Di seguito un articolo realizzato per la Fondazione Raul Gardini, che sarà on line anche sul sito ufficiale. E’ on line anche sul sito del Giornale della Vela ai link

https://www.giornaledellavela.com/2018/12/01/raul-gardini-story-luomo-che-ha-reso-velisti-gli-italiani/

 

“Mi piace molto stare dentro gli elementi, nella natura. Soprattutto amo il vento e tutto quello che porta con se. Mi piace capire da dove arriva: mi serve in barca, mi serve a caccia e negli affari. Devi essere pronto a cambiare rotta quando cambia il vento”. Raul Gardini era un uomo che conosceva la natura, che aveva assimilato la magie del mare e del vento sulla costa adriatica, respirando quelle atmosfere di grande dinamica emotiva, che possono passare dalla bonaccia totale fatta di seta e nebbia all’urlo della bora o le raffiche del Garbino. “Da ragazzo per me il mare era la libertà e ho sempre avuto una spinta verso quella libertà”.

Per Raul la vela non era solo una passione quotidiana, da alimentare ogni giorno con nuovi sogni di vittorie e navigazioni, era una compagna di vita. Ha iniziato a uscire in mare come ogni ragazzo di Ravenna e dintorni per vivere ogni estate in simbiosi con la pineta, la spiaggia, i pescatori, il profumo di pesce bianco alla griglia. Le prime rande che issa sono quella dei dinghy, del Finn, la massacrante deriva olimpica che si conduce da soli.

 

La prima barca d’altura, ovvero destinata alle regate d’alto mare, di cui è armatore si chiama Naso Blu. Il nome è ispirato a quello, Bluenose, di uno degli schooner più veloci della storia, vincitore di molte regate, una delle prime barche ad essere costruita con l’obiettivo della velocità. Naso Blu di Raul è un New Optimist costruito a Bologna dai Cantieri di Crespellano appena acquisiti da Giuseppe Giuliani Ricci che poi li trasformerà in Cantieri del Pardo. Dice Giuliani: “Raul con un prestito mi consentì di rilevare il cantiere dalla liquidazione e iniziare la mia attività”.  Era un progetto di Dick Carter che derivava dal disegno vincente di Tina, vincitrice della One Ton Cup: ne ha uno simile anche Herbert von Karajan, il direttore d’orchestra velista con cui Raul resterà in amicizia per anni. E’ lungo solo 37 piedi, poco più di undici metri: una misura che per le abitudini attuali è piccola. Il primo progetto originale, cioè commissionato e costruito direttamente per lui, è quello di Orca 43, si tratta di un altro disegno di Dick Carter che diventerà presto il prototipo di una piccola serie fortunata e diffusa sulle coste adriatiche anche questa è costruita a Crespellano. Con Orca 43 Raul vince il campionato del Mediterraneo, la Middle Sea Race e le regate di Porto Cervo. La Middle Sea Race allora è un appuntamento molto importante: si corre in Mediterraneo ma è lunga quanto la Fastnet Race, regata unica e famosa dei mari inglesi. Chi conclude una regata lunga almeno 600 miglia ha diritto ad iscriversi al Rorc, Royal Ocean Racing Club, un club storico per il mondo delle regate a gran distanza dalla costa.

In questi anni Raul Gardini incontra Angelo Vianello, l’uomo che diventerà per lui molto più di un comandante delle sue barche: è veneto, marinaio, buon bevitore. Angelo in mare e a terra diventa un autentico Angelo Custode: sempre vigile e presente, ascolta vede e provvede. In quegli anni di mare vissuto insieme nasce insomma una solida amicizia che non verrà mai interrotta. Storica una battuta che Raul somministrerà ai giornalisti molti anni dopo durante la Coppa America a bordo dello splendido fisherman Todd. Il nome è quello di un altro inseparabile di Gardini: un Labrador retriever, compagno anche di caccia. Raul risponde alla domanda del giornalista Carlo Marincovich di Repubblica: perché non partecipa alle grandi regate d’altura, le traversate atlantiche? “Senta… senza pensare agli odori che si formano sottocoperta dopo poche ore, io e Angelo consumiamo circa un litro di bianco a miglio, dovremmo riempire la sentina con un peso pazzesco. Ne ha idea?”.

Dopo Naso Blu e Orca 43 per entrare nel mondo con decisione nel mondo delle grandi regate, il suo obiettivo è l’Admiral’s Cup, ci vuole di più: un prima classe che tradotto in metri è poco più di quindici. Raul Gardini chiede al fidato Dick Carter un nuovo progetto, che viene costruito a Rimini dai cantieri Carlini in legno lamellare. Il sistema di costruzione è preso a prestito dall’aeronautica e consente costruzioni leggere ma resistenti. Siamo nel 73, la barca si chiama Naif, le sue foto fanno il giro del mondo perché, per i tempi, è fortemente innovativa con le sue due ruote del timone e le sue proporzioni. E’ una barca disegnata per le condizioni dure dell’Admiral’s Cup dove partecipa e fa parte della squadra italiana con Sagittarius di Giorgio Carriero, disegnato dal giovanissimo German Frers che si rivelerà il migliore, e Mabelle di Serena Zaffagni, un altro progetto di Carter. Lo skipper è Cino Ricci, il progettista californiano è anche il timoniere di Naif, questa è una delle prime volte in cui l’Italia partecipa con una squadra ufficiale alla grande regata inglese, un tempo il grande appuntamento internazionale cui non si poteva mancare. La classifica a squadre è vinta dalla squadra tedesca, gli italiani solo noni.

Raul realizza che il mondo delle regate in tempo compensato (la classifica viene compilata utilizzando un moltiplicatore che cerca di mettere sullo stesso piano barche diverse tra loro) non gli piace molto: vuole arrivare primo sulla linea del traguardo, correre più rapido degli altri. Per farlo bisogna navigare su un maxi. Serafino Ferruzzi gli da il via libera per la costruzione di una nuova grande barca. Raul e Arturo Ferruzzi volano a New York dove il giovane German Frers, che aveva lavorato nello studio Sparkman & Stephens ed è l’astro nascente, li convince…. Così sul suo tavolo da disegno prende forma una delle più belle barche a vela da regata del 900: si chiamerà Il Moro di Venezia, sarà costruito da Carlini come Naif, sarà di legno.

In quei mesi Raul e Tilli Antonelli, uno dei ragazzi che sgobbano su Naif e che fonderà i Cantieri Navali dell’Adriatico da cui nascono i Pershing, volano con una certa eccitazione a Cowes per vedere i primi disegni del Moro. A Cowes Raul conosce anche un altro grande compagno di vela: Gabriele Rafanelli, vive lì e gestisce il miglior negozio di articoli nautici, sulla via principale dello storico villaggio capitale della vela, qualche centinaio di metri prima dell’inaccessibile tempio della vela, il Royal Yacht Squadron.

In quel tempo il serbatoio di marinai per le barche di Gardini è il Circolo Velico Ravennate, che per tutta la vita resta un rifugio casalingo per Raul e Angelo, sempre in cerca di atmosfere dell’Adriatico Selvaggio per caricare le batterie: il caffè dell’alba, l’uscita in barca con Moretto, un quinta classe Ior arrivato insieme al Moro come utilitaria per partecipare ai campionati invernali o la folk boat Idacarissima su cui escono soli per meditare e decidere. Gardini fa costruire in legno anche Rumegal, un progetto di Frers di 17 metri che vince nel 79 la Middle Sea Race ma che non lo appassiona quanto il Moro e che vende quasi subito.

Quando il Moro di Venezia arriva per la prima volta al Real Club Nautico di Palma di Majorca, abitualmente frequentato dalla famiglia reale, è la barca da guardare. La novità. Una mattina presto un signore alto ed elegante si infila a bordo senza troppi preamboli… Per lui non ci sono mai segreti, ovunque vada in Spagna è sempre casa sua. Sotto coperta il panorama non proprio è ordinato: l’equipaggio tornato dai bagordi della notte spagnola dorme seminudo, si respira atmosfera di goliardia, insomma non esattamente profumo Chanel. Angelo Vianello, che in quel caso è autentico domatore di leoni, prima impreca con i ragazzi poi si accorge di chi è il visitatore e cambia tono: la sua uscita in pozzetto è memorabile“sior Re ghe faxo un cafetin”. Juan Carlos di Borbone, che sa l’italiano e anche il veneto ride e la battuta di Angelo resterà uno degli aneddoti più raccontati della storia della vela.

Ci sono anche momenti difficili nella vita del Moro di Venezia, come la partecipazione alla tragica Fastnet Race del 1979 e Angelo ha un ruolo fondamentale nel riportare a casa il Moro in burrasca: quando si scatena il finimondo le barche grandi hanno già superato lo scoglio che da il nome alla regata e corrono già con il vento in poppa, affrontano insomma un mare meno pericoloso di quello che devono sopportare gli scafi più piccoli. Angelo resta molte ore legato al timone, è praticamente l’unico dell’equipaggio a conservare forza fisica. Il leggendario Peter Blake, che poi sarà un avversario in Coppa America, corre più che può e porta il suo Condor of Bermuda, barca da giro del mondo e tempi rudi, a battere il record e vincere in tempo reale.

Negli anni 80 Raul Gardini sperimenta le barche di un altro grande progettista californiano, Doug Peterson cui fa progettare il Moro Blu, barca con cui non entrerà mai in grande sintonia, e compra anche lo one tonner Svuzzlebubble che tiene a Marina di Ravenna per partecipare alle regate locali e rinomina Cochè.

 

Il mondo dei maxi è un mondo carico ei relazioni, intenso sotto tutti i punti di vista, dove attraverso la vela si costruiscono amicizie importanti. E’ anche per questo che Raul condivide il progetto di un nuovo Moro di Venezia con il barone Edmond de Rotshild. Il disegno è ancora di German Frers, con piccole differenze nascono Gitana (che ha il bordo libero più alto) e il Moro di Venezia II, sono costruiti di lega leggera. La barca è stupenda, ma non basta… a vincere. La scelta di realizzare un maxi leggermente più piccolo degli altri non si rivela vincente nei campionati mondiali. Raul Gardini invece vuole vincere e mette in cantiere un nuovo progetto: di nuovo German Frers, ancora costruzione di lega leggera. Il Moro di Venezia III conquista, finalmente, il mondiale maxi a San Francisco nel 1989. Il timoniere è Paul Pierre Cayard, giovane e bello, americano della California e allievo dei grandi americani, soprattutto il leggendario Tom Blackaller. La vittoria di quel mondiale è anche l’inizio di una nuova avventura: “ci siamo trovati al bar per festeggiare – racconterà Gardini – io Paul Cayard, German Frers e Angelo Vianello. Abbiamo deciso che a quel punto si poteva tentare la sfida alla Coppa America, c’era la squadra vincente”.

La grande regata, il massimo trofeo velico era in quegli anni alla fine di un ciclo, era infatti finita l’era dei 12 metri Stazza Internazionale e dopo la sfida che aveva visto in campo il grande monoscafo New Zealand contro il catamarano Stras & Stripes, poi vincitore, i potenziali partecipanti erano alla ricerca di una nuova formula di stazza che consentisse di creare barche più tecnologiche, che sarà la International America’s Cup Class. Per la costruzione degli scafi dall’alluminio di passa al carbonio e Raul Gardini ci vede una sfida nella sfida, qualcosa che è utile a cambiare l’immagine della chimica in cui si sta muovendo l’ attività del gruppo che gestisce, ma anche indirizzata al futuro. Non più chimica pesante ma innovazione tecnologica, dunque era una sfida propedeutica allo sviluppo di nuovi materiali e tecniche di costruzione che vede importanti per il futuro industriale. Gardini vede giusto ma forse con troppo anticipo: aerei, auto, arredamenti avranno presto pezzi di carbonio. La sfida è lanciata in grande stile e Raul Gardini per sconcertare gli avversari vuole alzare la posta, rendere il gioco difficile. Dichiara: “questa sfida nasce dalla conoscenza che ho per la vela e per il mare che mi ha portato ad affrontarla sia dal lato sportivo che da quello tecnologico. Con il Moro infatti vogliamo realizzare un progetto pilota nell’area dei materiali avanzati”.

German Frers e il suo studio sono al lavoro per svelare i segreti della nuova regola di stazza, decidono per costruire due barche molto diverse all’inizio e poi mettere a punto i parametri migliori per il progetto.

La costruzione delle barche avviene a Porto Marghera, dove viene allestito il modernissimo cantiere Tencara, con tutto il meglio possibile. Il varo della prima di cinque barche che serviranno al sindacato è a Venezia, non è un semplice varo tecnico ma è una grande festa che coinvolge tutta la città, la regia è di Franco Zeffirelli ci sono i grandi industriali italiani ma nessun politico.

Il Moro di Venezia, rosso e con il leone d’oro si allena prima a Venezia poi a Palma di Majorca. Cayard vuole tenere in attività l’equipaggio e partecipa vincendo al mondiale 50 piedi con Abracadabra poi alla Fastnet Race con Passage to Venice, un grande maxi.

La sede delle regate della Coppa America è San Diego in California. Il team allestisce la sua base a Shelter Island non lontano da Point Loma. Paul Cayard e il suo equipaggio si dimostrano la barca da battere in ogni occasione possibile, la loro preparazione e velocità non hanno confronti con gli avversari. Nel 1991 vincono il mondiale di classe senza difficoltà, gli avversari osservano. Per partecipare al mondiale con due barche hanno deciso di mostrare il terzo scafo, appena arrivato dall’Italia, perché purtroppo in allenamento si era rotto un albero della seconda barca. I battuti capiscono che i suoi parametri sono i migliori della flotta e chi può sviluppare nuovi progetti lo prende come base di partenza. In una pausa tra gli allenamenti e le regate Raul e Angelo sono sul tender Todd a Guerriero Negro, una laguna del Messico dove le balene grigie partoriscono e si accoppiano: è un posto magico, dove pescano e pensano alle regate che verranno. E’ il grande momento: la vela e il progetto di una chimica high tech tutta italiana sono insieme pronte alla sfida.

All’inizio della Louis Vuitton Cup, la regata di selezione degli sfidanti, si capisce che i team forti sono due: New Zealand, che si muove con l’esperienza di Peter Blake come team manager, e Il Moro di Venezia. Infatti sono loro ad arrivare alla finale sfidanti che si combatte duramente ogni giorno. I kiwi hanno una barca progettata dal neozelandese Bruce Farr con un sistema di chiglie piuttosto complesso (non c’è chiglia e timone ma due chiglie entrambe mobili) che tuttavia si dimostra rapidissima quando le condizioni del vento sono ideali. Il Moro subisce e sembra destinato a perdere la partita e la possibilità di disputare la Coppa America contro il defender americano dalle cui selezioni sta emergendo America Cubed di Bill Koch, che corre più di Stars & Stripes di Dennis Conner.

Quando la situazione sta diventando difficile Gardini decide una mossa a sorpresa: i neozelandesi stanno utilizzando una barca con bompresso e quando effettuano la manovra di strambata lo utilizzano per il punto di mura della vela di prua in maniera che la giuria della Coppa America, diversa da quella della Louis Vuitton Cup, aveva già giudicato irregolare. Il Moro ha concluso la quinta regata della finale (si corre al meglio di nove regate, bisogna arrivare a cinque punti) con la bandiera rossa di protesta, Gardini convoca una conferenza stampa dove attacca con violenza gli avversari e spiega le sue ragioni. Nella realtà il vantaggio della manovra che eseguono i kiwi si può quantificare in pochi secondi, ma l’effetto delle accuse e della successiva decisione della Giuria di penalizzare di un punto New Zealand per loro è psicologicamente devastante. I kiwi cominciano a perdere e ogni giorno il Moro diventa più sicuro e aggressivo fino a quando i neozelandesi perdono totalmente la testa e cambiano timoniere e tattico senza, ovviamente, nessun risultato positivo salvo quello di far debuttare quello che sarà l’uomo più forte della Coppa per anni: Russell Coutts. Il Moro così rimonta il suo svantaggio e vincendo la Louis Vuitton Cup diventa la prima barca italiana a disputare la Coppa America.

In campo americano le selezioni per il defender hanno portato alla ribalta Bill Koch e il suo team milionario. Ad affrontarsi saranno i due sindacati che hanno investito di più in uomini e ricerca tecnologica. Koch ha costruito cinque barche che considera rivoluzionarie disegnate da un team del MIT, ma quella scelta è la più vicina alle idee di Doug Peterson che da vero progettista nautico ha interpretato al meglio la lezione del Moro aggiungendo un ingrediente fondamentale: è più stretta. Inoltre gli americani, convinti di essere più lenti stanno rischiando molto con le appendici, timone e chiglia, e ne hanno ridotto drasticamente la loro superficie. La paura di perdere li fa rischiare, ma indovinano la mossa vincente.

Fin dal primo confronto si capisce, purtroppo, che ogni certezza e sicurezza accumulata prima delle regate è sbagliata: gli americani sono maledettamente veloci. Cayard e il Moro, dopo aver fatto scelte più conservative sicuri dei loro mezzi, si difendono come possono e vincono una delle sei regate che serviranno per definire il risultato. Il Moro resta, fino ai nostri giorni, l’unica barca italiana ad aver vinto una regata in Coppa America. Raul Gardini fa buon viso a cattiva sorte e dichiara “ce l’abbiamo messa tutta, in questa sfida c’erano tanti contenuti e sono venuti fuori quando servivano. La gente ha capito cosa volevamo fare, il Moro ha vinto nel suo sentimento”.

Il sindaco di San Diego, Maureen O’Connor è una bella signora e amministra una città di confine, che vive il desiderio dei messicani di correre verso nord a caccia di una vita senza povertà. Per l’equipaggio del Moro e tanti italiani al contrario la vita è stata correre nelle notti libere verso Tijuana e i suoi colori e sapori latini. Quel Sindaco saluta così il Moro di Venezia, creando qualche polemica in campo americano: “Voi italiani dovete essere orgogliosi di questi ragazzi che hanno rappresentato il vostro paese con stile ed eleganza e grande spirito di competizione, sono loro i veri vincenti”.

Dopo qualche mese è di nuovo Venezia ad accogliere il Moro per una festa di rientro. Il risultato è comunque stato grande, l’equipaggio acclamato, Raul Gardini felice di aver scritto un pezzo di storia della vela e del mare, alle Zattere che tra il pubblico che lo festeggia si accende l’ennesima sigaretta e detta una articolo per La Repubblica: “tornerò”.

 

Con qualche giorno di anticipo sulla data promessa, il 31 marzo, il Defender della Coppa America, Royal New Zealand Yacht Squadron e il Challenger of Record Circolo della Vela Sicilia (ovvero Luna Rossa) hanno presentato il regolamento che sarà alla base della costruzione delle nuove barche AC 75 per il match della edizione numero 36, campo di regata Auckland nell’estate australe del 2021. Il regolamento rispetta quanto scritto finora, ovvero monoscafo foiling di 75 piedi (22 metri circa). Sarà una barca complessa: per alzarsi sull’acqua è previsto un sistema di pinne e zavorre mobili. In pratica durante la navigazione la pinna sottovento resta in acqua esprimendo il sostentamento necessario al sollevamento, mentre quella sopravento sarà zavorra, il contrappeso necessario per contrastare la forza della vela. La vela principale è una specie di ala non rigida, una vela che un artificio di stecche e strutture renderà “spessa” e non una semplice superficie. Non tutti sono felici di questa scelta compromesso che nasconde da una parte la voglia di essere riconoscibili al grande pubblico, che considera la barca monoscafo, e dall’altra il desiderio dei progettisti vincitori di mantenere il vantaggio conquistato nelle ricerche fatte per vincere a Bermuda lo scroso giugno.  Sono in molti a dire che una volta deciso di abbandonare i catamarani dell’ultima edizione un ritorno più radicale alla tradizione, con un grande monoscafo solo planante non foiling ma comunque spettacolare e maneggevole,  avrebbe giovato all’evento. La barca avrà alcune parti comuni tra i diversi team: il sistema di movimento delle pinne/zavorra, il profilo dell’albero, il rigging ovvero l’attrezzatura dell’albero.  Ci saranno limiti di costruzione per molti componenti , per ridurre i budget complessivi. Si sa bene che la Coppa può diventare facilmente un pozzo di San Patrizio, chi ha soldi cerca in ogni modo di convertirli in velocità. Il nostro Patrizio, ovvero Bertelli alla sua sesta sfida al massimo trofeo velico, ha preso di petto la vicenda: con Prada sarà sponsor di un team con ambizioni di vittoria, ma anche lo sponsor delle regate di selezione degli sfidanti. Quella per intenderci che era la Louis Vuitton Cup e che hanno vinto sia Luna Rossa sia il Moro di Venezia. Il consiglio di amministrazione della maison ha deciso di finanziare il team con 65 milioni di euro: non è chiaro, solo molto probabile, se sarà anche il budget del team o se ci saranno altre iniezioni di denaro con altri sponsor. Luna Rossa si è assicurata il diritto dovere di essere il COR, cioè il Challenger of Record, primo degli sfidanti e responsabile dei rapporto con il defender e gli altri sfidanti. La piccola organizzazione per il momento conta super esperti di Coppa America: Laurent Esquier, Matteo Plazzi (che va ricordato vincitore a bordo di Oracle nel 2010), Alessandra Pandarese e Jennifer Hall. Il team italiano sarà condotto da Max Sirena con Francesco Checco Bruni e l’americano James Spithill che è stato assunto poche settimane fa. Base operativa Cagliari. Ci sono altri sfidanti? Pochi per il momento, i più dotati di denaro, sulla carta più di Luna Rossa, sono il team America Magic con Terry Hutchinson per il  New York Yacht Club e Land Rover Bar di sir Ben Ainslie per il  Royal Yacht Squadron. Budget oltre i 100 milioni di euro. In Italia è noto il desiderio di partecipare di Adelasia di Torres, sindacato di base sarda e con probabili denari medio orientali. Un sindacato australiano non è ufficializzato, così anche uno cinese e un altro italiano. Alla finestra per il momento restano Alinghi il cui patron Ernesto Bertarelli ama i catamarani e Artemis, due volte partecipante e ora in difficoltà di budget e per rispettare le regole sulla nazionalità. Probabilmente parteciperanno a un circuito parallelo organizzato con i “vecchi” cat trasformati in monotipo da Russell Coutts, con potenziale sponsor Louis Vuitton, che avrà il sapore della regata degli esclusi, una prova di forza cui la Coppa ci ha abituato: il lettore non si agiti, tanto vince sempre la vecchia Coppa questi confronti. Si, uno dei più forti vincoli della prossima Coppa saranno le regole per la nazionalità di residenza e provenienza dell’equipaggio. In pratica è richiesto un numero di giorni che impedirebbe all’equipaggio svedese di allenarsi per un tempo congruo in mare cosa impossibile per il lungo congelamento del mare e comunque la temperatura rigida. Per il sindacato svizzero il limite potrebbe essere simile. Insomma una regola che una volta comunicata qualche mese fa aveva suscitato critiche per essere troppo leggera sta diventando invece un limite alla partecipazione. Non solo il 20% dell’equipaggio deve avere la cittadinanza ma la gran parte degli stranieri devono comunque avere un periodo di residenza e presenza piuttosto lungo. La speranza adesso è di arrivare a  cinque, sei sfidanti: non gli otto dieci che si sperava.  Sarà una bella Coppa America, soprattutto perché Bertelli ha imposto una visione popolare della distribuzione dei diritti Tv, delle immagini e di quanto fa social. Questa,  tra tutte, sarà probabilmente la novità più determinante per la conquista del pubblico che ancora non c’è.

Cinquanta firme possono anche sembrare poche, tuttavia sono solo le prima e il loro peso specifico è cospicuo. A Milano presso il teatro Parenti i principali yacht club, circoli velici, la Federazione Italiana Vela, le industrie più influenti hanno firmato la Charta Smeralda, un documento che descrive un codice etico voluto dallo Yacht Club Costa Smeralda per la presentazione pubblica di One Ocean Foundation.

Per il grande club non solo attività, regate, e grande mondanità ma una presa di coscienza e una chiamata alle armi per chi condivide il destino. Dopo il Forum organizzato quattro mesi fa, dodici ore di lavori intensi sul malessere del mare,  adesso il club vuole che la sua attività sia corale e continua. Il primo firmatario, per mano del presidente Nico Reggio, è stato lo Yacht Club Italiano che condivide con quello sardo il piacere e la responsabilità di organizzare in Italia le regate più importanti. Ha firmato la Società Velica di Barcola e Grignano che organizza la Barcolana, tra gli altri anche il Circolo Velico Ravennate rappresentato da Matteo Plazzi uno dei pochissimi italiani ad aver vinto la Coppa America a bordo.
Quello di sua altezza Zahra Aga Khan presidente del club e del Commodoro Riccardo Bonadeo  è un duetto che diventa un coro di tutti “il mare ci ha dato tanto divertimento, passione, libertà e adesso dobbiamo restituire qualcosa.  Il mare ha bisogno di noi”. I grandi imprenditori con interessi nella nautica come Luca Bassani, Pigi Loro Piana, Leonardo Ferragamo non si sono sottratti. Così come il WWF con la presidente Donatella Bianchi o Prada e Luna Rossa con Patrizio Bertelli e lo skipper Max Sirena.
I dati presentati sull’inquinamento da materie plastiche sono impressionanti. Solo in Mediterraneo, sono presenti 1,2 milioni di microplastiche (frammenti inferiori a 5mm) per chilometro quadrato che risulta essere una delle concentrazioni più alte al mondo. A livello globale si stima che gli oceani siano inquinati da circa 300 mila tonnellate di plastica, di cui la maggior parte galleggia sulla superficie in oltre 5000 miliardi di pezzi. Nemmeno gli abissi oceanici, come la Fossa delle Marianne, la più profonda depressione oceanica conosciuta al mondo, sono immuni: nel 100% dei campioni di specie animali prelevate in queste acque e analizzate dai ricercatori sono state trovate tracce di plastica. Una situazione che non sembra poter migliorare tanto in fretta.

La principessa ha aggiunto: “Essere già a questo punto, a soli pochi mesi dal Forum, è un fatto straordinario. Insieme a tutte le realtà che a diverso titolo abbracciano la Fondazione stiamo lavorando in un’ottica There Is Only One Ocean. La velocità con cui stiamo portando avanti questo progetto è un segnale da cogliere, guardando  alla prossima edizione del Forum, a cui vogliamo arrivare con grandi risultati. Il segnale è che il Mondo vuole questa rivoluzione; il Mondo vuole salvare il mare, e noi vogliamo provare a fare la nostra parte”.

La giornata è proseguita con la presentazione dell’attività dello Yacht Club, una stagione molto intensa come al solito. Quest’anno eventi clou come il mondiale Maxi e la Swan Cup.

 

Giovanni Soldini ha conquistato con Maserati il record sulla rotta Hong Kong Londra, ha impiegato 36 giorni, 2 ore e 37 minuti per battere di cinque gionri il record precedente stabilito da Gitana 13. Ha navigato, come dice Giovanni “a canna morta” traducibile in qualcosa che significa, di più non potevamo correre. Lui e il suo equipaggio sono arrivati a percorrere  644 miglia in 24 ore,  una misura che è da record fino agli anni 2000 ma che è stata polverizzata da Banque Populaire di Pascal Bidegorry nel 2009, un trimarano di 40 metri che ha percorso in una giornata 908 miglia alla media di 37,84 miglia nautiche per ora nella sua folle corsa per battere il record di traversata atlantica, che ha conquistato fermando i cronometri dopo 3 giorni 15 ore e 25 minuti. Dopo ha anche stabilito il record attorno al mondo in 45 giorni e 13 ore, poi battuto da Idec di Frank Cammas  che che ha impiegato solo 40 giorni e 23 ore.
Sono le burrasche meravigliose che di solito consentono di spingere le barche senza risparmio, come hanno sempre fatto marinai indiavolati, di solito più vicini alla incarnazione del capitano Achab che a quella del bravo ragazzo.  In realtà la corsa di Giovanni si è giocata più sulle bonacce equatoriali che sulle giornate di vento forte e infatti aveva scelto l’assetto della barca non foiling, proprio per essere più rapido e sicuro nelle andature di bolina e con poco vento. Seguito alla perfezione dal routier  Pierre Lasnier  ha sbagliato poco, quasi nulla.  Tre i momenti chiave: la rottura del timone sbattendo contro un oggetto prima di superare Capo di Buona Speranza, il passaggio del famoso capo dove il tempo era brutto così come il passaggio del golfo di Biscaglia che ormai Giovanni conosce molto bene.
Il recordismo se da una parte ha una forte spinta verso la ricerca e la velocità dall’altra ha le sue trappole:  in tempi di caccia alla comunicazione facile sono stati inventati record per ogni piccola o grande rotta al grido di purché se ne parli. Il risultato è che il pubblico ha perso contatto con le difficoltà ed è diminuito il significato dell’impresa per quelli veri. Il popolo dei social non ha mancato di accorgersene e di mettere in dubbio, nel suo grande cinismo, il valore di alcune di queste avventure.
Il mondo, che è stato scoperto a vela e dove i marinai hanno piantato le prime pietre delle nostre grandi città che prima di tutto erano porti,  è stato diviso nel tempo in grandi rotte commerciali, che hanno segnato la storia. Questa è una di quelle. Certo ci sono delle differenze: quando a metà 800 è stata istituita la corsa del The che ha avuto una risonanza mediatica formidabile i clipper che impiegavano 98 giorni avevano nella pancia un carico prezioso di 800 tonnellate, composto da  the o spezie,  vasellame in bone china. Il trimarano di Giovanni è una farfalla dove ci stanno appena i velisti a dormire e la loro pentola a pressione per cuocere il vero propulsore dell’impresa, la pasta, cui Giovanni non rinuncia mai, che sia nella sua bella casa con vista mare o negli oceani tempestosi.
C’ è altro da raccontare:  l’armatore di Maserati, che è l’ex Gitana XV, si chiama John Elkan, nome che non occorre presentare ai lettore de Il Sole 24 Ore e che spesso naviga con Giovanni Soldini. Le famiglie de Rotshild che ha recentemente festeggiato i 140 anni di barche che si chiamano Gitana e Agnelli hanno condiviso molte imprese veliche, in un intreccio che ha visto protagonisti i grandi imprenditori europei e non solo quelli. Il cat di trenta metri Gitana 13 detentore del record precedente era nato per il giro del mondo senza scalo, che ha vinto con il nome di Club Med al comando di Grant Dalton, l’uomo che ha finalmente riportato la Coppa America in Nuova Zelanda. Lo raccontiamo per dire che a bordo con lui nel 2000 c’era l’italiano Stefano Rizzi, altro marinaio di straordinaria esperienza, che era riuscito a nascondere prima della partenza un prosciutto dentro l’albero di carbonio che solo dopo un po’ è stato scoperto dallo skipper.
In molti vorrebbero Giovanni Soldini al comando di una barca che partecipa al giro del mondo Volvo Ocean Race, e lui ci aveva provato concretamente, sempre con l’aiuto di John Elkan, comprando un monoscafo per prepararsi e allenarsi. Purtroppo esiste una difficoltà: lo sponsor principale della regata è Volvo, marchio concorrente di Maserati e di qualsiasi altro marchio automobilistico e questo ha finito per essere un problema concreto per gli uomini del marketing. Però chissà magari ci riesce e riporta l’Italia in quel palcoscenico che ci ha visto protagonisti con Falk e tanti altri.