edizione: barche lanciate verso il futuro, così avanti da essere poco comprese. Un evento partito con alcune buone idee mai praticate.
Il circuito delle World Series  si è ridotto e il suo messaggio di diffusione ha perso grinta. Le notizie che sono trapelate finora parlano di una stretta sul controllo della nazionalità, i team dovrebbero avere una minima quota di stranieri, sicuramente non il timoniere. Questo è bene per le nazioni mature, non tanto per aprire a nuove realtà, come il far east che non ha una dotazione sufficiente di campioni locali. Esclusa la condivisione dei progetti. Se esiste un fondamentale accordo su gran parte delle questioni che riguardano l’evento per la decisione che tutti aspettano ci vorrà tempo. Sono pronti dei modelli, delle simulazioni, tra cui decidere. Lo abbiamo intervistato prima che ripartisse per Milano, destinazione sfilate.
Patrizio chi vince?
“Mi sorprenderei davvero che Oracle riuscisse a rimontare: deve vincere dieci regate, i kiwi cinque. A loro basta vincerne una al giorno delle due per andare avanti e non è impresa impossibile. I kiwi mi sembra siano sempre più veloci di bolina anche due nodi”.
La sua Luna Rossa le è piaciuta?
“Abbiamo centrato l’obiettivo che ci eravamo posti: arrivare alle finali con Emirates Team New Zealand. Abbiamo vinto le World Series con gli Ac 45 imparando a portare la barca molto in fretta. Nei primi eventi eravamo dietro tutti. Ci è mancata una corretta filosofia progettuale. Abbiamo ottenuto il massimo risultato per gli strumenti che avevamo, oltre che maggior tempo avremmo dovuto avere una seconda barca come gli altri”.
E quello che succede in mare?
“Non mi piace il percorso delle regate, la partenza al lasco va bene, ma ci vorrebbe subito la bolina come una volta, quando si aspettava il primo incrocio e c’era da fare tattica vera fino alla prima boa. Adesso chi è dietro alla prima boa deve aspettare la bolina. Insomma io sono contrarissimo alle partenza di poppa. Il percorso dovrebbe essere bolina , poppa, bolina, si può togliere anche il gancio. Per quanto riguarda le barche devo ammettere che da maggio in poi ”.
Le barche così contestate sono davvero da buttare?
“Ho sempre detto che catamarani erano difficili da vedere per il consumatore, per chi va in barca da anni sul monoscafo è difficile riconoscersi. Dopo l’incidente di maggio tempo in cui sembrava di aver preso davvero una strada sbagliata ogni giorno la mia opinione è cambiata, migliorata, mi sono avvicinato a questi mezzi. Il risultato positivo è raggiunto anche se resta la complessità di queste barche, che in una prossima edizione finirebbe per restringere la partecipazione a pochi team”.
E’ arrivato a cinque sfide, solo sir Thomas Lipton ha fatto tanto. Cos’è per lei la Coppa America?
“Ho iniziato un po’ per gioco, per la mia passione per la vela, per fare una sfida, anche per sostenere l’immagine dell’Italia. Sono arrivato a cinque sfide un po’ così, ogni volta con una motivazione diversa. Della Coppa America mi piace un insieme di cose: la costruzione del team, saper studiare un progetto vincente, anche gli aspetti legali”.
Dopo la quinta andrà avanti?
“Vincere la Coppa America è l’obiettivo finale della nostra quinta sfida. Per quanto mi riguarda la considero la mia ultima volta, direi che ho fatto abbastanza. Partiamo per vincere e portare la Coppa in Italia. Questo team è servito per gettare le basi del prossimo, volevamo partecipare per non perdere la continuità e fare esperienza con la velocità. Da questo punto di vista abbiamo un vantaggio sui team che si formeranno”.
C’è una autocritica da fare?
“In questi anni ci è mancato un design team con una scuola di pensiero, che poteva fare esperienza e crescere avere continuità, a volte abbiamo avuto un equipaggio molto forte ma ci è mancata la cultura del progetto”.
Tanti attacchi alla Coppa perchè c’è poco match race
“Se guardiamo al suo percorso la Coppa negli anni trenta era solo velocità, poi è stata match race. In questo momento deve essere l’uno e l’altro. Tra Oracle e New Zealand abbiamo visto belle regate anche con il match race”.
Qual’è la dote migliore di Max Sirena?
“La dote migliore di Max è che sa gestire i rapporti con i suoi collaboratori molto bene, ne capisce le logiche e li tratta in modo paritetico, tiene al gruppo.
Nel futuro della Coppa cosa vede? Cosa bisogna fare per aumentare la popolarità della vela?
“S’è capito che bisogna promuovere lo sviluppo tecnologico che resta una parte importante e fondamentale della Coppa. Poi le World Series hanno dimostrato che il pubblico può esserci e si appassiona. Bisognerà anche avere la modestia di fare una comunicazione meno elitaria, parlare a tutti in modo da spiegare che è un evento vero. Spero che non venga considerato solo l’avventura di qualche marinaio un po’ pazzo e ricco. Se saremo Challenger non vorremmo occuparci di questo aspetto che assorbe molte energie e distrae dalla vittoria. Lo stesso vale per il Defender, credo vada creato un organismo autonomo e molto dipenderà dallo sponsor della manifestazione”.
Una ultima domanda: i velisti sono stati rivestiti di casco salvagente, cintura, che impatto ha sul pubblico questo aspetto, che li fa sentire più vicini a dei combattenti e più lontani dai velisti
“ Con questo aspetto da combattenti attirano la fantasia, son vestiti così perché ci sono delle norme di sicurezza e d’altra parte succede anche in Formula Uno e in altri eventi. Il fatto che non si parla più del gentleman con la maglietta ma di uno sportivo con degli strumenti più aggressivi è interessante”.

 

Max Sirena dopo la conclusione delle finali Louis Vuitton Cup: un ragazzo di 40 anni sereno, comunque soddisfatto del risultato, pronto a ricominciare. Il primo passo è allenare New Zealand, consentirle di verificare le modifiche che hanno fatto in questi giorni. Poi in acqua: raramente, nelle ultime edizioni, il risultato delle regate è stato meno prevedibile: se si esclude la edizione del 2010, che qualche incertezza l’ha proposta, la barca predestinata più o meno era nota, visibile. Tra Aotearoa (nome Maori della Nuova Zelanda), che si è sempre apparsa imprendibile, e Oracle di cui sappiamo molto meno, potrebbero esserci sorprese. Ma quel che conta è che si prepara la quinta Luna Rossa: Patrizio Bertelli lo ha confermato il giorno dell’ultima regata.
Max, Patrizio Bertelli ha già confermato la partecipazione di Luna Rossa alla prossima Coppa America. Cosa hai imparato da questa campagna che userai nella prossima?
“La considero una partecipazione positiva, per come siamo partiti e l’avevamo impostata. Adesso devo riflettere sugli errori che abbiamo fatto e farne tesoro”.
Forse più che di errori concreti bisogna parlare di tempo mancato.
“Io sono molto cattivo con me stesso, faccio molta autocritica e mi piace prendermi le colpe e gestire le critiche che ricevo da parte di tutti. Ci è mancato il tempo, lo sapevamo bene e non posso usare sempre questa come scusante, sicuramente quattro mesi di sviluppo in più ci avrebbero fatto bene”.
C’è un particolare che potevate sviluppare meglio? Le derive, le manovre?
“Sapevamo bene che Emirates Team New Zealand sarebbe stato imprendibile, impensabile battere un team che è partito prima di noi e ha costruito due barche. Abbiamo battuto in semifinale un team come Artemis che sulla carta è strafavorito per la Coppa. Se posso fare un paragone è un po’ come chiedere a Valentino Rossi con la moto dell’anno prima di battere Lorenzo. Posso aver deluso molti in Italia e va anche bene così, mi rendo conto di quel che può pensare il pubblico, bisogna essere realisti. Io credo che il gruppo abbia fatto un buon lavoro e che saremo molto forti nella prossima campagna”.
E’ giusto dire che siete diventati soprattutto una squadra e che questo era l’obiettivo di questa partecipazione?
“Si, l’obiettivo di questa sfida era quello di creare un gruppo forte, non costruito sui grandi nomi ma nel suo complesso. Abbiamo iniziato a navigare per la prima volta come team nel Ac 45 e dopo due mesi abbiamo vinto un evento. Poi (dopo il ritiro di Oracle per le irregolarità di stazza ndr) ci hanno nominato anche vincitori del circuito delle World Series. Qualche soddisfazione ce la siamo tolta, ampiamente e forse anche in maniera inaspettata. Il gioco è cambiato quando abbiamo iniziato a navigare con gli AC 72. Del resto non sono io a dirlo, puoi avere tutti i soldi che vuoi ma l’unica cosa che non si può comprare in Coppa America è il tempo. L’obiettivo principale era creare un gruppo forte per partire forti per la prossima sfida”.

Rimpianto: si chiama così lo stato d’animo di Max Sirena e del suo equipaggio al rientro in banchina dopo aver perso altre due regate contro Emirates Team New Zealand nel quarto giorno della Louis Vuitton Cup, che valgono il 4 – 1 per i kiwi. Ai ragazzi di nero vestiti che arrivano dall’ altro emisfero servono altre 3 vittorie per accedere al vero titolo di Challenger, vittorie che possono arrivare abbastanza facilmente nei prossimi giorni soprattutto con vento medio leggero come quello di ieri. Luna Rossa infatti spera sempre di più con vento forte.
La cronaca è molto breve per la prima regata: Chris Draper è partito maluccio perché dopo aver costruito bene la posizione ritarda, nella speranza di rallentare l’avversario orzando,  il momento in cui lanciarsi in velocità verso la prima boa. Ai kiwi bastano pochi secondi di anticipo nella poggiata per cominciare a mangiare vento alzarsi sui foil e diventare imprendibili. La solita storia, il solito film già visto.  Anche se, a dirla tutta, sembra che ci sia una differenza di velocità ma anche che essere davanti sia troppo importante. Il ritardo sul traguardo 2 minuti e 17 secondi. Altri dati significativi? La velocità media di Emirates è di 26,94 nodi per un vento di 14 alla partenza, quella di Luna Rossa 25,29; velocità di punta per i vincitori 44,04 nodi, per Luna Rossa solo 39,99. Sembrano differenze elevate, eppure si costruiscono con piccoli particolari. I neozelandesi dal momento del varo della loro prima barca a queste regate hanno guadagnato 15 nodi in velocità massima a pari vento. Dai 30/33 che sviluppavano i primi giorni di foiling sono arrivati a sfiorare i 50. Con  per un monoscafo tradizionale è un guadagno impensabile eppure sono differenze costruite non solo con le modifiche a scafi, ali e derive ma anche con i piccoli particolari del “boat handling” (conoscere a fondo la propria barca) in cui sembrano migliori anche degli americani. Dice una fonte da lasciare anonima “ci siamo resi conto che più sali in velocità più contano le piccole cose, particolari di regolazione, limature. Alla fine Luna Rossa non è molto diversa da noi, è anzi praticamente la stessa barca, ma meno evoluta”.  Insomma anche che Luna Rossa, che condivide il progetto del primo scafo, potrebbe essere più vicina all’avversario. Dove sta la differenza? Sicuramente ha un po’ di ragione MAx Sirena quando fa capire che i kiwi si sono tenuti qualche segreto e le chiavi per evolvere il progetto. Però lui stesso ammette che lavorando di più si poteva essere più vicini.
Ma torniamo alle regate molto più da raccontare per la seconda prova, con Draper più reattivo la Luna riesce a restare molto più vicina all’avversario nel lato di poppa dove il tattico Francesco Bruni intuisce bene come approcciare il cancello (si passa tra due boe) in maniera da annullare il piccolo vantaggio kiwi e addirittura mettere la prua davanti. Ma qui si comincia a vedere tutta la differenza di potenziale tra le due barche e i due equipaggi. New Zealand parte alla rincorsa, salta come un cavallo che schiuma stretto di morso e spinto di speroni, fuori dall’acqua, accelera in foiling supera e controlla la Luna. Sono bei momenti… di speranza, ma si comprende il grande lavoro dei kiwi e come siano sempre in grado di uscire dalle situazioni critiche. Emirates vince ancora con un minuto e 27 secondi di vantaggio. Il vento è poco sopra i 19 nodi, ETNZ impiega un minuto meno che nella regata precedente, chiudendo in 24 minuti 25 secondi alla media di 28,44 nodi contro i 27,29 di Luna Rossa. Punte massime per i kiwi di 43,77 e 39,23 per Luna Rossa. Finora il foiling era stato una abitudine di poppa ma raramente si era visto di bolina. Questa manovra potrebbe dimostrare che Emirates Team New Zealand può perfettamente farlo anche di bolina ma che non lo vuole mostrare a Oracle che in alcuni casi è sembrato in grado di farlo, soprattutto in alcuni allenamenti contro Artemis. Il vero problema del foiling di bolina è controllare l’altezza a cui tenere lo scafo: se si alza troppo si comincia a scarrocciare molto e una regolazione continua non è facile, anzi poco possibile.
I rimpianti di Luna Rossa? Li spiega lo skipper italiano Max Sirena: “a ogni regata ci rendiamo conto che se avessimo avuto più tempo per navigare e mettere a punto la barca saremmo più vicini ai kiwi. Siamo contenti anche così per quello che abbiamo fatto”. Forse Max vorrebbe dire, ma non può, dovevamo crederci prima, crederci di più. Tutto succede sullo sfondo di una edizione della Coppa America che tutti vogliono a tutti i costi criticare. Eppure la velocità, l’azione, ha qualcosa di leggendario che non rivedremo tanto presto e che resteranno nella storia di un evento scritta con la grammatica degli eccessi, quasi mai delle cose ragionevoli. Ma la Coppa insegna: se vinceranno i kiwi con i loro capelli grigi sarà la vittoria dell’esperienza, quella di un equipaggio stabile cresciuto per gradi dove alla gioventù si da un significato relativo.
Oracle ha ritirato su indicazione della Giuria la ridicola protesta per “trepassing” ma ne sta inventando di nuove mentre non ci sono novità sul caso più spinoso di Oracle. Riparato il timone rotto si è allenata con regate tra i due equipaggi sullo stesso percorso: sembrano veloci anche se non così rapidi nelle manovre, più sintonizzati su vento medio. Mentre il confronto di Emirates con Luna Rossa sembra proprio a senso unico la Coppa America potrebbe non esserlo, questo comincia a preoccupare qualcuno. 

Il programma di regate di San Francisco procede lentamente, anche ieri una sola regata delle due previste, la numero tre e la numero quattro, il vento nel pomeriggio supera quasi sempre i limiti suggeriti da Iain Murray e imposti dalla Coast Guard. Ma  come al solito non è mancato il colpo di scena e questa volta è toccato a Luna Rossa rompersi concedendo a Emirates Team New Zealand il punto del 2 -1. Ancora una volta una rottura da pochi soldi ha fermato uno dei concorrenti, ed è successo poco dopo il primo lato di poppa, durante il quale Luna Rossa si era molto onorevolmente difesa da Emirates Team New Zealand che riprende così il comando. Si è rotta una batteria di pulegge affogate nel carbonio a base ala da cui passano tutte le scotte che servono a controllarne il twist necessario a regolare la potenza della vela rigida. E’ fondamentale, perchè con vento forte il twist può essere addirittura negativo e la parte alta dell’ala può servire a ridurre lo sbandamento. Prima del guaio? Bella partenza di Chris Draper, e ottimo il lato di lasco dove Luna Rossa ha mostrato la velocità simile a quella degli avversari. La barca italiana che ha ceduto solo qualche decina di metri a Emirates  prima del cancello di poppa e subito dopo la rottura. Ai più ovviamente, questo non piace: la regata per il momento in questa fase cruciale sembra una corsa a eliminazione. Tutti hanno rotto di tutto, sia gli americani in allenamento che hanno anche perso un timone, sia gli sfidanti e perfino, come abbiamo visto, i neozelandesi che sembravano avere la barca più collaudata. “La ragione c’è – spiega lo skipper italiano Max Sirena – finora abbiamo corso da soli oppure in regate poco impegnative e solo adesso ci troviamo a combattere un confronto dove è necessario usare tutte le armi, tirare a vincere. Quello che non si è rotto finora cede… ripariamo una cosa ma sappiamo che forse domani se ne romperà un’altra. Non possiamo prendercela con il tipo di barche, la formula è nuova e stiamo imparando tutti, velisti e progettisti. In una prossima edizione con le stesse barche sarebbero più mature e più affidabili, oltre che più simili come velocità”. Dopo sole tre regate e tutte le notti passate a far riparazioni negli hangar c’è aria di bilanci, prosegue Sirena:”io credo che abbiamo fatto un buon lavoro e dall’ esterno si comprende poco, perché non ci sono stati avversari a dar valore ai risultati. Siamo partiti senza favori del pronostico e ci troviamo a pensare che potremmo anche battere i neozelandesi, che hanno mostrato finalmente qualche incertezza. E io so che i kiwi sono forti se continuano a vincere ma si possono battere quando la situazione diventa più difficile. Il punto che abbiamo conquistato è storico per noi”. La Louis Vuitton Cup riposa un giorno, i team aggiustano, rinforzano, discutono. E’ il momento degli shore team, degli equipaggi di terra. Luna Rossa è solida in questo reparto e può tornare in acqua mercoledì in buona forma.