Dopo la sconfitta subìta in Australia, Sir Michael Fay è determinato a vincere la Coppa. Su suggerimento di Bruce Farr  cerca di sorprendere gli americani che tardano a definire come annunciato nuove regole per sostituire i vecchi 12 metri Stazza Internazionale. Fay a nome del Mercury Bay Boat Club (sede in una auto arrugginita) deposita una sfida contro il San Diego Yacht Club secondo il Deed of Gift dove dichiara di presentarsi con un monoscafo con lunghezza al galleggiamento di 90 piedi. Quello disegnato da Bruce Farr è un moderno J Class: imponente e particolare, con le sue ali. Dapprima gli americani non vogliono accettare, ma il giudice Carmen Beauchamp Ciparick della Corte Suprema di New York chiamata in causa li costringe a difendersi. Dennis Conner alle strette decide non senza un pizzico di provocazione di costruire due catamarani che fa disegnare da un pool di designer coordinato da John Marshall di cui fanno parte Gino Morelli e un pool di esperti della “piccola Coppa America”, dove si impiegano cat velocissimi che già usano vele rigide. Uno ha vele tradizionali e uno ha la randa alare in due parti per 160 metri quadri. L’efficienza di queste imbarcazioni è micidiale e il confronto con il monoscafo improponibile. Così Fay torna a rivolgersi alla Corte Suprema, che questa volta gli dà torto; il cat è “legale”. Si arriva alla sfida in acqua e il colosso di 27metri, con un albero di 46 e 600 metri di vela in bolina, contro l’agile e veloce catamarano di 18 fa una brutta figura, in due sole regate senza storia. Kiwi Magic finirà parcheggiato su un piazzale a Auckland, testimone di un’avventura considerata la peggiore edizione della Coppa, sebbene con i suoi elementi di spettacolarità. Nell’89 la Corte è chiamata ancora a decidere sulla regolarità delle regate: prima assegna la vittoria ai kiwi e poi in appello ci ripensa. È una edizione di rottura, dopo la quale si decide di definire una nuova regola di classe che sarà la IACC, utilizzata in cinque diverse versioni fino al 2007, e una vera rifondazione dell’evento. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si regata nel sud dell’Australia, il club del defender è il Royal Perth Yacth Club sul campo ogni giorno soffia con regolarità un vento gagliardo, si chiama Freemantle Doctor. E’ una delle edizioni più belle della storia, per numero di sfidanti e qualità delle battaglie. Le regate? Le foto? Sono spettacolari. Circolano filmati del tempo che restituiscono una atmosfera autentica, di spettacolo ma anche di genuinità sportiva. Dennis Conner dopo la brutta sconfitta dell’83 vuole la rivincita e dunque riportare la Coppa in America, a casa sua. Con la sua Stars & Stripes, iscritta per il San Diego Yacht Club, batte per quattro volte il defender Kookaburra III armato da Kevin Parry e portato da Iain Murray e Peter Gilmour. Alan Bond e John Bertrand dopo la storica vittoria si sono ritirati da vincitori e hanno lasciato ad altri la difesa della Coppa: per Bond sarebbe stata la quinta partecipazione. Gli sfidanti sono dodici di cui cinque americani, li Challenger of Record (organizzatore delle regate di selezione) è lo Yacht Club Costa Smeralda. Oltre a Conner ci sono il New York Yacht Club con America II, poi ci sono Heart of America, Eagle, Usa. Dall’Inghilterra arriva White Crusader, c’è Canada II. Due sindacati francesi: French Kiss di Marc Pajot fa scalpore, c’è anche Challenge France del fratello Yves. Due gli italiani: sono Italia con i fratelli Tommaso ed Enrico Chieffi che finisce a ridosso dei migliori e ancora Azzurra, purtroppo molto lenta. Il sindacato italiano costruisce ben quattro scafi alla ricerca di quello che lo soddisfa, ma questo non basta. Durante i Round Robin e le semifinali a fare scalpore è New Zealand, la prima sfida costruita da Michael Fay. Il progetto è di Bruce Farr, la costruzione in fibra di vetro: è il primo e unico 12 metri S.I. realizzato in questo materiale. Al timone c’è il giovane Chris Dickson. Prima di incontrare Stars & Stripes nella finale Louis Vuitton Cup vince 37 regate su 38, sembra imbattibile. Ma il vecchio leone americano lo demolisce vincendo quattro regate, una la perde per un’avaria. Dalla sconfitta però nasce un team che saprà, con diverse configurazioni, essere presente e vincere la Coppa fino a diventare una autentica nazionale della vela neozelandese.La vittoria di Conner è costruita con determinazione, una campagna “scientifica” dove ha un ruolo importante John Marshall che coordina disegno e prestazioni. Decisiva la scelta di cambiare la poppa della barca dopo la prima fase di regate, modifica possibile per la costruzione di alluminio, per renderla più potente con vento forte.

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È l’edizione che cambia la storia del Trofeo: Australia II di Alan Bond, condotta da John Bertrand e iscritta per il Royal Perth Yacht Club, il 26 settembre riesce a battere nella settima regata, che consacra il punteggio di quattro a tre, Liberty di Dennis Conner,  defender per il New York Yacht Club. Tutto avviene nell’ultimo lato di poppa, quando Conner rinuncia alla manovra di copertura classica dell’avversario e lascia uno spiraglio aperto. Così, dopo 132 anni, la Coppa cambia finalmente padrone.
Australia II è una barca particolare: disegnata da Ben Lexcen, ha una chiglia rivoluzionaria con le alette che è rimasta nascosta fino alla fine, provata a lungo nella vasca navale di Vageningen in Olanda sotto la direzione di Van Oossanen. Ma a bordo ci sono molte innovazioni: un metodo professionale di allenare l’equipaggio, le prime vele triradiali disegnate da Schnackenberg. La vittoria è costruita per somma di particolari. È anche l’edizione della prima Louis Vuitton Cup, la regata di selezione degli sfidanti voluta dal barone Bich nel 1970 trova sponsor per volere del presidente Henri Racamier. Gli sfidanti sono le altre australiane Advance di Syd Fisher e Challenge Twelve, l’inglese Victory, la canadese Canada e France 3.
Tra gli sfidanti dall’Italia arriva Azzurra, prima partecipazione italiana. È condotta da Cino Ricci che ha scelto come timoniere Mauro Pelaschier, è voluta da Karim Aga Khan e Gianni Agnelli porta il guidone dello Yacht Club Costa Smeralda. Il progetto è di Andrea Vallicelli e la costruzione di Marco Cobau. Azzurra vince ventiquattro regate su quarantanove e nelle semifinali non riesce a battere Victory per un soffio, nella regata determinante Azzurra si ritira per una piccola rottura e subito dopo anche gli inglesi hanno una avaria più grave: se gli italiani non si fossero ritirati avrebbero potuto anche navigando con prudenza battere gli avversari. La barca inglese passa il turno e viene poi sconfitta nella finale sfidanti da Australia II per quattro a zero. L’Italia scopre la Coppa America, Azzurra diventa il nome di molte bambine e anche pizzerie.

Dennis Conner, che era rimasto lontano dall’ edizione precedente, costruisce una difesa tutta sua, con lui naviga John Marshall che sarà una pedina importante delle sue imprese successive e che ha una preparazione tecnica molto forte. Freedom è una barca molto veloce, ancora disegnata dallo studio Sparkman & Stephens. Gli avversari nelle selezioni defender sono decisamente più deboli, e lo sanno. Ted Turner ri ripresenta con Courageous, che è alla terza campagna,  Russel Long è con Clipper, dove naviga come tattico Tom Blackaller. Gli sfidanti sono quattro, Alan Bond torna con Australia ampiamente modificata. Poi ci sono gli inglesi con Lionheart, il barone Bich con France III con al timone Bruno Trouble e una nuova versione di Sverige di Pelle Petterson. Per il barone valdostano sarà la migliore campagna ma anche l’ultima, l’inventore delle regate di selezione chiuderà dopo questa quarta sconfitta (solo Thomas Lipton prima di lui ha lanciato quattro sfide), purtroppo non è mai riuscito a incontrare il defender. Inglesi e svedesi sono deboli. Australia, su cui naviga John Bertrand, è molto cresciuta, ma non basta ancora. La strada presa da Bond è quella di lavorare alla struttura del sindacato imponendo un approccio professionale in ogni settore come stanno già facendo gli americani. È vero che la barca a stelle e strisce è più veloce ma è vero anche che Conner ha lasciato poche scelte al caso. Il suo equipaggio è molto più allenato a sostenere faticosi “tacking duel” e la lunghezza delle regate che arrivano a 24 miglia. Freedom vince per quattro a uno e la Coppa resta a New York.

Questo è l’anno di Ted Turner, americano vero: bevitore e sanguigno però anche genuale.  Lo chiameranno presto “captain outrageous” durante la sua campagna a bordo di Courageous, per come tratta chi non gli piace. Ted sta diventando un personaggio importante in tutti gli Stati Uniti, ma è contagiato, come molti, dal virus della Coppa. Le altre barche forti americane sono Enterprise dove Lowell North sperimenta quanto sia difficile il gioco della Coppa e Indipendence, disegnata, timonata e invelata da Ted Hood. Si fanno esperimenti sulle vele. Le aggressioni in acqua e a terra non si risparmiano. North inventa il sandbagging, cioè rallenta di proposito la sua barca per non far vedere agli avversari e all’equipaggio le possibilità che ha. Poi però viene allontanato dal New York Yacht Club che vede nel suo modo di gestire la squadra un pericolo. Dennis Conner rinuncia a sostituirlo e alla fine lo fa lo starista Malin Burnhan che per ritrovare la sensibilità cui è abituato applica anche uno stik alla ruota, ovviamente certe manovre repentine gli riescono difficili. Turner, che dovrebbe essere il più debole, punta a fare partenze vincenti e a usare bene, navigando magistralmente, una barca collaudata e senza sorprese che ha già difeso con successo la Coppa. Alla fine non avrà torto. Il cammino dello sfidante Australia di Alan Bond, iscritta per il Sun City Yacht Club di Perth, disegnata da Ben Lexcen (già Bob Miller, il progettista ha cambiato nome) è debolmente ostacolato da Sverige di Pelle Petterson e da France III del barone Bich. Inutile dire che Bond perde ancora per quattro a zero. Ted Turner è forse l’ultimo timoniere che non si dedica alla vela come unica professione a vincere.

La Vendee Globe al momento è l’unico giro del mondo a vela che vale la pena di seguire: solitario, eroico, senza scalo, senza aiuto, immagini forti di planate. E’ la grande vela epica della Great Circle Route, quella degli esploratori. Nata per essere una sfida assoluta in stile francese ha sofferto all’inizio per le regole troppo libere e i pochi compromessi voluti dopo i disastri delle prime edizioni, riguardano soprattutto e giustamente la sicurezza. Gli incidenti, ribaltamenti e avventure varie, hanno spinto a prendere pochi provvedimenti fondamentali, che hanno salvato la vita ad alcuni, lavorando su particolari delle barche e vincoli sulla rotta che non può scendere troppo a sud. Questo non ha impedito di scendere dai quasi 120 giorni della prima edizione a 80 con un progresso di velocità incredibile. Del resto si tratta sempre di raggiungere un compromesso: troppe regole ammazzano l’evento, poche regole ammazzano i partecipanti. Il pericolo o la morte sono fin dal tempo dell’antica Roma un ingrediente dello spettacolo, tuttavia nel quarto millennio della civiltà, con un parlamento europeo che non pensa ad altro che alzare il livello di sicurezza di ogni manifestazione umana, anche lo show business (perché di questo si parla in presenza di sponsor) deve essere sicuro. Alla Vendee insomma, come ad altre regate, dobbiamo essere in grado di togliere il rischio di vita e lasciare lo spettacolo. Sono partiti in venti e dopo pochi giorni di regata sette, tra cui alcuni dei meglio preparati erano già all’ormeggio. Un paio sono finiti addosso a barche da pesca, altri hanno rotto qualcosa. Bisogna partire… ma anche tornare a casa. Suona incredibile che un velista esperto come Vincent Rioux si sia giocato la partecipazione per non avere un tirante del bompresso di ricambio, e che in una posizione esposta lo abbia scelto di carbonio: in acciaio sarebbe pesato solo poco di più con ben altre garanzie di durata. Le barche sono ancora una volta troppo fragili cosi come lo sono state quelle della Volvo Race, regata dove nessuno ha finito senza almeno un problema grave alla barca. Non si può più assumere per vera una battuta, cioè che se una barca non si rompe è troppo pesante, bisogna saper progettare e costruire barche che arrivano in fondo… e saperle portare a casa. Un passo indietro? No, è un passo avanti, sarebbe il progresso vero, utile.