Per un velista la parola Star non è solo la stella che lo guida in cielo, è il mito, la leggenda della classe da regata più antica e tecnica, anche longeva. Fino alle Olimpiadi delle scorsa estate era la classe regina: diventarne campione del mondo era come accedere a una cerchia ristrettissima dei gradi cardinali della vela, signori del timone. Non è neanche un caso, tanto per restare in tema religioso, che Lowell North che ne è stato campionissimo con la sua barca North Star, una casuale e invidiabile combinazione di cognome e classe di barca, per tutta la vita sia stato considerato il Papa. La battuta era stata: ma se chiamiamo Elvstroem “God”, come va chiamato Lowell? Pope, allora. I grandi timonieri di Star hanno fatto carriera in Coppa America, oltre a North che a dire il vero non riuscì mai a essere un vero leader, i fortissimi Dennis Conner, Paul Cayard, Tom Blackaller. A casa nostra sono da citare Agostino Straulino, Dodo Gorla, Roberto Benamati, Enrico Chieffi. Più Francesco Bruni che alle Olimpiaci di Atene ha fatto vedere che poteva fare la sua grande figura sul palcoscenico importante. Diego Negri è l’alfiere ancora in attività.
Bene, se considerazioni poco condivisibili sul come far diventare più popolare la vela ne hanno decretato la fine olimpica per i prossimi Giochi brasiliani, oltre tutto nella terra del campionissimo Torben Grael che ci ha vinto quattro delle sue cinque medaglie olimpiche, la Star vuole scommettere ancora su un futuro. La Star Sailors League Final 2013, regata a invito, sarà organizzata dal Nassau Yacht Club dal 3 all’8 dicembre 2013 e vedrà competere molti dei migliori staristi al vertice della ranking della neo formata League. Diciotto gli equipaggi invitati, tra cui undici campioni del mondo e tre ori olimpici, da11 nazioni. Hanno già dato la loro conferma il brasiliano Robert Scheidt, il francesce Xavier Rohart, lo svedese Freddy Loof, il norvegese Eivind Melleb, il danese Michael Hestbaek, lo svizzero Flavio Marazzi, i tedeschi Johannes Polgar e Robert Stanjek, il polacco Mateusz Kusznierewicz, gli americani George Szabo e Mark Mendelblatt. L’Italia è rappresentata da Diego Negri, che alla barca olimpica ha dedicato gli ultimi anni correndo nel Gruppo Sportivo delle Fiamme Gialle. Un concorrente speciale sarà Paul Cayard, l’americano reduce dalla partecipazione alla Coppa America come CEO di Artemis non è nuovo a queste operazioni “back to basic”: la Star resta una barca piccola e vicina all’acqua. Ti porta al sommo vertice della stima velica, ma è tanto bagnata e faticosa. Si corre in due, timoniere e prodiere, che di solito è un omone che passa i cento chili per dare potenza e raddrizzamento con vento forte. Questo evento si distingue inoltre per mandare in scena un formato di regate inedito per la Star. Le 18 barche presenti gareggeranno al completo nei primi tre giorni di regata, nei quali sono previste un massimo di quattro prove al giorno fino ad un totale non superiore a nove. Il quarto giorno saranno ammessi al via delle semifinali i migliori dieci equipaggi qualificati nella prima fase e, in modo simile alle qualifiche della Formula 1, nelle due regate successive (quarti di finale e finalissima) verranno eliminati progressivamente gli ultimi tre arrivati. Il vincitore assoluto dell’evento sarà quindi l’equipaggio che taglierà per primo la linea del traguardo nell’ultima prova e riceverà 4.000 punti validi per la Ranking SSL.

Pippo Dalla Vecchia aveva annunciato da tempo la sua intenzione di lasciare il comando del Reale Yacht Club Canottieri Savoia, uno dei più antichi d’Italia e d’Europa, fondato nel 1893 come Canottieri Sebetia. Pippo è una delle figure di riferimento dello sport velico. Dopo una lunga carriera all’interno della FIV e la mancata elezione a presidente (seduta molto turbolenta, finita con una manciata di voti a favore di Sergio Gaibisso)  si è dedicato “anima e core” al Savoia che ha totalmente trasformato. Una delle sue battute ricorrenti era “avevamo la gente con le stufette, a giocare a carte, ho ripulito tutto”, adesso il Savoia è tappa obbligata di grandi regate e grandi serate. La riflessione postuma, anni dopo quella sconfitta contro Sergio Gaibisso, è: come sarebbe stata la FIV di Pippo? Chissà, allora non si capiva bene quale fosse la sponda giusta e Pippo aveva, nella mia visione, preso iniziative che non erano quelle che servivano a quella vela. Tuttavia l’amore profuso nel Savoia ha qualcosa di magico, irripetibile in altri circoli, dove il presidente “ad eternum” non ha la stessa forza positiva e appare piuttosto un ingombro, un inamovibile toro seduto.

questa la sua lettera di commiato:

Napoli, 3 ottobre 2013

lascio oggi il ponte di comando del Savoia dopo ventidue anni e, non più presidente, ritorno a far parte dell’equipaggio della nave bianco-blu. Ho passato l’ultimo quarto della mia vita al timone di un Circolo quanto mai prestigioso, addirittura straordinario e questo lo considero e lo considererò sempre un grande onore che mi è stato concesso dai Soci Fondatori del Savoia. Per la verità, non è stata una navigazione facile ma, ditemi voi, che barba sarebbe stato il navigare per tanti anni in una stucchevole calma piatta. Desidero fermamente – non lo considerate, Vi prego, un atto formale – ringraziare tutti, proprio tutti, per avermi sopportato per tanto tempo. I miei ringraziamenti, sinceri, vanno anche a coloro che in tutti questi anni mi hanno reso la vita difficile. Ignari, hanno fatto sì che il difficile carattere che mi accompagnava sin dalla nascita venisse modificato tanto e in meglio da poterlo così esibire serenamente nella prossima vita che mi attende. Ringrazio le Istituzioni, i Corpi Militari e Civili, gi amici Ammiragli, le Federazioni Sportive, i Presidenti dei Circoli gemellati, l’amico carissimo Gianni Malagò oggi Presidente del CONI. Ringrazio tutti coloro che hanno dimostrato con i fatti e non con le parole di avere grande considerazione ed altrettanta stima per il vecchio glorioso Savoia. Ho avuto la fortuna di formare e di gestire per anni e anni una grande squadra : il nostro personale. Non voglio fare in questa sede distinzioni di mansioni e categorie di sorta, tutti, ripeto tutti si sono prodigati con me per far conseguire al nostro Circolo risultati insperati e quindi ancora più esaltanti. A tutti questi amici la mia sincera gratitudine. Un ringraziamento particolare desidero riservarlo alle Sezioni Sportive del nostro Circolo, unico scopo della nostra esistenza. I canottieri e i velisti che hanno indossato, indossano e indosseranno la gloriosa maglia del Savoia debbono essere sempre considerati i veri protagonisti della nostra storia e del nostro grande prestigio sportivo in Italia e nel mondo. Ringrazio i tecnici del Remo e della Vela. Oggi il Circolo è dotato di uno staff tecnico di grande valore che, in ogni caso, dovrà essere tutelato. Per ultimi – stavate già pensando ad una mia riprovevole dimenticanza – ringrazio di cuore tutti i miei Vice, il Segretario Generale e tutti i Consiglieri che sono stati con me sul ponte di comando del Savoia. Costoro mi hanno sempre aiutato a superare tempeste e scogliere sommerse. Potrei continuare ancora per molto – ventidue anni di storia sono tanti – ma non voglio abusare, proprio alla fine, della Vostra pazienza. Mi fermo qui e, Cari Amici, concludo questa mia lunga lettera con una sola parola: Grazie.

Pippo Dalla Vecchia

Per qualcuno, i forzati dell’ottimismo, il Salone di Genova è stato un successo. Per carità, come ha detto Massimo Guardigli di Comar “almeno ho visto gente interessata davvero che fa domande vere, cerca barche medie”, questo può essere un vero segnale positivo e l vela non ha mai fatto la parte del leone a Genova. La stessa industria con sufficienza la considerava una parte piccola e quasi “inutile” nell’economia del Salone che doveva rappresentare la produzione dei cantieri italiani. Era parzialmente vero, anche se il Salone di Genova ha sempre vissuto nell’ambiguità tra le due esigenze storiche: quella di vetrina della capacità industriale nostrana ma anche di soddisfare le esigenze dei visitatori nostrani. In un salone grande dovrebbe esserci posto per tutti, come accade all’estero. A Genova l’equivoco è sempre rimasto attivo. Negli anni d’oro il mercato della vela valeva il 90% circa del fatturato del settore ma a Genova i visitatori interessati alla vela erano almeno uno su tre. Dunque una forte differenza tra capacità industriale e gusti del mercato interno. Negli anni questo ha provocato autentiche rivolte, fino alla più ingenua dell’anno scorso con la proposta di spostare tutta la vela altrove. Adesso le carte sono ben rimescolate, in un Salone ridotto in dimensioni ed espositori le poco meno di 50 barche a vela hanno costituito una attrattiva importante, quasi decisiva per riempire le banchine. Sintomo di un rinnovato equilibrio? Forse anche del passaggio dal motore alla vela, complici i consumi e i costi rilevanti dei carburanti e le manutenzioni. Resta molto da fare per far trovare al Salone una dimensione orientata al pubblico e alla sua voglia di “comprare”. La freddezza di alcune iniziative del passato pesa ancora e sebbene alcune cose siano decisamente migliori, come l’esposizione degli accessori in un padiglione nobile e non nel vecchio C, manca ancora la cornice, il palcoscenico. Attività che potrebbero essere al centro dell’attenzione come Convegni, incontri al Teatro del Mare, sono finiti confinati in luoghi inaccessibili. Chi ricorda Londra con il vecchio Salone di Earls Court? Beh, li il grande schermo, la piscina centrale, ti portavano comunque a vivere un’attenzione diversa al “mare”. Artificiale? Certo, ma con le immagini forti della Whitbread (di una volta), delle grandi regate, di molto altro. Genova no, perchè tutto si paga, tutto si deve. Polemica? Quando i cantieri crescevano a due cifre nessuno ha messo da parte qualcosa per la nautica nostrana, anzi. I cantieri, che possiedono Genova attraverso Ucina, hanno preferito il salone di Cannes vuotando la propria creatura di significati. Adesso bisogna far quadrato, creare un canale con l’estero, riportare i clienti in Italia. Difficile, ma possibile.
“La crisi ha colpito duramente il mercato della barca a vela – racconta Massimo Franchini, architetto ed ex titolare di un cantiere che è stato uno dei marchi italiani fmosi – il mercato è sceso del 95%, e non è uno scherzo. La fascia media è totalmente scomparsa, si salva il piccolo e il lusso”. La sintesi è crudele, ma veritiera della situazione molto grave. Il mercato delle imbarcazioni immatricolate fatica a superare le cinquanta unità anno, tra imbarcazioni costruite in Italia e importate. Negli anni migliori il solo marchio Beneteau vendeva oltre cento unità sul nostro mercato. I marchi storici sono in palese difficoltà, per non dire peggio. Si salvano le realtà più nuove, quelle che non avevano un assetto industriale imponente e quindi costoso. Il gruppo Bavaria prima dell’estate e dopo due anni di tentativi ha abbandonato ogni speranza di sollevare il Cantiere del Pardo che è entrato in concordato, le notizie pre-salone lo danno passato di mano al Gruppo Trevi di Davide Trevisani, che in passato aveva acquisito anche Sly Yachts, per un valore di circa 8 milioni di euro che dovrebbero corrispondere più o meno agli asset. Trevi è tra le società che hanno partecipato al recupero della nave Concordia. In corsa per questa acquisizione si erano presentati il vecchio proprietario Giuseppe Giuliani Ricci, che ora controlla Solaris con buon successo, e il cantiere turco Sirena Marine ma con proposte decisamente inferiori. Del Pardo con la sua gamma Grand Soleil resta molto solido, nonostante le difficoltà recenti, nell’immaginario del mercato che tende perfino a sopravalutare le barche usate, una posizione conquistata molti anni fa con modelli storici. Purtroppo l’esperienza all’interno del Gruppo Bavaria dimostra che solo con una radicale rivisitazione della produzione si può puntare a un grande ritorno. E’ ormai il tipo di barca proposto a essere in crisi. Il cantiere giuliano Solaris, punta in alto con la sua gamma e propone modelli che arrivano ai 21 metri, a Genova c’era mlta della sua gamma: un completo 72 (che nasce dalle linee di carena degli Zero di Peterson) un bel 60 piedi, e le più piccole. Wally, il marchio creato da Luca Bassani, ha chiuso l’unità produttiva di Ancona, Wally Europe, ma resta attivo da Montecarlo per design e vendita, al Salone di Montecarlo ha presentato il Wally 100 di Lindsay Owen Jones, secondo esemplare di un aggressivo cruiser racer.
Advanced Yachts, il marchio ideato da Marco Tursini è tra quelli che vivono meglio il momento “abbiamo venduto una barca nuova da 80 piedi – dice l’imprenditore milanese – e stiamo preparando un 42 piedi molto tecnologico disegnato da Roberto Biscontini. Possiamo cominciare a pensare di essere in una fase di risalita del mercato”.
Sempre interessanti le barche proposte da Southern Wind, il cantiere sud africano controllato da Pegaso Yacht di Genova, che ha varato in questa stagione il 102 piedi Hevea, con disegno generale di Nauta Design e carena disegnata dallo studio Farr. Novità anche in casa Nautor, il cantiere di Leonardo Ferragamo con produzione in Finlandia che ha presentato un nuovo modello di 60 piedi per grande crociera oltre a nuove iniziative nel campo del motore con il marchio Camper & Nicholsons. La parte del leone della vela europea continua a farla il gruppo Beneteau, che resta solido nella sua posizione di leader mondiale. Quest’anno presenta Oceanis 38, ideato con la formula degli interni componibili, anche dopo l’acquisto, la versione base è un piccolo loft con un bagno solo, la più completa ha tre cabine e un bagno. La barca ha avuto successo, molto visitata, anche se la versione completa appare un poco costosa. Jeanneau affronta la stagione con una nuova ammiraglia da 64 piedi che per rapporto qualità prezzo sarà una spina nel fianco per i marchi che tendono al lusso con una sopra valutazione di marchio e finiture, che ormai rappresenta il vero limite allo sviluppo.

Sotto, Oceanis 38 ultimo nato in casa Beneteau

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Nuova Zelanda ci credeva: quando l tabellone segnava 8 a 1 in favore di Emirates Team New Zealand il progetto di riportare la Coppa America a Auckland al primo piano del Royal New Zealand Yacht Squadron sembrava a portata di mano. La speranza aveva fermato scuole, agricoltura e industrie, con una battuta anche 30 milioni di pecore ci speravano. Invece la furiosa rimonta di Oracle, che ha qualcosa di miracoloso e pochi precedenti nella vela e in ogni sport, ha fermato il sogno. Che non era solo sportivo, ma aveva motivazioni industriali e turistiche importanti per tutto il paese, la Coppa è rimasta a San Francisco e come primo effetto le azioni di Air New Zealand sono scese. E’ singolare notare come i nostri Governi abbiano sempre considerato la nautica al massimo un serbatoio per estrarre tributi dall’altra parte del mondo sia un orgoglio nazionale. Negli anni in cui è rimasta in Nuova Zelanda, dal 95 al 2003, è stato un motore per lo sviluppo: la città di Auckland ha cambiato aspetto, il giro di affari per il paese è cresciuto non solo per la presenza dei team sul posto, la loro necessità di assistenza, ma anche per il turismo indotto. A Auckland e dintorni ci sono famosi cantieri per megayacht che fanno concorrenza ai nostri. Fitzroy ha costruito la splendida Zefira di Paola e Salvatore Trifirò. Alloy Yacht ha realizzato i due Imagine di Matteo de Nora, l’uomo che ha finora attivamente sostenuto Team New Zealand mettendoci molto del suo. Con un passato da industriale nella chimica, è stato per Team New Zealand una corazzata invisibile, sostiene il team fin dal 2003 per la sua grande passione per la Nuova Zelanda “e il carattere del team” come racconta. Dean Barker, il timoniere sconfitto, ha chiamato Matteo il figlio maschio. “Sia il Governo condotto da Helen Clark in passato che l’attuale con John Key – racconta – hanno sostenuto Team New Zealand riconoscendo alla eventuale vittoria della Coppa America un ruolo fondamentale per l’economia nazionale. Il suo appoggio è passato non solo attraverso i finanziamenti, ma anche con un aiuto logistico importante. C’è la volontà di dare alla Nuova Zelanda un’identità più evidente in campo internazionale, un obiettivo comunque raggiunto anche con la sconfitta”. Si, la Nuova Zelanda è lontana da ogni rotta, un posto che ha scoperto la natura come valore assoluto, e dove la vita ha una dimensione slow autentica. C’è una profonda differenza tra la squadra di Oracle, sostenuta da Larry Ellison con si stima 200 milioni di dollari Usa, e quella di Emirates Team New Zealand, che può essere considerata una vera nazionale. Spiega de Nora: “il nostro budget finale a consuntivo è di 70/80 milioni di euro, distribuiti su quattro anni. La maggior parte dei denari è arrivata dagli sponsor e soprattutto dal naming sponsor Emirates che ha anche messo a disposizione i trasporti, erano 200 persone e 46 container da muovere, non è poco. L’aiuto del Governo può essere quantificato in 37 milioni di dollari neozelandesi, spesi non solo in maniera diretta ma anche per iniziative come l’hospitality che abbiamo usato o la partecipazione alla Volvo Race con la barca Camper. Sono intervenuto con un finanziamento personale ma soprattutto ho coordinato quelli che chiamiamo il ‘mates’ ovvero gli amici del team, che sono un numero di finanziatori privati che ci hanno sostenuto da tifosi. Di solito i ‘mates’ danno delle garanzie all’inizio che poi vengono coperte dagli sponsor che intervengono via via. La partenza del team è sempre il momento più critico sul piano economico”. Da ricordare come la sconfitta del team nel 2003 abbia addirittura provocato interrogazioni parlamentari al grido di “senza Coppa l’industria precipita”. E anche questa volta c’è preoccupazione, l’associazione dei cantieri dell’industria nautica neozelandese aveva programmato un raddoppio del fatturato attuale in funzione del ritorno della Coppa a Auckland, che nel 2020 dovrebbe raggiungere 1.3 miliardi di dollari neozelandesi. Peter Busfield, direttore generale dell’associazione dice: “abbiamo perso una grande opportunità, riportare qui la Coppa avrebbe significato per noi la cosa più efficace in alternativa ad avere le Olimpiadi. Qui sono state costruite Aoatearoa, molte parti di Luna Rossa (gli scafi in Italia da Persico) e della stessa Oracle e gli AC 45 che sono serviti negli eventi delle World Series, nel complesso possiamo stimare un introito di almeno 50 milioni di dollari per lo Stato”. La Nuova Zealanda resta leader nelle tecnologie di costruzione delle imbarcazioni di carbonio e finora è anche stata sostenuta da un vantaggio competitivo: costruire una barca laggiù è scomodo per chi deve seguire i lavori, ma può costare molto meno che in Europa. Spiega ancora de Nora: “I numeri sono sempre relativi, gli analisti e governi ne danno di destinati a cambiare in pochi mesi. Posso dire che quando vincono gli All Blacks nel rugby si vende qualche pallone in più e l’iva è pochissima. Se invece vendi delle barche a vela che valgono decine di milioni l’impatto sull’occupazione e il gettito fiscale è molto maggiore. Nelle settimane della Coppa abbiamo superato ogni dato di audience televisiva e capito che l’80% degli spettatori del rugby è maschile mentre la vela raggiunge anche il pubblico femminile. La vela è seguita dalle famiglie intere”. Forse dalle nostre parti dobbiamo imparare qualcosa.

La Auld Mug, per chi non lo sa il nome arcaico della vecchia brocca, ha sempre scritto la sua lunga storia con la grammatica dell’innovazione, è  con quella che affascina da più di un secolo e mezzo. Una volta, per scrivere le leggende del mare si correva tra le onde, adesso letteralmente si vola sull’acqua con il “foiling”:  i catamarani AC 72 si sollevano sulle derive come aliscafi, sfruttando tutta la potenza di una vela rigida alta 40 metri, una potenza che qualcuno fa somigliare, per analogia, a quella di un motore da 700 cavalli. La cifra estetica degli AC72 è la velocità e quando passano vicino si sente solo un sibilo del timone che entra in risonanza . Tanta velocità come piacerebbe a Marinetti, finora raggiunta sull’acqua solo con oggetti naviganti costruiti per i record in linea retta come Hydroptere o Vestas Sailrocket2. Cinquanta nodi a vela, quasi cento all’ora di Gianni Morandi, sono una velocità mostruosa rispetto a quelle cui siamo abituati. Per disegnare questi cat i progettisti hanno esplorato nuovi panorami del confine aria acqua, ma è un mondo nuovo destinato a durare, forse, la vita di una farfalla: una sola edizione. Ai velisti piace volare, chi vincerà la Coppa prima di cambiare e tornare ai monoscafi ci penserà a lungo, perchè sono costati ricerche che adesso sono un vantaggio sulla concorrenza. Gli Ac 72 sono veloci e difficili da portare, non si sono dimostrati molto adatti al match race, il duello all’arma bianca che invece era diventato una danza con incroci calibrati al millimetro con i vecchi monoscafi, che però non passavano i 14 nodi in condizioni normali. Da tener conto che i catamarani AC 72 sono i primi foiling a disputare vere regate a quelle velocità, tutti i progettisti sono concordi nel dire che tra un paio di generazioni le prestazioni saranno molto più vicine e dunque sarà possibile assistere a un combattimento ravvicinato. Insomma, sono una conquista tecnologica ancora acerba che non è piaciuta ai sacerdoti della tradizione. Forse il salto in avanti con il foiling è stato eccessivo, visionario: ma è un salto in avanti. Del resto è il salto in avanti, perché dei cat normali con uno scafo sollevato avrebbero, quelli si, fatto una figura modesta. Nella vela il progresso è molto lento, i marinai hanno paura di cambiare quello su cui si sentono sicuri: le caravelle che hanno scoperto l’America, velocità media circa 8 nodi, non sono tanto diverse dalle navi tonde che i romani affidavano a comandanti fenici per portare il grano (e gli obelischi) dall’Egitto a Roma. Erano più veloci i vichinghi di Erik il Rosso, arrivato a Vinland – Terranova verso l’anno mille con i leggeri drakkar , capaci di lanciarsi a 14 nodi con il vento in poppa. I vascelli, fatti per resistere alle cannonate e restituirle, di Horatio Nelson signore di Bronte nella battaglia di Trafalgar all’inizio dell’800 erano una evoluzione senza rivoluzione dei galeoni di Sir Francis Drake, il corsaro della regina, che nel 600 era arrivato guarda caso a San Francisco. C’è un legame storico tra San Francisco e la velocità: i cercatori d’oro entravano nella baia dopo navigazioni massacranti a bordo dei clipper bastonati dalle tempeste di Capo Horn. Anche quelle meravigliose navi a vela vivevano con il mito della velocità (fino a 18 nodi) e spesso, come gli AC 72, erano costruiti per il solo viaggio di andata: nessuno aveva merci o persone da riportare indietro dalla California a New York, erano le speranze di trovare pepite sulle rive di Silverado a pagare il biglietto. L’inizio della corsa all’oro in California è del 1848, anno in cui è stata forgiata la Coppa poi messa in palio nel 1851, tutto torna… Patrizio Bertelli le racconta così: “queste barche sono animalesche, viaggiano tra aria a acqua con dinamiche nuove, sono oggetti che il pubblico non riesce a riconoscere. Io all’inizio ero molto scettico, preferivo il monoscafo. Adesso credo che ci siano delle cose buone e che restando nell’ambito delle barche foiling, certamente più piccole e meno costose, potremmo anche mettere a frutto le esperienze che abbiamo fatto adesso”. La velocità è scritta sulla faccia di Grant Dalton, il comandante over fifty che guida New Zealand, vincitore anche del giro del mondo in catamarano e senza scalo, con Club Med. Quando New Zealand ha perso due uomini in mare in una ingavonata con rischio vita e qualcuno ha pensato che uno fosse lui ha detto con un ghigno “io non casco in mare”. A Matteo De Nora sta a cuore il futuro della Coppa: “Alla gente piace il monoscafo, si riconosce nella storia della navigazione. Ma dalla velocità non si torna indietro. Forse la soluzione è un monoscafo planante che arriva a 35 nodi ma che consente tutte le manovre di pre partenza che piacciono al pubblico”. De Nora centra il punto: lo sport anche quando coinvolge la tecnologia non può rinunciare al confronto tra gli uomini che lo praticano. La poetica di Team New Zealand è da sempre questa: un grande equipaggio che fa “cantare” una grande barca. Hanno incontrato un equipaggio che ha saputo maneggiare la tecnologia con scaltrezza: i kiwi hanno inventato il foiling leggendo tra le righe del regolamento, gli americani lo hanno reso stabile e sicuro con Herbie (o meglio SAS Stability Augmentation System) , una macchinetta con sensori gravitazionali studiata per il Boeing 747 una quarantina di anni fa. Ancora misterioso come abbiano applicata senza violare la regola che ogni regolazione delle derive deve essere manuale.

Per saperne di più sul SAS

http://www.ier-institute.org/2070-1918/lnit15/v15/123.pdf

http://aerostudents.com/files/automaticFlightControl/stabilityAugmentationSystems.pdf

 

La Coppa America numero 34 è finalmente finita. Hanno vinto gli americani, ha vinto Oracle che ha fatto il miracolo di rimontare un punteggio impossibile per concludere 9 a 8, risultato inaspettato solo qualche giorno fa. Ha vinto ieri notte l’ultima combattuta regata, il distacco e la cronaca non hanno ormai nessuna importanza. Soprattutto, vale dire che sono stati più veloci di bolina sempre e comunque, che si può usare la parola incontenibili. E’ finita nel modo più crudele per Dean Barker e compagni di Emirates Team New Zealand, che hanno sentito a lungo odor di vittoria, anzi era praticamente in tasca. Larry Ellison, il miliardario terzo uomo più ricco del mondo (fa sempre una certa impressione pensarlo) gongola sul podio, alza l’antico trofeo al cielo,  pensa di aver speso bene i suoi 200 milioni di dollari. Ancora una volta ha dimostrato che i soldi contano, perché sono stati il carburante per i grandi talenti che ha messo assieme. La vittoria kiwi sarebbe stata più romantica, forse più giusta anche per come va il mondo. Ma la Coppa non fa sconti.
Quel che è successo sul campo di San Francisco ha qualcosa di magico, di mai visto prima in 162 anni di storia della Coppa che da oggi abbandona l’era antica. La capacità di Oracle di rinnovare il suo team, le prestazioni della barca sono state una dimostrazione di abilità, offuscato da qualche ombra per l’amaro lasciato in bocca dalle modifiche non legali agli AC 45 per cui sono stati sanzionati. Al momento non è il caso di perdersi nella dietrologia sulla legalità della barca, la loro velocità di bolina era qualcosa di veramente spettacolare. Così come purtroppo lo è stato il declino inarrestabile di New Zealand, che giorno per giorno ha subito la pressione di un equipaggio che ha sventolato la bandiera di Ben Ainslie usandolo come vela da tempesta, pilastro di tattica e furbizia. James Spithill è un pugile , un timoniere alla seconda vittoria della Coppa, ma Ben in qualche modo è l’eroe di questa impresa, perché salito a bordo in un ruolo non suo e subito ha saputo imporre un ritmo diverso alla barca e agli uomini. Ben che poteva anche essere nel campo avverso: nel 2005 era entrato come tattico titolare in New Zealand, ma preferì diventare il timoniere di barca due “perché devo imparare a timonare e il match race”. Ben che non era a bordo nel primo equipaggio, che ha sostituito il frigido John Kostecki, campione vero ma mai assoluto quanto lui. Due cognomi italiani a bordo di Oracle: Shannon Falcone, padre italiano passaporto di Antigua e Gillo Nobili, passaporto italiano e felicità alle stelle. La sconfitta di New Zealand è anche troppo punitiva e crudele: per una settimana hanno avuto in mano la Coppa, hanno sognato e preparato il futuro dell’evento, hanno interpretato il loro ruolo di nazionale della vela. I grandi sconfitti sono Grant Dalton e Dean Barker, che hanno cercato di seguire un altra coppia famosa sul viale del successo: Peter Blake e Russell Coutts, i trionfatori del 95. Ma contro di loro c’era un’America debole, divisa, senza il portafoglio aperto di Ellison. Per loro la sconfitta è molto difficile da digerire. Dean ha pianto come un bambino dopo il traguardo, Dalton non lo dice, ma piange dentro. Torneranno? Tornerà lo squadrone kiwi? Chissa. La corazzata invisibile Matteo De Nora ha riaffermato tutta la sue ammirazione e fiducia negli uomini. Ma non basta. Errori nel campo neozelandese? Chissà forse un giorno sapremo. Uno su tutti: quello di aver reso pubblica la scoperta del foiling (il modo di navigare sollevandosi sull’acqua) troppo presto, per Oracle è stato un inseguimento continuo ma vincente grazie alle risorse senza limiti. “Abbiamo combattuto ogni giorno – ha detto Spithill – e abbiamo vinto”. Facile, a parole.
Dean è sconsolato: “abbiamo vinto l’ultima partenza ci abbiamo sperato, ma non è stato possibile competere con la velocità di Oracle. Il loro miglioramento è stato incredibile. Siamo orgogliosi del nostro team, abbiamo cercato di riportare la Coppa in Nuova Zelanda, non ci siamo riusciti”. Per quante notti rivedrà il cronometro correre in quella regata interrotta a pochi minuti dall’arrivo, la regata della vittoria. Grant Dalton commenta: “la nazione è devastata”, giorni di scuole chiuse, record di audience, i primi effetti si sentono in Borsa, con il crollo delle azioni di Air New Zealand.   Differenze tecniche, si ci sono: ala diversa, Oracle ha la parte anteriore rigida mentre quella di Emirates Team New Zealand può twistare. Oracle ha scafi più piccoli, meno voluminosi. Oracle non ha la struttura con i tiranti che consente a Emirates una maggiore rigidità, ma in compenso le traverse tradizionali oppongono meno resistenza al vento e questa, assieme al controllo con controllo elettronico delle derive (manuale per i kiwi)  può essere stata la vera differenza, che consentiva una grande stabilità a Oracle in ogni situazione.
Il futuro è incerto: chi è il Challenger of Record? Ellison ha dichiarato che esiste ma lo comunicherà più avanti. La scelta, potrebbe essere tra il Royal Cornwall Yacht Club per un sindacato condotto da Ben Ainslie con sponsor JP Morgan oppure il Royal Swedish Yacht Club per Artemis di Torbjörn Törnqvist che ha già messo a contratto Iain Percy. Bertelli aveva le carte pronte per la sfida del Circolo Vela Sicilia al Royal New Zealand Yacht Squadron, ha sempre detto che non gli interessava farlo con gli americani. Però.. ci ha abituato alle sorprese. Quasi certamente resterà questa formula di regata, con dei catamarani foiling, lunghi 60 piedi.

Oracle USA ha conquistato ieri notte un incredibile pareggio portandosi così sull 8-8, significa che la regata di questa notte sarà determinante e decisiva per la conquista della Coppa America, per entrambi i team una must win race. Lo ha fatto in due regate corse in una giornata ideale per sole, vento e mare, purtroppo disastrosa per Emirates Team New Zealand che è apparsa davvero inferiore in ogni settore, irriconoscibile rispetto a quella di una settimana fa, quando era lanciata verso la vittoria. I kiwi da domenica scorsa attendono il punto decisivo, che hanno avuto in tasca per ben tre volte. Nella prima regata del giorno il timoniere Dean Barker ha impostato malissimo la partenza, subendo due penalità consecutive che si sono tradotte in un ritardo importante, tuttavia la sua velocità nell’inseguimento è sembrata interessante e i kiwi sono riusciti a guadagnare qualcosa di bolina finendo staccati di 27 secondi. Nella seconda regata Barker è riuscito a partire in testa ma ha impostato molto male la bolina, prima concedendo una separazione all’avversario fin dal cancello di poppa per finire stritolato dall’avversario per una virata fatta nel posto sbagliato con la velocità sbagliata. Da li in poi i kiwi son sembrati burattini inanimati, incapaci di reagire e hanno chiuso con 54 secondi di ritardo. La Coppa America entra ancora una volta nella leggenda: questa è diventata l’edizione più lunga ed incerta di tutti i tempi, ha superato infatti il record di 16 giornate che finora era stato il limite massimo. E’ stato e sarà ancora uno spettacolo incredibile che il trofeo ha proposto raramente, perché di solito il favorito arriva, fa polpette dell’avversario senza troppi complimenti e vince facile. Sono stati rari i ribaltamenti di campo, il più famoso è quello del 1983, anno della vittoria di Australia II contro Liberty di Dennis Conner avvenuta nell’ultima poppa dell’ultima regata dopo una rimonta dal 3 a 1 fino al 4 a 3 (allora bastavano meno vittorie). E’ anche l’anno della partecipazione di Azzurra, che con gli occhiali del passato ancora ci appare leggendaria nonostante il Moro e Luna Rossa abbiano vinto la Louis Vuitton Cup. Proprio a San Francisco nelle scorse settimane il rocambolesco Alan Bond e il suo skipper Alan Bond hanno festeggiato con l’ equipaggio quella storica vittoria. Adesso Oracle ha la rincorsa vincente, dopo aver trovato un assetto felice per la barca e una solidità dell’equipaggio per l’arrivo del fuoriclasse inglese Ben Ainslie ha cancellato ogni differenza nei confronti di Emirates Team New Zealand che aveva dominato all’inizio, che invece sembra aver iniziato un percorso inverso fino a essere impantanata nelle paludi del dubbio. La pressione che vivono Dean Barker e compagni è notevole, tutta la nazione conta su di loro perché la loro vittoria vale anche un punto di Pil, oltre che la gloria sportiva. Oracle ha giocato molto bene non solo indovinando come e dove modificare la barca, ma conquistando ogni giorno il tempo che gli serviva grazie alle bizze del vento e alle scelte del Comitato, apparse talvolta al limite del buon gusto. Ormai conta dieci vittorie di cui sette consecutive e ha rimontato i due punti di penalità, per molti sul piano sportivo questa è già la vittoria, dimenticati i motivi che hanno portato alla penalità. Adesso gioca a favore di Larry Ellison, finanziatore del team americano, da poco dichiarato al terzo posto tra i ricchi d’America e del mondo. Un uomo che non può e non vuole perdere mai, che ha infuso denari senza sosta oltre che le tecnologie dei suoi data base Oracle. Team New Zealand corre l’ultima regata, che diventa per la vita e per il futuro. La loro sconfitta cambia le sorti del team ma anche quelle della Coppa che oggi sembra vivere l’ultimo giorno dell’era antica. Con Ellison nella stanza dei comandi tutto cambia rispetto alle previsioni della vigilia, perché davvero pochi avranno il coraggio di sfidare il colosso americano. E’ evidente che in caso di sconfitta il sindacato degli All Blacks della vela (intanto quelli veri hanno inviato un bel messaggio di supporto) è destinato a dissolversi: Grant Dalton ha già detto che non vorrà tornare in caso di sconfitta e con lui e possibile che Matteo De Nora smetta di essere la corazzata invisibile che sostiene il team. Insomma, fino a pochi giorni fa la Coppa in Nuova Zelanda sembrava una certezza e adesso non più. I bravi ragazzi ben allenati da Grant Dalton sono sotto l’attacco dei famelici e crudeli campioni olimpici, del pugile James Spithill. L’ago della bussola da qualche giorno ha cambiato direzione, la Coppa ha trovato la sua misura leggendaria. Regata da non perdere questa sera. Intanto si è diffusa la convinzione che sia un gioco allo spettacolo, dove vincenti e perdenti  si sono impegnati a tener viva la competizione. Difficile davvero pensare che sia cosi.

Video da non perdere 

Intervista a Dean Barker

Sintesi della conferenza stampa