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Era scritto così sul pianoforte dei vecchi saloon, luoghi dove qualche volta la serata finiva in rissa vera. Il pianista informava che il suo ruolo era uguale per tutti e sperava di non finire sotto il fuoco amico e nemico… In questo momento difficile della nautica italiana vogliamo assegnare il ruolo di “pianista” alle riviste di settore, che hanno pagato un prezzo durissimo per la crisi, reso più pesante dalla decisione di molti cantieri di rivolgersi all’estero per vendere la propria produzione. Perché a loro questo ruolo? Perché in un momento di grande incertezza, di obiettivi poco visibili, solo i media di settore (e non importa se su supporto cartaceo o tv, o Web) possono e devono assumere il compito di sostentatori di passioni. Non si compra una barca, anche megayacht, se non c’è un legame forte con il mare, la voglia di navigare. E’ troppo difficile (senza scrivere costoso, per un bravo pensionato può essere quasi a costo zero) possedere una barca per pensare che sia una decisione presa solo per apparire, giusto per usare una delle motivazioni d’acquisto più riconosciute. Negli anni scorsi, alla ricerca spasmodica di nuovi clienti, i cantieri hanno fatto ponti d’oro a quello che chiamano “extra settore”, cioè i media generalisti, sulla carta portatori di molti lettori. Così hanno forzato la mano cercando aiuto anche presso i grandi specialisti di comunicazione, che ben contenti hanno aggiunto nuovi clienti al loro carnet. In alcuni casi sono stati preziosi, ma in altri hanno finito per avere un effetto collaterale, cambiando il giusto punto di vista della “barca” portando verso un errore di prospettiva che è anche al centro della difficoltà attuale a farla comprendere come strumento di vacanza. Il lusso a tutti i costi e di conseguenza le azioni di controllo su chiunque galleggi su qualcosa, è stato il cavallo di battaglia di molti. Lusso, in questo momento una parola che non ha più significato concreto per quanto è stata usata e abusata.  I cantieri continuano a dire che il mercato italiano non è più un mercato, che è inutile investire sulle nostre coste e sui media specializzati. Una linea di pensiero che ha provocato anche la fuga dal salone di Genova di alcuni cantieri, cui dopo averlo visto crescere fino a essere uno dei più grandi del mondo piace adesso dire che è solo l’espressione di un mercato locale. La gestione di Genova forse negli anni scorsi ha accumulato antipatie per un atteggiamento troppo rigido, ma questa posizione è un po’ troppo estrema e senza un buon Salone di Genova non possiamo sognare la ripresa del mercato domestico. Bisogna riportare la barca verso mari più sicuri e leciti, ri-costruirne una immagine serena, fatta di famiglie felici. Questa è una missione che nessun media generalista vorrà mai iniziare, anzi: abbiamo visto come yacht sia considerato uno dei sinonimi di evasione. Allora questo compito tocca alla comunità della nautica, che deve guardarsi dentro e credere anche nella comunicazione fatta di passione.