La Red Bull Youth America’s Cup è forse l’iniziativa migliore di questa Coppa America:   raccoglie dieci equipaggi molto giovani per otto nazioni che regatano a bordo di AC45, che così almeno servono a qualcosa di concreto per lo sviluppo della vela e della velocità. Dopo la prima giornata in testa alla classifica con il margine di un solo punto è l’equipaggio neozelandese condotto da Pater Burling di New Zealand Sailing Team, davanti a Nex World Energy di Antoine Lauriot Prevost (un cognome che la dice lunga sui multiscafi, figlio d’arte) e ai rivali kiwi di Full Metal Jacket Racing di Will Tiller.  Il realtà dopo due regate a pari punti al terzo posto di sono tre barche con Swedish Youth Challenge, timoniere  e American Youth Sailing Force che ha vinto la prima prova.

Valori in campo molto equilibrati con le barche rimesse a posto… dopo le accurate misurazioni di stazza che hanno portato al ritiro di Oracle e Bar Racing dalle classifiche delle World Series lasciando il primato a Luna Rossa Piranha. LA Giuria dovrebbe comunicare le sue decisioni in questi giorni, dopo aver tenuto segreto ogni particolare delle udienze.

Max Sirena dopo la conclusione delle finali Louis Vuitton Cup: un ragazzo di 40 anni sereno, comunque soddisfatto del risultato, pronto a ricominciare. Il primo passo è allenare New Zealand, consentirle di verificare le modifiche che hanno fatto in questi giorni. Poi in acqua: raramente, nelle ultime edizioni, il risultato delle regate è stato meno prevedibile: se si esclude la edizione del 2010, che qualche incertezza l’ha proposta, la barca predestinata più o meno era nota, visibile. Tra Aotearoa (nome Maori della Nuova Zelanda), che si è sempre apparsa imprendibile, e Oracle di cui sappiamo molto meno, potrebbero esserci sorprese. Ma quel che conta è che si prepara la quinta Luna Rossa: Patrizio Bertelli lo ha confermato il giorno dell’ultima regata.
Max, Patrizio Bertelli ha già confermato la partecipazione di Luna Rossa alla prossima Coppa America. Cosa hai imparato da questa campagna che userai nella prossima?
“La considero una partecipazione positiva, per come siamo partiti e l’avevamo impostata. Adesso devo riflettere sugli errori che abbiamo fatto e farne tesoro”.
Forse più che di errori concreti bisogna parlare di tempo mancato.
“Io sono molto cattivo con me stesso, faccio molta autocritica e mi piace prendermi le colpe e gestire le critiche che ricevo da parte di tutti. Ci è mancato il tempo, lo sapevamo bene e non posso usare sempre questa come scusante, sicuramente quattro mesi di sviluppo in più ci avrebbero fatto bene”.
C’è un particolare che potevate sviluppare meglio? Le derive, le manovre?
“Sapevamo bene che Emirates Team New Zealand sarebbe stato imprendibile, impensabile battere un team che è partito prima di noi e ha costruito due barche. Abbiamo battuto in semifinale un team come Artemis che sulla carta è strafavorito per la Coppa. Se posso fare un paragone è un po’ come chiedere a Valentino Rossi con la moto dell’anno prima di battere Lorenzo. Posso aver deluso molti in Italia e va anche bene così, mi rendo conto di quel che può pensare il pubblico, bisogna essere realisti. Io credo che il gruppo abbia fatto un buon lavoro e che saremo molto forti nella prossima campagna”.
E’ giusto dire che siete diventati soprattutto una squadra e che questo era l’obiettivo di questa partecipazione?
“Si, l’obiettivo di questa sfida era quello di creare un gruppo forte, non costruito sui grandi nomi ma nel suo complesso. Abbiamo iniziato a navigare per la prima volta come team nel Ac 45 e dopo due mesi abbiamo vinto un evento. Poi (dopo il ritiro di Oracle per le irregolarità di stazza ndr) ci hanno nominato anche vincitori del circuito delle World Series. Qualche soddisfazione ce la siamo tolta, ampiamente e forse anche in maniera inaspettata. Il gioco è cambiato quando abbiamo iniziato a navigare con gli AC 72. Del resto non sono io a dirlo, puoi avere tutti i soldi che vuoi ma l’unica cosa che non si può comprare in Coppa America è il tempo. L’obiettivo principale era creare un gruppo forte per partire forti per la prossima sfida”.

Ecco il documento che la Giuria Internazionale ha rilasciato per dimostrare la diversità delle due barche di Oracle rispetto al resto della flotta. Ci sono differenze che perlomeno dimostrano che sull’argomento i tecnici di Oracle hanno lavorato anche se sembra che 300 grammi di differenza in peso, 9 mm in lunghezza non siano poi così vantaggiosi. Cosentono una maggiore tensione della struttura che diventa più rigida. In un primo tempo la Giuria aveva comunicato che Oracle 5 sarebbe stata “pulita” invece dal rapporto sembra che invece la barca regolare sia quella utilizzata da Ben Ainslie con lo sponsor JP Morgan. Questo rende perlomeno più chiara la situazione del campionissimo.
Una fonte di Luna Rossa dice: “abbiamo studiato a lungo le virate di Spithill con AC 45, che riusciva ed alzare lo scafo subito dopo il cambio di mura. Noi ci abbiamo provato un sacco di volte senza riuscirci, perchè puoi farlo solo le lo scafo è considerevolmente più leggero”. Il particolare rilevato dagli stazzatori sarebbe quindi una “dimenticanza” di un più sostanzioso trattamento subito dalle barche di Oracle. C’è chi dice che potevano variare l’angolo delle derive per salire di bolina e chi afferma che gli scafi fossero stati alleggeriti in maniera consistente per mettere peso al centro. I 300 grammi rimasti nel bompresso sarebbero solo una parte di questo peso.
Sul piano delle possibili punizioni le voci più consistenti restano una possibile squalifica di Spithill, che dovrebbe cedere il timone a Ainslie (ma talvolta la squalifica inizia dopo l’evento, e sarebbe inutile) e tre punti di penalità per il team, che partirebbe per l’incontro con Emirates Team New Zealand da -3. Se fosse vero per vincere gli americani dovrebbero vincere 12 regate e i kiwi le 9 previste. Tanta roba… che allunga il programma in maniera consistente.
Oracle è con il fiato sospeso, l’udienza decisiva è spostata a giovedì 29, perchè gli avvocati di Oracle non erano pronti con il materiale difensivo. La situazione è più grave di quel che sembra insomma. Intanto i premi dei circuiti passati sono stati ri assegnati a Luna Rossa ed Emirates Team New Zealand. Quel che appare davvero grossolano è come Coutts (e chi se non lui) abbia potuto mettere a rischio tutta la difesa per vincere nel circuito AC 45, un segno di “ingordigia” inutile.

Il documento:

http://noticeboard.americascup.com/wp-content/uploads/2011/08/KingpostReport240813.pdf

Questa Luna Rossa tramonta, sconfitta per 7 a 1 da Emirates Team New Zealand: ci ha provato fino alla fine, anche nell’ultimo giorno di nebbia americana triste anzi dai toni tragici e con vento debole, ma la differenza di velocità era troppa. La buona notizia, per il popolo dei velisti, è che Patrizio Bertelli ha già annunciato che ce ne sarà un’altra. Lo ha detto chiaro: “torno torno… è si chiamerà ancora Luna Rossa. Lo skipper ancora Max Sirena, sarà il seguito di questa campagna. Siamo arrivati dove volevamo essere: protagonisti delle semifinali, sapevamo che battere i kiwi era impossibile, siamo partiti in ritardo e non era il nostro obiettivo“. Rilanciare è un bel modo di incassare la sconfitta, del resto era ampiamente nei programmi, procedere a una sfida senza troppe ambizioni per imparare tutto il futuro che c’è in questa nuova formula di barche. Si è chiusa così, con lacrimuccia, la Louis Vuitton Cup ottava edizione, trentennale. Un evento che ha dato certamente molto alla Coppa stessa, visto che nella selezione sfidanti ha costruito spettacoli grandiosi, con edizioni ricche di avvenimenti. Solo tre sfidanti e un programma difficile da digerire hanno mortificato questsa edizione.
La prossima volta di Patrizio Bertelli sarà la quinta: solo uno nella storia ha fatto come lui: sir Thomas Lipton, che i nobili inglesi chiamavano con spregio “il droghiere del re” irlandese emigrante che pur di vedere una sua barca contro gli americani, sempre con il nome di Shamrock, ha lanciato l’ultima sfida ottuagenario. Emirates Team New Zealand ha così conquistato il diritto a incontrare il defender Oracle, è la terza volta che i neozelandesi vincono le regate di selezione: è successo nel 95 a San Diego, poi nel 2007 e adesso. Nel 95 la vittoria migliore: veloci come ora con un mezzo imprendibile, dopo aver dominato le selezioni hanno stracciato Dennis Conner e Stars & Stripes in Coppa. L’incontro con Oracle è molto incerto, dovrebbero essere più veloci i kiwi ma nel gioco di vedo non vedo i 50 nodi che raggiungono potrebbero anche non bastare. E’ più o meno deciso che se Emirates vincerà la Coppa, come tutti sperano, compresi gli abitanti di San Francisco che non amano il magnate Larry Ellison, Luna Rossa o meglio il Circolo Vela Sicilia, sarà Challenger of Record, primo degli sfidanti, vuol dire che toccherà a loro disegnare assieme ai kiwi un nuovo evento, con più sport e meno incognite forse senza catamarani volanti ma con un monoscafo molto veloce. Si è molto discusso sulla validità delle barche AC 72, catamarani in grado di fare foiling, ovvero si alzarsi sulle derive come aliscafi e raggiungere la velocità di quasi cento all’ora: appaiono oggetti incomprensibili anche ai velisti, veloci da incutere timore, inadatti a fare match race. Sono stati spettacolari ma in maniera clandestina: nessuno ha potuto vedere la ottima produzione Tv , a parte i canali sul web che hanno raccolto pochi consensi. La Coppa America tra Emirates Team New Zealand e Oracle inizia il 7 settembre e vincerà il primo che arriva a nove vittorie: sono molte e il programma rischia di essere molto lungo. Nei porssimi giorni dopo qualche riposo è previsto il collaudo delle “sciabole” che non è stato possibile usare e di allenarsi ancora con i neozelandesi.

Still alive: Luna Rossa è ancora viva dopo la settima regata delle finali Louis Vuitton Cup. E’ successo che il vento era troppo forte per disputare la ultima decisiva regata e il comitato ha mandato tutti a casa. Così dal mare è arrivato un giorno di vita in più per Luna Rossa e per la finale sfidanti. Fin dal mattino si sapeva che sarebbe molto probabilmente successo così, il vento aveva pulito in fretta il cielo sempre nebbioso di San Francisco, lasciando libero il sole per il pubblico che segue sia dalle rive che dal mare. Ancora una volta la regata si è giocata sulla grande velocità di Emirates Team New Zealand, che con alcune modifiche notturne, probabilmente in vista del vento forte è apparsa ancor più mostruosamente in forma e veloce. Il traguardo che tutti si aspettano, il foiling di bolina, è ormai una realtà che spinge lo speedometro a 30 nodi con un rapporto con lo scarroccio che diventa conveniente in VMG. Non serve criticare la partenza di Luna Rossa, sempre un po’ lenta ad accelerare, la differenza di velocità è troppo evidente. I kiwi vogliono vincere: è una missione di Stato, davvero, perché la Coppa da loro porta economia non è solo il palcoscenico per un ricco ai primi posti della classifica di Forbes. In una giornata di vento forte le barche hanno segnato record di ogni tipo, hanno chiuso il percorso in 23 minuti 38 secondi, il ritardo di Luna Rossa è di 1 minuto e 58 secondi, la velocità media di ETNZ è di 29,24 nodi, quella di Luna Rossa di 27,27. I kiwi hanno stabilito il record di velocità della Louis Vuitton Cup toccando i 47,18 nodi, Luna Rossa è arrivata a 43,46. I nostri eroi sperano ancora, come spiega il tattico Francesco “Checco” Bruni: “Noi combattiamo fino all’ultimo momento, nello sport non si sa mai. Dobbiamo affrontare l’ultima regata con la testa sulle spalle, sarà dura ma noi combattiamo. Le possibilità, lo ammettiamo, sono poche, ma l’altro giorno sono andati con la prua giù e in un istante potevano giocarsi tutto, la finale, la contro finale e tutto il resto. Noi ci sentiamo vivi fino alla fine”. Spiega poi quello che ha visto sul campo: “Emirates è molto veloce di bolina, e non mi sorprenderebbe vedere Oracle passare qualche brutta esperienza. Oggi riuscivano a navigare in foiling a 30 nodi. Anche noi possiamo andare in foliling di bolina, il problema è che puoi andare in foiling a 25 o o farlo 30 nodi, esiste insomma una qualità del foiling. Quello che stanno facendo i kiwi è incredibile”. Racconta dei progressi di Luna Rossa: “Il gap con i kiwi si è ridotto, se si fanno i conti matematici dei distacchi si vede che sono ridotti in maniera notevole. Forse potremmo ridurre lo svantaggio della metà anche se ammettiamo che vincere è difficile. Loro hanno qualcosa che noi non abbiamo. Loro sono arrivati alla ottava generazione di derive, noi alla quinta. Abbiamo due sciabole da provare ma ci servirebbe un mese per farle funzionare come si deve. L’evoluzione è continua, a ogni regata si impara qualcosa. Noi un mese fa non riuscivamo a superare i 40 nodi, adesso siamo a 45. Abbiamo cambiato solo due tip, due piccoli pezzi di carbonio”.

Emirates Team New Zealand ha punito duramente Luna Rossa nella sesta regata della finale Louis Vuitton Cup. In una giornata di vento modesto, per le abitudini della baia di San Francisco, Luna Rossa è apparsa insonnolita e poco reattiva. Il motivo tecnico è probabilmente la taratura dei deflettori dei timoni, che sono molto critiche per rendere il foiling stabile. Al mattino infatti le previsioni promettevano vento più intenso e con ogni probabilità i tecnici hanno preparato la barca per quelle indicazioni. Questo, e tutto il resto, hanno reso Luna Rossa decisamente più lenta di New Zealand. Alla partenza la rapidità con cui i kiwi hanno accelerato verso la prima boa lasciando sul posto Luna Rossa ha fatto impressione. Chris Draper aveva fatto bene, cercando di tenere la barca sulla linea per tempo, ma come nei giorni scorsi i kiwi hanno messo in assetto e lanciato la barca con abilità impressionante. Si sapeva che andava a finire così, ma come sempre succede per onore di bandiera e per tifo uscendo dalla razionalità dei numeri si sperava nel miracolo… ma San Francisco non fa miracoli e neanche San Gennaro, anzi. Il distacco alla fine è di un paio di minuti, su una durata totale di ventotto. Le punte di velocità premiano gli italiani che toccano i 39,33 nodi contro i 37,28 dei kiwi. Emirates Team New Zealand che ha raggiunto il punteggio di 5 – 1 si avvia dunque a vincere la ultima edizione della Louis Vuitton Cup. Le bastano altre due regate per raggiungere le sette vittorie necessarie, che potrebbero essere oggi sabato 24 agosto, una data che potrebbe restare nella storia come chiusura di un ciclo trentennale legato alla maison francese che dall’83 sposa la sua immagine alla Coppa America. Il meteo però promette troppo vento.. tanto per allungare i tempi, allora il programma prevede altre due regate domenica. Luna Rossa spera ancora, spera che il vento le dia un vantaggio per iniziare una rincorsa impossibile. Non è stato annunciato ufficialmente ma tutti sanno che la nuova dirigenza di Louis Vuitton non vuole più investire in questo mondo. Chi vincerà la Coppa America dovrà trovare un nuovo sponsor per le regate di selezione sfidanti, un problema che si aggiunge a quelli di scelta di una nuova barca e di un nuovo formato più attraente per il pubblico e gli sponsor. Ma c’è un altro rischio: potrebbe anche essere l’ultimo giorno di regata per Luna Rossa alla sua quarta sfida: il combattente Patrizio Bertelli ha promesso una nuova partecipazione, sarebbe la quinta, ma con delle condizioni che molto probabilmente in caso di vittoria americana non saranno realizzabili. Con una nuova e quinta sfida l’uomo di Arezzo, raggiungerebbe nella storia della Coppa sir Thomas Lipton il leggendario eterno sconfitto, innovatore nel commercio, nella pubblicità, amico dei regnanti ma escluso dai nobili. Bertelli vuol vincere però… partecipando a un gioco più vero. Tutto il programma di questa partecipazione è connesso alla possibilità di diventare Challenger of Record sfidando il Royal New Zealand Yacht Squadron. Per il Circolo Vela Sicilia sarebbe la prima volta, non per Bertelli che lo è stato nella complessa edizione del 2003.

La Coppa… il più antico trofeo dello sport che si disputa senza interruzioni, se non quelle delle guerre che più che altro l’hanno rallentata. La domanda, che tutti si sono posti in questi giorni di regate bizzarre con questi oggetti volanti che quando passano fischiano più che sbattere sull’onda è: ma questo è davvero sport? E’ la nostra vecchia vela? La montagna di critiche sommerge le poche voci a favore. Gli AC 72 appaiono oggetti incomprensibili, che tutti dichiarano costosi senza sapere davvero quanto costano, che tutti dichiarano solo “tecnologici” senza sapere quanta abilità debbano avere i marinai, anche i grinder che hanno più compiti. Navigare su un AC 72 è come essere su un 7 metri: i tre che fanno l’equipaggio devono fare tutto tutti insieme senza sbagliare. Se uno degli undici sbaglia (come è successo a New Zealand in poggiata) si finisce gambe all’aria: la macchina non domina nessuno, bisogna saperla usare con tempi di reazione fulminei.
La Coppa, bisogna ammetterlo, è stata troppo spesso palestra di grandi eccessi di tycoon con l’ego esuberante, occasione di affari d’oro dove gli equipaggi e le loro avventure sono stati quasi sempre in secondo piano, perché era meglio vedere altro. Le azioni incrociate delle ultime edizioni hanno finito per erodere il grande patrimonio di popolarità conquistato negli anni in edizioni memorabili. Dall’83 in poi, in particolare, la Coppa era stata davvero un grande evento sportivo. Adesso non lo è più, si capisce dalla risposta modesta dei media, dalla sala stampa semivuota.  Così nascono le ricette, tornare alla tradizione sembra l’ancora di salvezza perdendo di vista il fatto  che la tradizione della Coppa è l’innovazione. Forse il salto in avanti con il foiling è stato eccessivo, visionario: ma è un salto in avanti.
Così in questa edizione così particolare e nuova alzando la bandiera del troppo tecnologico si dimentica quanta fatica abbiano fatto designer, progettisti, equipaggi per imparare a navigare. E la poesia di Emirates Team New Zealand così forte in alcuni momenti costruita sull’abilità delle persone (anche i designer, ma senza dimenticare i marinai) resta senza pubblico. Il pubblico critica, Facebook critica: non è match race, rivogliamo i monoscafi. Vero: il mondo è stato scoperto in monoscafo. Ma non tutto: i polinesiani sono arrivati in Nuova Zelanda con ridicoli multiscafi.
Poi tutti a dire, nonostante i budget sia inferiori o uguali a quelli del 2007: costa troppo. Le critiche di chi non c’è, la storia della volpe e l’uva: non mi piace perché non ci posso arrivare. Ma non con il portafoglio, con la testa. Questi team hanno speso meno o uguale al 2007. Una barca costa 6 milioni, una ala 3, un set di chiglie uno. E i designer che lavorano a tempo pieno non sono di più di quelli che servivano per il monoscafo. Team di 18/20 persone. Allora disegnavano bulbi di piombo adesso “elevator”.
Del resto c’è poco di più immutabile della navigazione a vela: le caravelle che hanno scoperto l’America non sono tanto diverse dalle le navi tonde romane che 14 secoli prima navigavano la rotta del grano dall’Egitto a Roma, i galeoni di sir Francis Drake mica tanto diversi dalle navi di Horatio Nelson signore di Bronte che due secoli dopo l’arrivo a San Francisco del corsaro della regina erano a Trafalgar. In mare il progresso è lento perchè “barca che va non si cambia”. E’ la paura del mare a rendere prudenti i marinai. In un secolo che riscopre la lentezza poi, gli AC 72 sono alieni. La Coppa America deve essere davvero match race? Nasce per definizione come incontro di due Yacht Club con due barche diverse. Il desiderato monotipo non è previsto neanche per scherzo. E’ previsto l’esperimento, l’eccesso, la leggenda. Non è ancora tempo di bilanci, certo, ma quel che si vede (anche a occhio nudo) è che la parte comunicazione (e non quella degli addetti specifici, che hanno poco da comunicare, la strategia complessiva), programmi di regata, contatto con il pubblico, sia stata molto peggiore della scelta della barca così veloce e moderna. Per gli sponsor che volevano partecipare, tre anni fa, era impossibile avere un programma definito, garantito. Quello è l’errore, non l’estetica della velocità degli AC 72, barche del terzo millennio. La presunzione di avere a che fare con un evento che vale o che è la Formula Uno, di cui si può vendere anche l’accesso alla toilette. Da questo punto di vista la vela deve imparare che il pubblico si “compra”, perchè il pubblico è il valore da trasmettere agli sponsor. Ma attenzione, non vuol dire semplicemente regalare diritti Tv e distribuire pubblicità, come può pensare qualche studente di pubbliche relazioni, significa costruire un evento che è sport. E questa è tutta un altra storia. Lo sport fatto di uomini, risultati, vittorie, sudore, palestra, tecnica. Altro che le birre nel parterre dello Yacht Club dopo che qualche prua slanciata si è graziosamente tuffata un acqua…
La Coppa America andrà avanti, anzi queste regate di San Francisco sono un mattone in più per la sua leggenda, corse con catamarani che non rivedremo mai più. Questa è leggenda. Cosa succederà? Se vince Emirates Team New è molto probabile che torneremo con i piedi per terra con un monoscafo che plana a 35 nodi, potrebbe essere una spece di RC 44 di 80 piedi o più, leggero e manovrabile. Garanzia di circling ma anche di planate, spruzzi, telecamere sommerse. Se invece vince Oracle (che pare molto forte di bolina)  quasi tutti sono convinti che si arriverà a un catamarano di 60 piedi, ovviamente con ala rigida e foiling. Dopo questa edizione le differenze tra i team, con la circolazione di uomini  che ci sarà che porteranno in altri team le esperienze, sarà più facile avere performance vicine con la seconda generazione foiling. Chi ricorda la enorme differenza tra il Moro 3 (considerato seconda generazione Iacc nella prima edizione che li utilizzava nel 92) e gli altri al mondiale del 91? Anzi, aver mostrato tutto quel potenziale è stato un danno per gli italiani.  Insomma, altro giro, altro spettacolo. Altra leggenda, ma è meglio che chi dovrà decidere impari cosa è un evento sportivo.