I megayacht sono una della cose che l’industria italiana sa fare meglio: con il 51% degli ordini mondiali è la prima oltre che per design e qualità anche per numeri. Una fama costruita negli ultimi venti anni, che si aggrappa a marchi storici e invenzioni intelligenti. La cantieristica italiana ha demolito la concorrenza olandese, tedesca, anche americana. Il mercato mondiale sta reggendo. Sono numeri però che stanno rapidamente “naufragando” sulle nostre coste per effetto dei numerosi “controlli spettacolo” inaugurati con il Force Blue di Flavio Briatore. Praticamente un atto di guerra, al di la di ogni considerazione sulle potenziali evasio/elusioni del brizzolato signore che raccoglie poche simpatie. Ma questo non toglie che la sua barca abbia uguali diritti e garanzie di quella degli altri.

Gli armatori stranieri sono stati vivamente sconsigliati dal frequentare le coste italiane, che avessero qualcosa da nascondere o meno. Quelli italiani hanno rapidamente varcato la frontiera verso coste più tolleranti. Forse è meglio mettere meglio a fuoco il fenomeno “megayacht” e cosa significhi davvero, in termini economici andare per mare. Un servizio estivo del TG1 ha fatto inesorabilmente di ogni erba un fascio, mettendo insieme, nelle capacità di spesa di chi le possiede vecchie bagnarole di dieci metri del valore di trentamila euro con spettacolari panfili da trenta milioni di euro con elicottero. Basta un rapido giro su Internet alla caccia di qualche offerta usata per rendersi conto che per le vacanze in barca può bastare la passione e abilità nel bricolage, invece un bravo pensionato che ha speso la sua onesta liquidazione in una barca sognata per tutta la vita può diventare in pochi minuti un temibile evasore, additato e soprattutto perseguitato. Ma va spiegato che poche decine di grandi barche che frequentano Porto Cervo non hanno molto a che vedere, in valore economico, con le migliaia di vecchi oggetti naviganti che occupano i nostri porti.

Intanto cosa si intende per “megayacht”? Per la legge sono considerate navi da diporto quelle oltre i ventiquattro metri. Valori? Al nuovo si comincia a parlare di cinque milioni di euro. I prezzi salgono molto rapidamente con le dimensioni. Per entrare in possesso di un trenta/trentacinque metri servono otto, dieci milioni. Quanti sono i megayacht e i ricchissimi che possono permetterseli? Alcune migliaia nel mondo, 4/5 mila. Alcune centinaia sono di armatori italiani. Le navi da diporto iscritte nei registri italiani non arrivano a cento, quelle di italiani iscritte nei registri stranieri sono alcune centinaia. Ogni anno questi numeri crescono di qualche decina di unità, negli ultimi due anni i numeri sono cresciuti poco. E’ relativamente facile arrivare, senza fare troppo spettacolo in mare ma con un buon lavoro di intelligence a terra, a bussare alla porta di questi armatori per capire da dove arrivano i loro soldi. Molto spesso non si iscrive la propria nave nei registri stranieri per eludere o evadere le tasse, ma per una più ragionevole gestione normativa in termini di equipaggio (i buoni comandanti italiani sono pochi e quello anglo sassone è un mercato che offre più esperienze specifiche e titoli più adeguati al mondo del lusso) e di costruzione e finanziamento della nave. Purtroppo per quanto in anni passati si sia fatto per spiegare a chi scrive le norme che una legge “competitiva” ovvero in grado di attrarre anche armatori stranieri nei nostri registri non si è mai riusciti ad arrivare a uno strumento efficace. Per costo, taglia e gestione dell’equipaggio e delle spese di gestione quasi tutte le navi fanno capo a una società. Sarebbe complesso far diversamente. Ogni nave costa all’anno in spese di gestione tra il 5 e il 10 % del suo valore: questo è molto spesso la ricchezza che si spalma sul territorio, ovvero che gli armatori spendono per manutenzioni e gestione. Quasi tutte le navi sono a disposizione per noleggio e sono presenti nei cataloghi dei più grandi broker, un poco come le seconde case di lusso. Del resto gli armatori che possono navigare sulle loro navi per quanto per più di qualche settimana sono pochi e sono pochissimi quelli che tengono la barca a disposizione esclusiva. Lawrence Joseph “Larry” Ellison, il recente vincitore della Coppa America e negli ultimi anni sempre tra i primi sei più ricchi del mondo, con un patrimonio personale stimato in 28 miliardi di dollari possiede il Rising Sun, una nave di 138 metri: è una briciola per le sue capacità di spesa e ha voluta una più piccola e maneggevole perché si è reso conto che non era vacanza navigare su una isola che non può entrare in nessun porto dove scendere a cena tra i turisti. Ma questo arrogante e geniale signore di successo, che non dimentica di erogare in donazioni un valore simile a quello della sua barca ogni anno, non può essere la misura per valutare decine di poveri naviganti.

Si chiama Wider 42 la nuova creazione di Tilli Antonelli: l’inventore delle barche che portavano il nome di un generale americano ideatore di missili, scelto per il richiamo alla velocità, dopo la sua uscita dal Gruppo Ferretti, clamorosa per molti versi, non è rimasto fermo ad aspettare. Per Tilli Antonelli “il mondo degli open era fermo da troppo tempo, c’era bisogno di una novità: Wider si pone come una bandiera anti-omologazione che travalica il mondo della nautica e dà una scossa a tutto ciò che rischia una pericolosa stagnazione. L’intero mondo di riferimento del brand rimanda a parole nuove: coraggio, originalità, leggerezza, divertimento.”

Il nome della nuova barca richiama la larghezza e la prima rivoluzione proposta. Infatti quando non naviga, nelle soste in rada cui è destinata, con l’apertura delle fiancate si arriva a toccare l’acqua con una larghezza di sei metri, realizzando una piattaforma che si allarga al centro della barca che ha una superficie dii una quindicina di metri quadri, una vera terrazza sul mare che può essere attrezzata con arredamento particolare, in parte gonfiabile. Antonelli ai tempi della fondazione di Pershing aveva inventato un nuovo open rendendo abitabile una barca che di solito era veloce ma scomoda, era il primo Pershing 37 ideato assieme al designer Fulvio De Simoni, cui ha chiesto aiuto anche per questa rifondazione nautica. Per molti sarà una provocazione, soprattutto perché scavalca il tentativo di realizzare una barca solo bella e veloce nel senso comune e sposa invece la necessità di assolvere delle funzioni non ultima quella di portare una moto d’acqua sempre pronta a poppa, la dove le navi hanno la scialuppa di salvataggio c’è uno strumento di divertimento. Chi lo vuole a poppa può avere un diving center o il più tradizionale tender. La rivoluzione in tempi di crisi è anche qui: più “fun per money” di una volta. Un concetto talvolta dimenticato da chi ha invece usato motivazioni di vendita legate più al lusso e all’apparire. Un nuovo rapporto (o meglio vecchio) con il mare e un nuovo uso della barca, sempre più giornaliera, nelle taglie piccole, e sintonizzata sulle esigenze di chi vive la barca con la seconda casa. In questo caso anche tender per lasciare il megayacht in rada. Vocazione day cruiser anche se c’è una cabina per dormire e la cucina, divertimento a basso impatto, sia per le soluzioni scelte per motori e carena a basso consumo, sia per i materiali impiegati, per la coperta Esthec, completamente riciclabile. La carena è una “stepped hull”, significa che ha dei gradini dove tocca l’acqua e crea una sorta di cuscino di aria e acqua polverizzata che migliora le prestazioni, è disegnata da Mark Wilson, uno dei massimi esperti di carene da corsa. E’ costruita con carbonio e con il sistema scrimp, una laminazione sottovuoto. Il Wider 42 è accreditato di una velocità massima di 45 nodi con due motori da 370 cavalli abbinati ad eliche di superficie Arneson, alla velocità di crociera di 40 nodi può percorrere 350 miglia, che è un’autonomia notevole. La voglia di divertire e cambiare regole si avverte nella strumentazione: un display al centro del volante restituisce le informazioni principali, quelle che servono alla conduzione assieme a un piccolo plotter cartografico.

La nuova società che nasce nella sede del primo cantiere Pershing a Castelvecchio di Monteporzio , per il momento ha il compito di assemblare quanto viene costruito da abili artigiani secondo le specifiche di progetto. Ad affiancare Antonelli nell’impresa ci sono Paolo Favilla, che ha lavorato nel ruolo di amministratore delegato in Pershing nel 2009 e Vincenzo Sulpizi, interior designer. L’avventura è solo all’inizio, dopo il primo modello da 42 piedi con la stessa filosofia ci saranno un piccolo 35 e un 50 piedi.

Per il team di Bmw Oracle è stata una estate di test per mettere a punto il nuovo formato della Coppa America. Russel Coutts, il capo assoluto del sindacato di Larry Ellison, ha allestito gli “evaluation trials”: in sostanza ha riempito di telecamere due catamarani modello Extreme 40 e due monoscafi RC 44 e li ha fatti correre registrando tutte le immagini possibili. Il risultato è molto interessante. Tutto molto diverso da quando, per non svelare segreti, in gran parte segreti di Pulcinella (insomma cose che sanno tutti ma che non si devono dire) gli skipper si accanivano a dire che non si potevano avere telecamere a bordo. Spettacolo e televisione saranno un must irrinunciabile, a sentire gli americani. E c’è da credergli, vista la dipendenza al media, alle immagini vogliono dare una priorità assoluta anche nei confronti di altri media.

Gli esperimenti non devono servire solo a mettere a punto il sistema di ripresa ma a scegliere che barca usare: monoscafo o multiscafo? Il giornalista neozelandese Peter Montgomery ha comunicato la notizia che gli americani avrebbero deciso di usare i catamarani e di fare la Coppa America a La Maddalena. Coutts ha poi detto che la notizia è parzialmente vera”: la parte vera sarebbe quella relativa la multiscafo che, si è capito, gli piace molto e visto che le regate de La Maddalena non hanno lasciato un buon ricordo e anzi messo in evidenza molte contraddizioni. Lui stesso non ci è rimasto più che un paio di giorni. E poi si è visto James Spithill partecipare alle regate organizzate dal New York Yacht Club con i piccoli catamarani della Classe C, con vela alare, e vincere regate con una barca presa a prestito dai canadesi Fred Eaton e Magnus Clarke. L’anticipazione, che tanti velisti danno per certa, è più o meno questa: catamarano smontabile da 73 piedi, ala rigida, otto persone di equipaggio .L’anno prossimo otto eventi con gli Extreme 40, leggermente modificati a prua e dotati di ala rigida “one design”. La rivoluzione, se nella conferenza stampa del 13 settembra a Valencia sarà confermato, è servita. A molti non piace, ma c’è del buono: la velocità. Una barca del genere è in grado di andare due volte la velocità del vento o più. I costi sono comparabili e forse inferiori a quelli del monoscafo, che comunque richiederebbe molto equipaggio in più.  La lezione di Stars & Stripes 88, più che quella di Bmw Oracle è servita. Tempi? Quella volta, cioè nell’88 con le risorse di allora, per costruire l’ala vincente (più complessa di quella di Bmw Oracle) bastarono quattro mesi. La barca sul piano strutturale è perfino più semplice del monoscafo, più leggera e con una immersione che può essere poco più di un metro: per correre nelle lagune e vicino a terra.

Dove si correrà? Sembra che le proposte fatte a Italia e Spagna siano solo provocazioni al Governo della California per alzare il prezzo, infatti la politica america ha detto che vorrebbe le regate a San Francisco per non perdere il forte indotto creato dall’evento, che è stato valutato nella bella somma di un miliardo e 400 mila dollari, e la città del Golden Gate è considerata l’unica sede possibile in America dopo che si era parlato a lungo di Newport, per molti anni la sede storica delle difese del New York Yacht Club. Gli ambientalisti vogliono però delle garanzie che la Coppa sia un evento non inquinante o meglio che ospitarla non serva ad abbassare la guardia sul problema ambientale visto il traffico commerciale di San Francisco fatto di grandi navi, potenzialmente inquinante.

Il prossimo evento cui partecipano i team sarà il Louis Vuitton Trophy Dubai in novembre, i protagonisti quelli, più o meno de La Maddalena. L’evento successivo, quello che doveva essere a Hong Kong, è stato cancellato: troppe difficoltà con le autorità locali, potenziali sponsor e anche la considerazione, motivo diventato ufficiale, che i team si stanno ormai concentrando sulla Coppa America e presto dedicheranno tutte le risorse a quell’obiettivo.

Al momento dei numerosi sindacati italiani che avevano manifestato le intenzioni di partecipare resta vivo solo il Challenger of Record Mascalzone Latino di Vincenzo Onorato. Patrizio Bertelli ha fermato le operazioni per la quarta Luna Rossa e purtroppo la sua scelta sembra definitiva. Per La Maddalena aveva allestito uno squadrone con molti vincitori che purtroppo non ha saputo esprimersi come poteva. Non buone le notizie che arrivano dal campo di Azzurra, che sembra in crisi di personalità dopo un avvio veloce e convincente. E’ un peccato che due nomi storici non siano sul palcoscenico della Nuova Coppa America, un evento studiato per attirare spettacolo e sponsor, ma un solo sindacato può servire a concentrare gli sforzi e le energie disponibili.

Il dottot Paolo Vitelli, ingegnere honorsi causa, inventore e anima del gruppo Azimut Benetti, in questi mesi ha lavorato duramente per non perdere le posizioni acquisite negli anni scorsi in tempi di crisi. Non si sbaglia a scrivere che ha “stretto i denti” e con lui tutto il gruppo, che per primo ha intrapreso iniziative pesanti di riduzione della produzione con il ricorso a cassa integrazione in maniera molto massiccia e alle prime avvisaglie della crisi. Complice anche una produzione abbondante che aveva in qualche modo rimepito i magazzini, se si può dire, che solo ora è stata smaltita. Fin dall’inizio di questo rallentamento produttivo gli è rimasta la ferma intenzione di restare particolarmente attivi nella progettazione e nella proposta di novità, con l’idea di proporre subito prodotti appetibili alla ripresa del mercato. Dopo anni in cui il mondo politico aveva capito la forte valenza industriale, di immagine per il made in Italy  della nautica da diporto Vitelli vede con preoccupazione questo modo di portare le lancette del tempo all’indietro trasformando ogni possessore di barca in un osservato speciale, potenziale evasore, “la nostra industria crea ricchezza, racconta in tutto il mondo quello che sappiamo costruire e disegnare in Italia – dice – non mi stancherò mai di dirlo. E bisogna spiegarlo”.
Prima dell’estate il gruppo ha mostrato ai potenziali clienti a Cannes Porto Canto i nuovi progetti : la novità dell’Azimut 64, un motoryacht che si inserisce in una delle fasce più combattute del mercato dei fly bridge, ci sono i nuovi progetti delle gamme Magellan, Benetti.
Dott Vitelli, sente il suo gruppo uscito dalla crisi?
“Non ancora, ci sono dei segnali positivi del mercato, abbiamo effettuato delle vendite all’estero mentre il mercato domestico ha poco entusiasmo. Abbiamo fiducia. Ci sentiamo solidi e perfino più forti di prima. Non è bello dirlo, ma abbiamo anche la concreta speranza che qualche cliente perso dai concorrenti in difficoltà economica arrivi da noi. Abbiamo avviato la costruzione di un nuovo grande cantiere in Brasile a Itajaì, dove produrremo cento barche l’anno di sei modelli per essere più competitivi sui vecchi mercati e aggredirne di nuovi. Sarà in un’area coperta di 200 mila metri, il doppio dello storico cantiere di Avigliana. Detto questo abbiamo fiducia e soprattutto ci sentiamo solidi e perfino più forti di prima. Con un poco di cinismo posso dire che la crisi di qualcuno sarà un vantaggio per noi, che potrebbe arrivare qualche cliente che non avevamo””.
C’è un motivo per questi risultati?
“Mi lasci dire che succede perché siamo i più bravi. Perché siamo un’azienda privata con una strategia a lungo termine, concentrata su prodotto e cliente e non sulla finanza o sull’arricchimento dell’azionista”.Che risposta danno i mercati stranieri?
“Il mercato europeo, che ha come bacino il Mediterraneo è ancora in difficoltà. I cantieri inglesi stanno lavorando bene e la Francia che continua ad applicare con coerenza norme chiare resta un riferimento anche per gli armatori italiani. Gli Stati Uniti sono in ripresa, il Messico è in forte crescita e il Brasile in piena espansione e non a caso abbiamo scelto di produrre direttamente. Ci sono nuovi ricchi e quindi potenziali clienti per le grandi barche in Cina, India, Corea. Anche la Malesia, molto legata a Singapore, ha una nuova classe con grandi disponibilità”.
Ci sono delle barche più adatte a superare la crisi?
“L’obiettivo per un cantiere come il nostro è sempre lo stesso: dare di più in barca e tecnologia riducendo i costi di acquisto. Quello che è successo in questi anni ci ha spinto ancora di più in questa direzione e siamo convinti di poter proporre al mercato grandi vantaggi rispetto a molti concorrenti. Adesso ci stiamo concentrando su Azimut Grande, ovvero sulla produzione con marchio Azimut di imbarcazioni oltre i trenta metri. Per quanto riguarda Benetti abbiamo inaugurato la nuova linea Sensation, con barche di alluminio semiplananti”
All’orizzonte c’è una nuova spinta verso le barche a basso impatto. Quali sono le sue idee?
“Per fare discorsi seri bisogna parlare di efficienza generale e quindi soprattutto di riduzione dei consumi anche con tecnologie tradizionali. I nostri motori hanno emissioni come gli Euro5 stradali, i generatori hanno un sistema che decanta i fumi, gli impianti delle acque nere sono sempre più sofisticati. Abbiamo iniziato a proporre tessuti naturali e legni lavorati con trattamenti poco inquinanti. Per non tagliare le foreste vogliamo proporre una rivoluzione usando per i ponti il teak artificiale. Un risultato da raggiungere è il riciclo della vetroresina. Ci stiamo lavorando”.