In questa edizione  le golette vanno in pensione e arrivano i cutter. A sfidare gli americani scegliento una barca con un solo albero è il Bay of Quinte Yacht Club con Albert Cuthbert come armatore, progettista e costruttore dello sfidante Atalanta. La barca viene costruita in legno con qualche ritardo e si presenta a New York senza messa a punto e allenamento. I potenziali defender sono quattro e Mischief vince le selezioni battendo Pocahontas (commissionata dal NYYC per la difesa della Coppa a David Kirby), Gracie e Hildegard. L’armatore è un socio inglese del New York Yacht Club, Joseph Busk,  la barca è d’acciaio, costruita nel Delaware da Harlan & Hollingsworth e timonata da Nathanael Clock., è un progetto dell’architetto Archibald Cary Smith lungo solo 20, 59 metri. Le due regate di Coppa iniziate ai primi di novembre sono vinte da Mischief, la prima, su percorso di 32,6 miglia, con il tempo corretto di 10’59” mentre nella seconda, su percorso da 40 miglia, il distacco, sempre in tempo corretto, si attesta a 24’14”. Alla fine qualcuno si lamenta delle condizioni in cui si è presentato il challenger canadese, con vele “pietose” e un equipaggio che “sarebbe stato battuto anche dagli addetti all’ormeggio di una barca ancorata nella nebbia” come scrivono i giornali. La Coppa America sta entrando nel suo mood, dove non si risparmiano offese agli sconfitti e gloria ai vincitori.Mishief avrà uno strano destino, usata per traffici illegali e trasporto d’olio nel porto di Boston fino a essere bombardata da una nave da guerra nel 1929 perché non voleva affondare spontaneamente. Dopo questa edizione gli americani decidono di modificare il Deed of Gift per evitare che si presentino sindacati così poco competitivi, per cercare di tenere alto il livello della competizione.

Dopo la disavventura degli inglesi durante la prima impari match race del 1871, che aveva visto opposto un solo sfidante a un solo defender ma scelto tra molti e quindi secondo le contizioni di vento il Royal Canadian Yacht Club ha il coraggio di lanciare la sfida: gli americani avranno una sola barca defender per tutta la serie di regate e per partire si lancia la barca in velocità sulla linea e non, come in passato, alando le ancore al segnale del via.
Il club canadese costruisce la goletta Countess of Dufferin presso Alexander Cuthbert e la affida a Josephus Williams. La barca ha una bella carena e potrebbe essere veloce, ma il team soffre di mancanza di fondi e organizzazione così molte cose non funzionano come dovrebbero. Arriva sul campo di regata non carteggiata, con un piano velico pesante e vele non belle, prima testimone di come uno scafo decente ma senza una organizzazione solida alle spalle non possa far miracoli. L’equipaggio di dieci persone lavora duramente. Il defender è Madeleine di John Dickerson, con timoniere John Ellesworth. Le due barche sono di concezione simile: golette con le derive mobili, figlie di quelle barche che navigano per lavoro sui banchi di Terranova ed escono dai porti del nord america che hanno bassi fondali. Le regate sono senza storia, la barca americana è decisamente più veloce dello sfidante canadese. Nella terza regata America viene autorizzata a partire con i duellanti, sebbene qualche minuto dopo per non dar fastidio. Riesce a superare Countess of Dufferin e ad arrivare al traguardo prima di lei.

Dopo la sconfitta del 1870 James Ashbury vuole riprovarci subito e commissiona a Ratsey una goletta di immensa superficie velica: Livonia. Lancia la sfida attraverso il Royal Harwich Yacht Club. Gli americani dopo grandi discussioni rinunciano a far correre lo sfidante contro tutte le loro barche contemporaneamente, ma si tengono la possibilità di scegliere giorno per giorno tra quattro barche quella da mandare in campo, secondo le condizioni meteo. Nella disputa interviene personalmente Schuyler che ammette che per rispettare lo spirito del Deed of Gift l’incontro deve avvenire uno contro uno, così si corre la prima match race. Gli americani nel primo giorno nel primo giorno schierano Columbia, ancora dell’armatore Franklin Ogswood, una goletta con deriva mobile che batte facilmente Livonia. Columbia vince anche la seconda regata ma perde la terza per una avaria al timone. Per completare la serie gli americani scelgono Sappho di William Douglas, barca a chiglia fissa dalla mostruosa superficie velica che aveva navigato anche in Inghilterra, che vince altre due prove. La Coppa resta in America ma Ashbury e gli inglesi non sono affatto contenti del trattamento che è stato loro riservato e perdono la voglia di partecipare. Al suo ritorno in Inghilterra lo sfidante si lamenta e scrive di aver moralmente vinto le regate.

Un buon aggettivo per descrivere come Rolex collabora con il mondo della vela è “affettuoso”: è da anni una presenza costante, sicura, che ha consentito a tante delle regate più importanti del mondo di vivere e crescere. Sui traguardi più tosti è saldamente issato il marchio a coroncina degli orologi che tutti vogliono avere. E anzi ogni anno si aggiunge qualche linea di arrivo al punto che si può parlare di una sorta di monopolio, praticato però con stile e senza invadenza. Una scelta di campo che ha tenuto il marchio vicino alle grandi regate senza entrare nelle grandissime. Più volte in passato si è paralto di ingresso nel mondo della Coppa America, eppure è sempre stato rimandato. Non che l’investimento annuale sia poco, con il frazionamento di eventi proposti in tutto il mondo: il valore complessivo potrebbe anche far pensare che potrebbe con poco sforzo arrivaci davvero. Gli eventi Rolex sono una quindicina lungo l’anno, in tutti i mari del mondo: Mediterraneo ma anche Stati Uniti, Caraibi, Australia. In Italia si comincia a metà maggio con il Portofino Rolex Trophy per barche a stazza metrica cui segue la Capri Sailing Week che include la novità della Rolex Volcano Race: 400 miglia di altura. Segue il boccone importante della storica Rolex Giraglia Cup che si corre con l’organizzazione dello Yacht Club Italiano dal 18 al 25 giugno, dopo alcune regate costiere a St Tropez e la grande festa al castello, si parte per la “lunga” con arrivo a Genova. A metà agosto una di quelle regate che hanno scritto davvero la storia: la Fastnet Race, una volta prova conclusiva dell’Admiral’s Cup purtroppo caduta nell’oblio. Era un mondiale a squadre per nazioni che ha lanciato timonieri e progettisti, aspetta solo che qualcuno abbia il coraggio di riportarla in vita, Potrebbe, dovrebbe pensarci forse proprio Rolex.  A settembre si torna in Italia con le regate dedicate ai maxi yacht di Porto Cervo, più o meno nello stesso periodo si corrono a San Francisco le Big Boat Series. La stagione prosegue con la Invitational Cup di New York, Les Voiles de Saint Tropez. Si conclude alla grande con la Middle Sea Race che parte da Malta il 22 ottobre e con la sempre temibile Sydney to Hobart del 26 dicembre. Una ulteriore iniziativa: gli studenti dei business master delle facoltà di economia hanno di che sbizzarrirsi dal 22 al 25 settembre a Genova con la Rolex MBA’s Conference & Regatta, un evento cresciuto rapidamente, promosso da SDA Bocconi e ormai riferimento per equipaggi che arrivano da tutto il mondo.

Uno dei pochi libretti di progettazione scritti qualche anno fa che ancora hanno un valore totale è “Elementi di velocità delle carene” di Jean Marie Finot, uno dei progettisti più geniali del secolo scorso, paladino di innovazione e intriso di quella cultura del design tutta francese che ha prodotto oggetti industriali davvero all’avanguardia. Come le auto Citroen di una volta: dalla umile 2cv, gli agricoli due cavalli, alla lussuosa Ds che non a caso si pronunciava Deesse: dea. Non a caso la sua prima barca famosa, partecipante all’Admiral’s, si chiamava Revolution. Nel mare a vela dobbiamo alla Francia quasi tutto, perlomeno per quello che è stata l’innovazione in quello che conta, forse non nel design di gusto e maniera, quella sottile degenerazione contemporanea che ha cambiato in peggio significato alla paroletta magica. Design una volta era costruire per il comfort, adesso tanto spesso è farlo strano. Finot nel suo libretto individua bene, e con anni di anticipo, le caratteristiche di una filosofia del navigare in crociera che ha prodotto barche di cui forse ci siamo dimenticati, ma che sono ancora la radice del moderno: larghe, sicure al lasco e in poppa, abitabili, motorizzate. Non è un caso che le avanguardie dei traversatori oceanici si spingano in quella direzione. Il Levrier de Mer ha fatto scuola. Perfino il più stabile dei progetti dedicati ai navigatori caraibici e tourmondisti, il noto Amel ha modificato la sua concezione: da una parte più largo, dall’altra più ricco, meno spartano. Il cambiamento è il sintomo che si cerca una nuova direzione per la barca “totale” intendendo quella che può navigare ovunque. I velisti, ancorati ai loro credo inalienabili continuano a credere alla barca su cu sono nati, o che hanno letto sui manuali. Anche per questo continua il successo di barche robuste si ma inabitabili per gli standard contemporanei. La verità dell’andar per mare però è diversa. E i cantieri ancora non hanno inventato la barca giusta, sempre spinti ad accontentare i clienti. La parola “custom” è la più sbagliata si possa usare per definire un progetto intelligente:nessun armatore ha la cultura sufficiente per ideare un progetto del genere che dovrebbe invece essere la somma di esperienze vere di navigatori e designer. L’armatore dovrebbe dire dove vuole navigare e scegliere il colore. E’ difficile scrivere queste cose, in un mondo in cui tante motivazioni d’acquisto sono legate alla illusione di una coincidenza tra sogno e realtà. Purtroppo non sempre il sogno è navigare, spesso è solo possedere. La sfida, per i cantieri, è questa: una barca non troppo grande, non troppo costosa, non troppo metallizzata, con tutti i comfort veri (acqua e silenzio per esempio). Insomma una barca che tutti vorrebbero. La vedremo?

Conferenza stampa dello Yacht Club Costa Smeralda: sede il Museo della Scienza e della Tecnica, argomento il ricco programma di regate. Barche normali, maxi e ultramaxi saranno li a girare attorno a Mortorio e Mortoriotto, come sempre, in un campo di regata sempre unico. Per il programma con le date e gli eventi meglio consultare il sito del club. La lista è lunga.  Lo Yacht club ha raccontato l’apertura di una nuova sede a Virgin Gorda, che sarà un riferimento caraibico per gli armatori che possono giocare con la doppia stagione.

La notizia interessante è anche che torna  Audi Azzurra Sailing Team, chiuse per il momento le ambizioni di Coppa Ameria, parteciperà al circuito Audi MedCup. L’iniziativa nasce dalla collaborazione con il socio dello YCCS, nonché noto armatore del TP52 Matador e del maxi Alexia, Alberto Roemmers. Lo scafo, progettato da Rolf Vrolijk, è attualmente in fase di ultimazione presso il cantiere King Marine di Valencia e sarà varato il 10 aprile. Il team è fatto dallo skipper Guillermo Parada, il tattico Francesco Bruni, già timoniere di Azzurra dal 2009, e dello stratega Vasco Vascotto, si allenerà nelle acque di Valencia in vista della partecipazione alla PalmaVela di aprile. Il battesimo ufficiale di Azzurra si terrà invece il 16 maggio a Cascais in Portogallo e da qui il giorno seguente avrà inizio il circuito Audi MedCup 2011.

Il giro del mondo a vela in equipaggio è una regata carica di antiche suggestioni: gran parte della navigazione avviene lungo rotte che con i loro pericoli hanno scritto la storia delle esplorazioni, il fondo del mare è costellato di relitti di audaci navigatori che, soprattutto per soldi, hanno girato il mondo per ordine di principi e re. Gran parte della rotta percorsa da chi vuole girare il mondo senza passare da Panama o Suez naviga su una strada aperta dai portoghesi inviati dal Enrico il Principe Navigatore per assicurare al Portogallo il commercio delle spezie e nuove terre, fino ad allora controllato da Venezia e Genova attraverso la porta d’oriente: Istanbul.

E’ stata una regata che ha appassionato molto i velisti italiani fin dalla prima edizione nel 1973, nata con la collaborazione della birreria Whitbread. Allora era davvero la massima espressione della navigazione oceanica, che si affrontava con barche relativamente piccole. Adesso che arriva alla undicesima edizione si chiama Volvo Ocean Race, è gestita dal velista norvegese Knut Frostad, che prima di sedere in ufficio si è fatto i calli al timone. La prossima edizione partirà dal porto spagnolo di Alicante nell’autunno del 2011 per finire a Galway, in Irlanda nell’estate del 2012 toccando, dopo tappe di vario contenuto tecnico, i porti di Città del Capo in Sudafrica, Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti, Sanya in Cina, Auckland in Nuova Zelanda, Itajai in Brasile, Miami negli USA, Lisbona in Portogallo e Lorient in Francia. Per la terza volta si utilizzano i Volvo Open 70, barche costruite con una regola che premia le prestazioni e lo spettacolo. Tra gli iscritti doveva esserci anche Giovanni Soldini con Italia 70, una barca messa a disposizione da John Elkan per un progetto cui ha collaborato anche Carlo Croce. Purtroppo non è stato possibile assicurare al team un budget adeguato a raggiungere buoni risultati. Si sono impegnati in prima persona lo stesso Giovanni e Carlo Croce.

Gli organizzatori volevano a tutti i costi una barca italiana in gara, e per primi hano cercato di assicurare un aiuto logistico a Italia 70. Ma la crisi economica mondiale penalizza anche altri iscritti: a pieno budget sono solo quattro. Il fortissimo team francese Groupama che passa dai trionfi atlantici sui multiscafi a questa regata dove nel tempo è divenuta molto importante una parte tecnica più che eroica. Non a caso è stata vita con Ericsson l’anno scorso dal brasiliano Torben Grael considerato il più grande velista vivente con cinque medaglie olimpiche, e da Paul Cayard che era al debutto oceanico dopo una carriera di regate brevi. Abu Dhabi arma una barca che è in costruzione qui in Italia presso Persico, che aveva lavorato anche per Luna Rossa. Dall’America arriva Puma, dalla Spagna arriva Camper, in realtà il cuore è del mitico Team New Zealand, la nazionale della vela neozelandese, condotta da un mito di questa regata, l’inossidabile Grant Dalton. Ci sono in nota altri due team spagnoli, al momento segnalati come confidenziali. Frostad è anche corso ai ripari per cercare di portare in regata qualche altro concorrente: quattro veri sono troppo pochi per una regata che si rispetti, e che ha una organizzazione complessa. Noi abbiamo la nostra idea sulla “crisi” del giro del mondo in equipaggio. La classifica a punti, le regate di un giorno dimostrative per il pubblico, un percorso che ha lasciato la Great Circle Route per finire in Cina, hanno finito per togliere alla regata il primato della leggenda. Insomma, un po’ come togliere il pavè alla Parigi Roubaix. Non è più la stessa cosa.