La quinta sfida alla Coppa America di Patrizio Bertelli e di conseguenza di Prada è quasi lanciata: mancano alcuni aspetti formali ma quello che conta è che la base allestita a Cagliari sta già lavorando a tutta forza agli ordini dello skipper Max Sirena per produrre velocità e allenare campioni. Oggi la notizia è stata diffusa urbi et orbi con un comunicato interattivo, qualche video senza sonoro e comunicati stampa. La domanda da porre ai lettori e in assoluta amicizia a Max Sirena è: bisogna parlare di chi non vuole si parli di lui? Ovviamente interpretando questo come un desiderio riservatezza e non una volontà cui si è costretti per altri motivi, base non pronta, Protocollo difficile. In questa scelta forse ci sono risvolti semiologici e forse anche un modo di intendere la comunicazione nuovo. Si, nuovo e da comprendere e indagare. Mentre tutto è frenetico, il capo del Governo e il Papa twittano e questo sembra l’unico modo di vivere sui nostri eroi scende la saracinesca del riservo. Un vecchio detto, tra giornalisti dice “con Luna Rossa si sbaglia sempre”, perché comunque vada quello che scrivi, dici, fai, è sempre preso da un punto di vista che non ti aspettavi. Volevi essere un sostegno e ti trovi dalla parte dei cattivi. Ma come diceva Chiambretti: comunque vada sarà un successo. Insomma W Luna Rossa. Sembra che questa volta, finalmente per lui e anche per noi, il timoniere titolare sarà il bravo palermitano Francesco “Checco” Bruni, anche se gli sono affiancati altri nomi come Chris Draper e il neozelandese Adam Minoprio. Oltre al team che ha fatto esperienza a San Francisco ci saranno alcuni vincitori a bordo di Oracle, l’italiano Gilberto “Gillo” Nobili, l’italo caraibico Shannon Falcone, l’americano Simeon Tienpont. In totale i nuovi arrivi sono una quindicina, presi come si fa sempre da tutti i sindacati che hanno partecipato per entrare in possesso delle esperienze buone e cattive. Dallo sconfitto team neozelandese che sta vivendo un momentaccio il progettista principale Marcelino Botin, spagnolo di una ricca famiglia che lo ha sempre lasciato giocare con le barche. Ma nel design team ci sono altri nomi importanti, citiamo Mario Caponetto (vincitore due volte con Oracle) e Michael Richelsen, un tipo che ha messo le mani in quasi tutti i codici per la progettazione di vele. Questa volta si tratta di progettare un catamarano foiling (che si solleva sull’acqua) lungo poco meno di diciannove metri della nuova classe AC 62, un solo scafo per sfidante mentre il defender ne avrà due sebbene dello stesso progetto. Ma questo è comunque un vantaggio determinante in termini di sicurezza (possono tirare di più sapendo che hanno comunque una barca di riserva, possono fare esperimenti mentre gli altri sono impegnati in regata). Purtroppo i cattivoni di Oracle, Russell Coutts e Larry Ellison con il Challenger of Record Bob Otley e Iain Murray (primo sfidante) hanno scritto un Protocollo con regole piuttosto ingiuste e difficili da digerire, che in alcuni casi hanno dovuto subito ritrattare o meglio “chiarire” come quella della Giuria autonoma e non ISAF che pone seri problemi agli atleti. La Auld Mug, come sempre, andrà avanti tra mugugni, prese di posizione, aggiustamenti. E anche fortuna: se i grandi sconfitti neozelandesi non avessero “inventato” il foiling le regate di San Francisco sarebbero state noiose, per non parlare dello storico comeback di Oracle che ci ha fatto versare fiumi di inchiostro. Pare che anche Patrizio Bertelli abbia sparato qualche bordata delle sue ad alzo zero contro il Protocollo, ma alla fine la sua anima combattiva e toscana non si spaventa delle regole ingiuste: questa è la sua quinta sfida ed è già finanziata da Prada con una cifra di 55 milioni di euro, destinati a crescere perché il budget medio per ambizioni di vittoria si stabilizzerà verso gli 80 milioni, almeno facendo arrivare l’investimento complessivo in quasi vent’anni di partecipazione vicino ai 300 milioni di euro. Nella storia secolare ha fatto come lui solo sir Thomas Johnstone Lipton con i suoi Shamrock, un altro fortissimo self made man, eterno sconfitto in acqua ma assolutamente vincente nella vita. I nostri eroi prima di arrivare a sfidare il defender Oracle questa volta gestito da James Spithill (su Luna Rossa nel 2007) dovranno vedersela con i già citati australiani eredi degli storici vincitori dell’83, con gli svedesi di Artemis condotti dall’inglese Iain Percy. Mentre i neozelandesi di Grant Dalton faticano a mettere insieme il budget il più pericoloso sarà sir Ben Ainslie che ha lanciato un dream team che si aggiunge alle sue cinque medaglie olimpiche e vuole a tutti i costi riportare la Coppa dove è stata forgiata. Attenti, questa diventerà una impresa nazionale, come uno sbarco in Normandia del terzo millennio: sir Keith Mills, l’uomo che ha portato le Olimpiadi a Londra, è lì con loro sorridente nelle foto, pronto a dare il suo contributo con le connessioni nella city. Altre notizie? La Coppa è prevista nel 2017, sede più probabile San Diego perché San Francisco ha detto no, prima ci saranno regate di preparazione.

Il Protocollo è arrivato, con ampio ritardo sulla data promessa, ma soprattutto con ampie concessioni dal defender che sono state l’oggetto del grande ritardo nella sua presentazione. Il Challenger of Record ha ottenuto davvero poco per gli sfidanti in cambio delle pretese di Oracle. Iain Murray sulla stampa australiana ha parlato di cambiamento epocale in positivo. Ma a parole siamo bravi tutti…. i fatti pur non avendo letto nel dettaglio le tante pagine  sono diversi e lo scenario appare peggiore di quello dell’era Alinghi, dove il catenaccio imposto dal defender cominciava a essere forte e talvolta sgradevole.  Le barche saranno spettacolari, gli AC 62 possono essere uno strumento moderno per le regate, il foiling non è male. Ma il futuro degli eventi sportivi non è solo tecnologia, lo spettacolo passa attraverso rapporti con il pubblico più raffinati di qualche chilo di carbonio. Dove è il messaggio sportivo? Questo sarà sport “olimpico” o “kermesse”? Iain Murray e Russell Coutts potrebbero aver firmato l’ultimo atto della Coppa America, che come sappiamo non morirà (la Auld Mug ce la fa sempre) ma che finirà per vivere di se stessa, mondo autoreferenziale. Altro che concorrenza ai mondiali di calcio, alle Olimpiadi, al Tour de France, mancano i requisiti minimi di trasparenza. Certo, stanno diventando carrozzoni infernali anche quelli, gestiti da burosauri impomatati. Ma ci sono lezioni da imparare.
Di fronte a una “legge” qualsiasi ci si pone la domanda: “dove ci vuole portare chi l’ha scritta”? Regolamenti edilizi, regole di stazza, norme ambientali producono sempre modificazioni agli oggetti, al’ambiente. Dunque in altre parole, dove mira questo Protocollo? Che sia una intenzione esplicita (gli americani non ostante i loro studi di marketing sono talvolta di una ingenuità raggelante) o no, i challenger sono probabilmente destinati a restare cinque, che ben conosciamo, se non a scendere per abbandono. Le date di iscrizione sono molto vicine, il fee e il deposito sono abbondanti e solo chi è già al lavoro adesso ha già le risorse e la sicurezza interiore per iscriversi a un evento dove parte subito penalizzato.
Si sa che la Coppa America è fatta per caratteri forti, che chi vince scrive le regole. Però… la promessa sportiva era diversa, il depliant presentato da Ellison durante una combattuta conferenza stampa dell’estate 2007 era ben diverso, si parlava di valori sportivi, perfino “democratici”. Quasi quasi bisognerebbe avere la forza di dire: non ci sto. E infatti il New Zealand Herald già scrive a Dalton e compagni di defilarsi all’inglese senza rivincita. C’è una barca libera per partecipare alla Volvo Race, roba da uomini forti, i rumors dicono che Knut Frostad pur di avere sette partenti la vende con grande sconto. Una opzione per i kiwi, ma anche per Luna Rossa.
Ma come si fa a tirarsi indietro? Il Protocollo è certamente il risultato si una lunga azione di mediazione. Mancano le sedi di regata e senza quelle è più complesso progettare e finanziare. Chi vorrà mettere sul piatto 2 milioni di dollari per l’iscrizione per aspettare nuove regole che forse verranno? Forse solo un ricco emiro, nessuno sponsor che si muove secondo strategie e previsioni di contatto. Oltre all’unico sfidante sicuro australiano Bob Otley (Challenger of Record con l’Hamilton Island YC) chi ha già manifestato l’intenzione di esserci sono la nostra eroica Luna Rossa con Patrizio Bertelli alla quinta sfida e Max Sirena alla sesta campagna, gli svedesi di Artemis con Iain Percy in cabina regia, il baronetto Ben Ainlie con un sindacato che sventolerà l’union jack, un vincente nello sport con le sue cinque medaglie luccicanti e la sua azione risolutiva su Oracle nello storico come back e infine lo sconfitto Team New Zealand, incerto nella raccolta fondi, nella scelta dello skipper e ora nel supporto nazionale. Come prima impressione (e con tutto il desiderio di essere smentiti) non c’è posto per il ventilato secondo sindacato italiano, per quello di lingua araba, per i russi, per i cinesi, non c’è posto per altri defender che l’America avrebbe potuto produrre come ha sempre fatto. La edizione numero 35 non potrà superare in concorrenti quelle di Perth, San Diego, Auckland, Valencia. La cosa positiva è che i sindacati che hanno promesso la partecipazione sono di qualità, pochi ma buoni direbbe la nonna.
I vantaggi grandi per Oracle sono almeno tre. Intanto, non era mai successo non ostante i tentativi di farlo in passato, corre assieme ai challenger una regata non solo dimostrativa, come erano le world series con barche vecchie o con gli AC 45, che darà un punto importante nel match. Sulla carta l’idea non è male anche perché, per come stanno le cose, si trova a conquistare questo punto contro tutti gli sfidanti, però gli sfidanti lo “pagano” lasciandogli la possibilità di analizzare in regata le prestazioni dei loro AC 62, fatto che può diventare determinante per il risultato finale. Il defender può costruire due scafi (o meglio quattro che fanno due barche) ma dallo stesso progetto: la two boat campaign è fondamentale per costruire velocità, la stessa operazione dei kiwi nel 95, procedendo a modifiche graduali di cui verificare l’efficacia in acqua. Gli sfidanti lavoreranno con un solo scafo e mentre saranno impegnati in una località che non è quella dell’evento finale rischiando rotture il defender ne terrà uno ben custodito nella sua base. Infine la Giuria indipendente, non “imposta” dall’Isaf ma scelta tra avvocati sportivi. Dopo i due punti di penalità (che potevano essere una squalifica) per il taroccamento degli AC 45 è evidente che gli americani vogliono avere la possibilità di manovrare meglio queste decisioni. Ma quel che ci interessa di più è: cosa farà questa Coppa per diventare un grande evento? A San Francisco grande produzione televisiva per nessuna diffusione, bello spettacolo per un pubblico molto ridotto complici una serie di errori di prospettiva nella cessione dei diritti Tv, che in realtà non valgono quasi nulla, e la speranza che come succedeva decenni addietro la stampa si buttasse sull’osso con voracità. Purtroppo la crisi mondiale del mondo editoriale, il cambio dei gusti del pubblico, i costi ingenti di produzione e trasferta a fronte di risultati dubbi sono un freno che si può sbloccare solo investendo denaro vero per assicurarsi audience. Operazioni di marketing aggressive forse, ma che gli altri sport hanno praticato senza presunzione ammettendo che di Formula Uno ce n’è una sola. Dopo San Francisco insomma speriamo non sia una seconda edizione del “non comunicare” o perlomeno farlo con vecchie strategie contando sulla sicurezza femminile “sono ben truccata si accorgeranno di me”, pensando che sia il pubblico a muoversi senza essere perlomeno invogliato, senza una strategia di conquista, nessuno si accorgerà nel 2017 della Coppa America, perché le tecnologie a disposizione non sono l’unica chiave del successo.

A trentasette anni è già baronetto infatti succede che a Sua Maestà non sfuggano gli eroi nazionali anche dello sport (da noi li bocciano a scuola) oppure della musica, come capitato ai Beatles. Rivolgendogli la parola bisogna usare quel suffisso “sir”, che fa tanto signore imbalsamato, chiuso in un cappotto fumo di Londra di lana pesante.
Sir Ben Ainslie è il velista che ha sperato ogni altro nel medagliere olimpico: cinque medaglie in cinque edizioni, con quattro ori consecutivi. Poi ha vinto la Coppa America da eroe, infatti è stato indicato come l’uomo che ha cambiato le prestazioni di Oracle, rendendo possibile la grande rimonta. Quasi vero. Ma Ben, soprattutto, è da guardare per come ha costruito la sua carriera per vincere sicuro e in questo modo: ha sempre scelto la strada più difficile per essere e diventare campione. Poteva essere tattico su New Zealand ma ha scelto di timonare la barca lepre “perché io voglio timonare”, prima aveva lasciato il sindacato di One World, perché lo distraeva dalla carriera olimpica e il timoniere era James Spithill. Come dargli torto… visti i risultati. Adesso è considerato l’uomo che più di ogni altro può battere lo squadrone americano e riportare la Coppa a casa nel Solent. Sogni che forse JP Morgan, suo sponsor da tempo, e la vecchia Inghilterra possono rendere possibili, perché gli eredi della regina Vittoria sembrano finalmente riuniti attorno al più grande velista, quello che ha superato i record di Grael, Scheidt, Elvstrom, Schumann.  Sta raccogliendo un budget di 100 milioni di dollari,  e può contare sul supporto sir Keith Mills (che lo aveva voluto su Team Origin) e Charles Dunstone. Singolista ha costruito la sua carriera sul Finn nella fortissima squadra inglese dove è cresciuto insieme a Iain Percy e a Andrew “Bart” Simpson, l’amico perso nel corso dell’incidente di Artemis dopo il quale ha dubitato di continuare ad andare in barca.
Ben quale è la differenza intima e personale tra vincere le Olimpiadi e la Coppa America?
“L’ Olimpiade è una questione personale, sei in singolo e sei tutta la squadra… sei tu a controllare il tuo destino, non dipendi da nessuno. Nella Coppa America c’è il piacere di far parte di un team che diventa una grande squadra.  A San Francisco per la prima volta ho vinto facendo parte di un team che si è rivelato eccezionale. E’ stato molto potente, mi sono divertito molto. Dopo cinque medaglie considero la mia carriera olimpica conclusa, non tornerò dopo quello che ho già fatto, le soddisfazioni sono molte ma è anche molto faticoso, assorbe tutta la tua vita”.
Cosa bisogna fare per migliorare il seguito della vela olimpica e di conseguenza la popolarità della vela?
“Il problema delle classi olimpiche è che tra una Olimpiade e l’altra non se ne parla abbastanza. Il Cio ha fatto bene a dire che le classi non cambieranno per due tre edizioni, ma questo non basta, bisogna creare un circuito che riempia il vuoto tra le diverse edizioni”.
Come bisogna disegnare il futuro della Coppa?
“Il concept della manifestazione ha dimostrato di essere valido e di grande successo, lo spettacolo c’era. Ci possiamo dire fortunati di come è andata non tanto perche abbiamo vinto noi di Oracle, ma perchè e piaciuto al pubblico, un fatto che non era scontato. Tra le cose positive c’è senz’altro la copertura televisiva, le immagini prodotte sono state molto belle. Adesso penso si dovrebbero semplificare le barche e ridurre i budget, forse con elementi one design che possono renderle meno pericolose e più facili da disegnare per ridurre i costi. Ci vuole un circuito di avvicinamento che conti davvero qualcosa in termini di classifica”.
Sappiamo che la vittoria di Oracle è stata una miscela di miglioramenti e scelte, ma se dovesse indicare uno solo, quale sarebbe?
“La nostra mossa migliore è stata di mettere a punto l’ala usando al meglio il giorno di riposo. Questo ci ha fatto cambiare radicalmente le prestazioni, ed è stato decisivo. Abbiamo aumentato il rake e dato più profondità alla vela, queste modifiche ci hanno dato grande potenza e di conseguenza ci ha reso più sicuri delle prestazioni della barca, questo ci ha fatto navigare meglio”.
Però in molti dicono che la mossa decisiva è stato l’arrivo a bordo di un certo Ben Ainslie.
“In realtà sono un po’ imbarazzato quando dicono così. Spesso, quando le cose vanno decisamente meglio si pensa che sia il risultato dell’arrivo  a bordo di un campione. Ma il nostro è stato il risultato di un team, la Coppa è assolutamente uno sport di squadra, fatto di tante componenti. Ho avuto un ruolo nel team e nella vittoria, non lo nego, ho portato nuovo ottimismo, una visione mia della regata. Devo anche riconoscere la piena collaborazione di John Kostecki, che mi ha messo a disposizione tutti i dati che non conoscevo a fondo e quella che ho avuto da Tom Slingsby a bordo”.
Un errore di Emirates Team New Zealand?
“I kiwi hanno fatto una grande campagna, sviluppando bene gli ac 72, inventando il foiling e facendo per primi tante altre cose. Non riesco a definire un errore decisivo… al contrario Oracle ne ha fatti molti. Noi siamo sempre stati capaci con un impegno continuo di sviluppare la barca ogni giorno, senza fermarci fino alla fine. La nostra era una barca più difficile da portare e quando siamo riusciti imparare come si faceva ha dimostrato la sua superiorità. Alla fine questa è stata la vera differenza”.
I suoi programmi a breve?
“Tutta la mia vita velica è passata in monoscafo, solo da un paio d’anni mi dedico a multiscafi ed è una nuova sfida. E’ tutto molto più veloce, corto. E’ vela d’impatto. Sto lavroando da tempo per riportare un team inglese in Coppa. Con Jp Morgan partecipiamo al circuito degli Extreme 40 perché era la soluzione migliore per iniziare gli allenamenti con l’equipaggio che vorrei portare in Coppa America. Quest’anno non ci saranno eventi con gli AC 45, non è esattamente la stessa cosa ma molto simile. Vogliamo anche portare avanti la campagna di ricerca sponsor. Gli Extreme sono un buon modo per essere in regata con quel brand, quel nome, per costruire il sailing team”.
Insomma dopo tanti anni di assenza dalla Coppa un team inglese sembra finalmente possibile.
“Ci lavoriamo duramente da anni e finalmente sembra un evento vicino. Adesso aspettiamo che ci siano le nuove regole per arrivare a definire il team nei dettagli. Vorrei vedere JP Morgan come title sponsor, abbiamo una bella partnership. Il Challenger of Record Bob Oatley sta negoziando con Oracle, ma Iain Murray che lo rappresenta è molto aperto nel raccontare le trattative che sono in corso e ci tiene informati, è molto positivo, ma c’è ancora un percorso da completare prima di arrivare al protocollo. Per vedere una bella Coppa direi che ci vorrebbero almeno sei sfidanti, forse possiamo arrivare a otto”
Sogni nel cassetto?
“Di sicuro vorrei riportare la Coppa al suo posto nel Regno Unito, è nata qui e vorrei vedere i cat che fanno il giro dell’isola di Wight con i foil: quanto possono metterci? Un’ora? Poi forse il giro del mondo. Io amo la vela e mi piace stare sull’acqua. Vorrei anche andare a vela per il solo piacere di navigare, come un turista qualsiasi, questa è una cosa che ho fatto davvero poco”.

  

 

 

Le anticipazioni di dicembre sono confermate: la quinta sfida di Patrizio Bertelli alla Coppa America avrà base a Cagliari, la data prevista per il prossimo evento è l’estate 2017 quasi certamente di nuovo a San Francisco, probabilmente con catamarano di 60 piedi, diciotto metri invece di ventuno come erano gli AC 72, ma con caratteristiche simili di velocità, ovvero “foiling” e con “wing”. Traduciamo: voleranno sull’acqua come aliscafi spinti da vele rigide. Sulle regole si discute molto, sono anticipazioni di radio banchina. Al momento ci sono quattro sfidanti sicuri: il Challenger of Record è Robert Oatley, recente vincitore della Sydney Hobart con Wild Oats, attraverso l’Hamilton Island Yacht Club, isoletta della barriera corallina che è tutta sua, nel suo team indicano Iain Murray e James Spithill. Poi, oltre ai nostri eroi, ci sono i kiwi di Team New Zealand che hanno ricevuto un aiuto dal governo per mettere sotto contratto i bravi che potevano essere assunti da altri (Luna Rossa per prima), dopo la sonora, anzi drammatica sconfitta, il team si sta ricostruendo attorno a Matteo de Nora, Grand Dalton e Dean Barker ma e ha assunto il giovane timoniere Peter Burling, vincitore della Red Bull Youth America’s Cup. Torna Artemis con skipper l’inglese Iain Percy. Da citare gli sforzi di sir Ben Ainslie per allestire un sindacato inglese con JP Morgan per sponsor iniziale per riportare la Coppa a casa, sull’isola di Wight: attenzione, Ben se non si perde è il prossimo uomo Coppa, il velista assoluto che ha fatto vincere Oracle e adesso vuol far da solo con la sua bandiera. Chi avrà Ben nel team sarà a metà dell’opera. Torniamo a Cagliari, come dice il patron della barca italiana: “Abbiamo scelto Cagliari perché le condizioni meteo di questo golfo sono ideali per gli allenamenti con i catamarani. La città di Cagliari, inoltre, offre un’ottima situazione logistica e ci ha riservato un’accoglienza particolarmente calorosa. Siamo molto contenti che, dopo diversi anni all’estero, la base del team sia nuovamente in Italia”. L’ultima volta, prima di approdare a San Francisco e per via della collaborazione con il team neozelandese, il team agli ordini di Max Sirena è stato a Auckland Nuova Zelanda, andare laggiù piace a tutti, atmosfera e servizi ideali per i velisti e anche per le famiglie che da una parte spediscono i figli nelle scuole inglesi dall’altra hanno vissuto in una grande città di mare dove vince l’ambiente. Cagliari era da tempo nel mirino di Bertelli e Max Sirena che aveva già condotto sulla costa sarda allenamenti segreti (in realtà se ne sono accorti tutti subito) per provare i famoso foiling (quel modo di navigare per cui gli scafi si sollevano sull’acqua), la scelta era stata annunciata fin dalle regate di San Francisco. Adesso però sono completati gli accordi con le autorità locali. Il porto di Cagliari è infatti oggetto di una ampia ristrutturazione dopo alcuni errori progettuali degli anni passati culminati, per esempio, nel prevedere un terminal crociere dove non c’era un fondale sufficiente alle grandi navi. A Cagliari infatti oltre alla base di Luna Rossa, che sarà abbastanza vicino al centro, sorgeranno un porto per grandi barche private, un nuovo terminal crociere (di cui è azionista il Terminal Crociere di Venezia) un nuovo polo commerciale e una grande zona cantieristica sia per il diporto sia per il commerciale. Insomma, Luna Rossa entra a far parte di un progetto di rinnovo del rapporto della città sarda con il mare che dovrebbe far forza attraverso la sua centralità nel Mediterraneo. Come afferma il Commissario dell’Autorità Portuale, Piergiorgio Massidda: “L’annuncio di Patrizio Bertelli di scegliere Cagliari come base per il team di Luna Rossa ci onora e ci ripaga per quanto fatto negli ultimi anni per migliorare le condizioni della nostra città e renderla punto di riferimento per la vela internazionale. Si tratta di un’occasione unica non solo per la città, ma per tutto il territorio che otterrà un ritorno di immagine senza precedenti a livello internazionale”. Nei prossimi mesi la base verrà resa operativa con la costruzione fisica: a Valencia era intervenuto Renzo Piano inventando una base con le pareti fatte con le vele vecchie, si fa per dire alcune erano nuove e mai usate superate in disegno e tecnologia, qui potrebbe esserci una nuova sorpresa. Ovviamente non si lavora solo alla base, ma anche al team. In questi mesi Max Sirena ha lavorato sodo per acquisire prima di altri i bravi liberi. E’ una fase incerta perché senza conoscere le nuove regole, di cui si dovrebbe sapere qualcosa nelle prossime settimane, non si sa su che specialisti puntare. Al momento il settore design, ricerca, coordinamento dovrebbe essere quello più interessante, è infatti quello che inizia a lavorare prima di altri.

Per un velista la parola Star non è solo la stella che lo guida in cielo, è il mito, la leggenda della classe da regata più antica e tecnica, anche longeva. Fino alle Olimpiadi delle scorsa estate era la classe regina: diventarne campione del mondo era come accedere a una cerchia ristrettissima dei gradi cardinali della vela, signori del timone. Non è neanche un caso, tanto per restare in tema religioso, che Lowell North che ne è stato campionissimo con la sua barca North Star, una casuale e invidiabile combinazione di cognome e classe di barca, per tutta la vita sia stato considerato il Papa. La battuta era stata: ma se chiamiamo Elvstroem “God”, come va chiamato Lowell? Pope, allora. I grandi timonieri di Star hanno fatto carriera in Coppa America, oltre a North che a dire il vero non riuscì mai a essere un vero leader, i fortissimi Dennis Conner, Paul Cayard, Tom Blackaller. A casa nostra sono da citare Agostino Straulino, Dodo Gorla, Roberto Benamati, Enrico Chieffi. Più Francesco Bruni che alle Olimpiaci di Atene ha fatto vedere che poteva fare la sua grande figura sul palcoscenico importante. Diego Negri è l’alfiere ancora in attività.
Bene, se considerazioni poco condivisibili sul come far diventare più popolare la vela ne hanno decretato la fine olimpica per i prossimi Giochi brasiliani, oltre tutto nella terra del campionissimo Torben Grael che ci ha vinto quattro delle sue cinque medaglie olimpiche, la Star vuole scommettere ancora su un futuro. La Star Sailors League Final 2013, regata a invito, sarà organizzata dal Nassau Yacht Club dal 3 all’8 dicembre 2013 e vedrà competere molti dei migliori staristi al vertice della ranking della neo formata League. Diciotto gli equipaggi invitati, tra cui undici campioni del mondo e tre ori olimpici, da11 nazioni. Hanno già dato la loro conferma il brasiliano Robert Scheidt, il francesce Xavier Rohart, lo svedese Freddy Loof, il norvegese Eivind Melleb, il danese Michael Hestbaek, lo svizzero Flavio Marazzi, i tedeschi Johannes Polgar e Robert Stanjek, il polacco Mateusz Kusznierewicz, gli americani George Szabo e Mark Mendelblatt. L’Italia è rappresentata da Diego Negri, che alla barca olimpica ha dedicato gli ultimi anni correndo nel Gruppo Sportivo delle Fiamme Gialle. Un concorrente speciale sarà Paul Cayard, l’americano reduce dalla partecipazione alla Coppa America come CEO di Artemis non è nuovo a queste operazioni “back to basic”: la Star resta una barca piccola e vicina all’acqua. Ti porta al sommo vertice della stima velica, ma è tanto bagnata e faticosa. Si corre in due, timoniere e prodiere, che di solito è un omone che passa i cento chili per dare potenza e raddrizzamento con vento forte. Questo evento si distingue inoltre per mandare in scena un formato di regate inedito per la Star. Le 18 barche presenti gareggeranno al completo nei primi tre giorni di regata, nei quali sono previste un massimo di quattro prove al giorno fino ad un totale non superiore a nove. Il quarto giorno saranno ammessi al via delle semifinali i migliori dieci equipaggi qualificati nella prima fase e, in modo simile alle qualifiche della Formula 1, nelle due regate successive (quarti di finale e finalissima) verranno eliminati progressivamente gli ultimi tre arrivati. Il vincitore assoluto dell’evento sarà quindi l’equipaggio che taglierà per primo la linea del traguardo nell’ultima prova e riceverà 4.000 punti validi per la Ranking SSL.

Pippo Dalla Vecchia aveva annunciato da tempo la sua intenzione di lasciare il comando del Reale Yacht Club Canottieri Savoia, uno dei più antichi d’Italia e d’Europa, fondato nel 1893 come Canottieri Sebetia. Pippo è una delle figure di riferimento dello sport velico. Dopo una lunga carriera all’interno della FIV e la mancata elezione a presidente (seduta molto turbolenta, finita con una manciata di voti a favore di Sergio Gaibisso)  si è dedicato “anima e core” al Savoia che ha totalmente trasformato. Una delle sue battute ricorrenti era “avevamo la gente con le stufette, a giocare a carte, ho ripulito tutto”, adesso il Savoia è tappa obbligata di grandi regate e grandi serate. La riflessione postuma, anni dopo quella sconfitta contro Sergio Gaibisso, è: come sarebbe stata la FIV di Pippo? Chissà, allora non si capiva bene quale fosse la sponda giusta e Pippo aveva, nella mia visione, preso iniziative che non erano quelle che servivano a quella vela. Tuttavia l’amore profuso nel Savoia ha qualcosa di magico, irripetibile in altri circoli, dove il presidente “ad eternum” non ha la stessa forza positiva e appare piuttosto un ingombro, un inamovibile toro seduto.

questa la sua lettera di commiato:

Napoli, 3 ottobre 2013

lascio oggi il ponte di comando del Savoia dopo ventidue anni e, non più presidente, ritorno a far parte dell’equipaggio della nave bianco-blu. Ho passato l’ultimo quarto della mia vita al timone di un Circolo quanto mai prestigioso, addirittura straordinario e questo lo considero e lo considererò sempre un grande onore che mi è stato concesso dai Soci Fondatori del Savoia. Per la verità, non è stata una navigazione facile ma, ditemi voi, che barba sarebbe stato il navigare per tanti anni in una stucchevole calma piatta. Desidero fermamente – non lo considerate, Vi prego, un atto formale – ringraziare tutti, proprio tutti, per avermi sopportato per tanto tempo. I miei ringraziamenti, sinceri, vanno anche a coloro che in tutti questi anni mi hanno reso la vita difficile. Ignari, hanno fatto sì che il difficile carattere che mi accompagnava sin dalla nascita venisse modificato tanto e in meglio da poterlo così esibire serenamente nella prossima vita che mi attende. Ringrazio le Istituzioni, i Corpi Militari e Civili, gi amici Ammiragli, le Federazioni Sportive, i Presidenti dei Circoli gemellati, l’amico carissimo Gianni Malagò oggi Presidente del CONI. Ringrazio tutti coloro che hanno dimostrato con i fatti e non con le parole di avere grande considerazione ed altrettanta stima per il vecchio glorioso Savoia. Ho avuto la fortuna di formare e di gestire per anni e anni una grande squadra : il nostro personale. Non voglio fare in questa sede distinzioni di mansioni e categorie di sorta, tutti, ripeto tutti si sono prodigati con me per far conseguire al nostro Circolo risultati insperati e quindi ancora più esaltanti. A tutti questi amici la mia sincera gratitudine. Un ringraziamento particolare desidero riservarlo alle Sezioni Sportive del nostro Circolo, unico scopo della nostra esistenza. I canottieri e i velisti che hanno indossato, indossano e indosseranno la gloriosa maglia del Savoia debbono essere sempre considerati i veri protagonisti della nostra storia e del nostro grande prestigio sportivo in Italia e nel mondo. Ringrazio i tecnici del Remo e della Vela. Oggi il Circolo è dotato di uno staff tecnico di grande valore che, in ogni caso, dovrà essere tutelato. Per ultimi – stavate già pensando ad una mia riprovevole dimenticanza – ringrazio di cuore tutti i miei Vice, il Segretario Generale e tutti i Consiglieri che sono stati con me sul ponte di comando del Savoia. Costoro mi hanno sempre aiutato a superare tempeste e scogliere sommerse. Potrei continuare ancora per molto – ventidue anni di storia sono tanti – ma non voglio abusare, proprio alla fine, della Vostra pazienza. Mi fermo qui e, Cari Amici, concludo questa mia lunga lettera con una sola parola: Grazie.

Pippo Dalla Vecchia

La Nuova Zelanda ci credeva: quando l tabellone segnava 8 a 1 in favore di Emirates Team New Zealand il progetto di riportare la Coppa America a Auckland al primo piano del Royal New Zealand Yacht Squadron sembrava a portata di mano. La speranza aveva fermato scuole, agricoltura e industrie, con una battuta anche 30 milioni di pecore ci speravano. Invece la furiosa rimonta di Oracle, che ha qualcosa di miracoloso e pochi precedenti nella vela e in ogni sport, ha fermato il sogno. Che non era solo sportivo, ma aveva motivazioni industriali e turistiche importanti per tutto il paese, la Coppa è rimasta a San Francisco e come primo effetto le azioni di Air New Zealand sono scese. E’ singolare notare come i nostri Governi abbiano sempre considerato la nautica al massimo un serbatoio per estrarre tributi dall’altra parte del mondo sia un orgoglio nazionale. Negli anni in cui è rimasta in Nuova Zelanda, dal 95 al 2003, è stato un motore per lo sviluppo: la città di Auckland ha cambiato aspetto, il giro di affari per il paese è cresciuto non solo per la presenza dei team sul posto, la loro necessità di assistenza, ma anche per il turismo indotto. A Auckland e dintorni ci sono famosi cantieri per megayacht che fanno concorrenza ai nostri. Fitzroy ha costruito la splendida Zefira di Paola e Salvatore Trifirò. Alloy Yacht ha realizzato i due Imagine di Matteo de Nora, l’uomo che ha finora attivamente sostenuto Team New Zealand mettendoci molto del suo. Con un passato da industriale nella chimica, è stato per Team New Zealand una corazzata invisibile, sostiene il team fin dal 2003 per la sua grande passione per la Nuova Zelanda “e il carattere del team” come racconta. Dean Barker, il timoniere sconfitto, ha chiamato Matteo il figlio maschio. “Sia il Governo condotto da Helen Clark in passato che l’attuale con John Key – racconta – hanno sostenuto Team New Zealand riconoscendo alla eventuale vittoria della Coppa America un ruolo fondamentale per l’economia nazionale. Il suo appoggio è passato non solo attraverso i finanziamenti, ma anche con un aiuto logistico importante. C’è la volontà di dare alla Nuova Zelanda un’identità più evidente in campo internazionale, un obiettivo comunque raggiunto anche con la sconfitta”. Si, la Nuova Zelanda è lontana da ogni rotta, un posto che ha scoperto la natura come valore assoluto, e dove la vita ha una dimensione slow autentica. C’è una profonda differenza tra la squadra di Oracle, sostenuta da Larry Ellison con si stima 200 milioni di dollari Usa, e quella di Emirates Team New Zealand, che può essere considerata una vera nazionale. Spiega de Nora: “il nostro budget finale a consuntivo è di 70/80 milioni di euro, distribuiti su quattro anni. La maggior parte dei denari è arrivata dagli sponsor e soprattutto dal naming sponsor Emirates che ha anche messo a disposizione i trasporti, erano 200 persone e 46 container da muovere, non è poco. L’aiuto del Governo può essere quantificato in 37 milioni di dollari neozelandesi, spesi non solo in maniera diretta ma anche per iniziative come l’hospitality che abbiamo usato o la partecipazione alla Volvo Race con la barca Camper. Sono intervenuto con un finanziamento personale ma soprattutto ho coordinato quelli che chiamiamo il ‘mates’ ovvero gli amici del team, che sono un numero di finanziatori privati che ci hanno sostenuto da tifosi. Di solito i ‘mates’ danno delle garanzie all’inizio che poi vengono coperte dagli sponsor che intervengono via via. La partenza del team è sempre il momento più critico sul piano economico”. Da ricordare come la sconfitta del team nel 2003 abbia addirittura provocato interrogazioni parlamentari al grido di “senza Coppa l’industria precipita”. E anche questa volta c’è preoccupazione, l’associazione dei cantieri dell’industria nautica neozelandese aveva programmato un raddoppio del fatturato attuale in funzione del ritorno della Coppa a Auckland, che nel 2020 dovrebbe raggiungere 1.3 miliardi di dollari neozelandesi. Peter Busfield, direttore generale dell’associazione dice: “abbiamo perso una grande opportunità, riportare qui la Coppa avrebbe significato per noi la cosa più efficace in alternativa ad avere le Olimpiadi. Qui sono state costruite Aoatearoa, molte parti di Luna Rossa (gli scafi in Italia da Persico) e della stessa Oracle e gli AC 45 che sono serviti negli eventi delle World Series, nel complesso possiamo stimare un introito di almeno 50 milioni di dollari per lo Stato”. La Nuova Zealanda resta leader nelle tecnologie di costruzione delle imbarcazioni di carbonio e finora è anche stata sostenuta da un vantaggio competitivo: costruire una barca laggiù è scomodo per chi deve seguire i lavori, ma può costare molto meno che in Europa. Spiega ancora de Nora: “I numeri sono sempre relativi, gli analisti e governi ne danno di destinati a cambiare in pochi mesi. Posso dire che quando vincono gli All Blacks nel rugby si vende qualche pallone in più e l’iva è pochissima. Se invece vendi delle barche a vela che valgono decine di milioni l’impatto sull’occupazione e il gettito fiscale è molto maggiore. Nelle settimane della Coppa abbiamo superato ogni dato di audience televisiva e capito che l’80% degli spettatori del rugby è maschile mentre la vela raggiunge anche il pubblico femminile. La vela è seguita dalle famiglie intere”. Forse dalle nostre parti dobbiamo imparare qualcosa.