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Non tutto il popolo dei velisti conosce Matteo de Nora, un italiano di nascita con molti passaporti, la passione della vela e soprattutto della Nuova Zelanda  e della Coppa America.  Matteo ha iniziato a sostenere Team New Zealand dopo l’America’s Cup del 2000, fondando il “Mates Group of Supporters” e da allora non ha mai smesso di voler bene a Grant Dalton e ai suoi ragazzi. Sono state gioie e dolori, come la separazione da Dean Barker, per cui era un grande amico, dopo la sconfitta di San Francisco. Ma può essere considerato un vero salvataggio.  Negli anni il suo coinvolgimento, anche economico, è cresciuto e ha sostenuto il team nella partecipazione alla Volvo Ocean Race del 2011-12 e nelle edizioni della America’s Cup 34 e 35.
Con il suo supporto e collaborazione il team ha riconquistato la Coppa nel 2017 con le regate delle Bermuda e la ha difesa con successo nella edizione del 2021 a Auckland.
Nel 2011 il Governo neozelandese gli ha assegnato per il suo supporto alle campagne per l’America’s Cup della Nuova Zelanda e la ricerca medica neurologica il grado di Companion dell’Ordine del Merito della Nuova Zelanda.

Lo yacht design è il cuore del mercato della nautica e lei ha lavorato molto con i designer per le sue barche e per l’America’s Cup. Qual è la situazione attuale?
Il numero di barche a motore rispetto a quelle a vela è in aumento, ed è un peccato. Le imbarcazioni diventano sempre più grandi e il legame con il mare si attenua. Le grandi barche stanno sostituendo le case per chi vuole vivere vicino al mare, anche se a bordo il mare si sente sempre meno. L’industria dovrebbe concentrarsi sulla riduzione dell’impronta di carbonio e costruire imbarcazioni che non si affidino così tanto all’elettronica e alla tecnologia. Quando sono in mezzo all’oceano, mi sento più sicuro su una barca a vela.

Pensa che vedremo imbarcazioni da diporto foiling?
Sì. A lungo termine, il foiling arriverà sulle imbarcazioni da diporto. Qualsiasi cosa riduca il consumo di energia lo farà. Per quanto riguarda la velocità e le dimensioni, invece, ci scontreremo con un muro. Il limite sarà la realtà. Ho visto le foto di una nuova barca di 30 metri, che non è propriamente foiling ma può comunque sollevarsi dall’acqua per ridurre la resistenza. È un primo passo e questo fa la differenza.

Parliamo di transizione energetica e di idrogeno.
Se la domanda è: “L’idrogeno sostituirà l’energia elettrica nel lungo periodo?”. La mia risposta è sì, ma al momento non è economicamente praticabile. La differenza di prezzo non sarà colmata rapidamente perché il costo dell’energia generato con idrogeno è molte volte superiore alla tradizionale e per distribuirla e produrla occorre un’infrastruttura. Per prima cosa la tecnologia deve dimostrarsi valida, cosa che forse accadrà presto, e poi deve diventare commercialmente redditizia.

Sono d’accordo
I problemi sono immensi ma l’innovazione va sempre più veloce. L’intelligenza artificiale farà un’enorme differenza, non necessariamente nella qualità dell’innovazione ma nella sua velocità. La usiamo nel Team New Zealand, anche altri team la utilizzano. Tutti stanno cercando di implementarla.

Lei è un velista appassionato. Qual è la scintilla della sua passione?
La vela era l’unico modo per vedere e raggiungere certi luoghi con un’altra prospettiva. Se si viaggia con i megayacht, non sempre è possibile visitare i luoghi a cui mi riferisco. Per esempio, non si poteva navigare il Rio delle Amazzoni. Trent’anni fa si potevano visitare luoghi come le Galapagos, in America Centrale, o le isole Tuamotu nel Pacifico solo con una barca a vela. La mia passione non è stare in mezzo all’oceano con onde enormi e venti gelidi, ma la vela è il modo migliore per circumnavigare il globo.

Parliamo della Coppa America. Cosa ci dice della scelta di Barcellona per la 37ª edizione?
L’America’s Cup a Barcellona è un grande risultato. Grant Dalton dedica molto tempo all’evento. Sarà un evento importante per Barcellona, il primo dopo le Olimpiadi del 1992. La Generalitat, il Consiglio esecutivo della Catalogna e il Comune hanno accettato con entusiasmo questo progetto così grande. Soprattutto, hanno capito che questi eventi accelerano la crescita della città e lo sviluppo delle infrastrutture. Stanno facendo una quantità incredibile di lavoro. L’avrebbero fatto comunque, ma grazie all’America’s Cup, l’hanno fatto prima e a un costo inferiore a causa dell’attuale inflazione.

In che modo la Coppa aiuterà la città?
In media, un turista si ferma da uno a due giorni, se arriva o parte con una nave da crociera si ferma per 4 ore. Un tifoso dell’America’s Cup invece resterà in città da sette a dieci giorni. In un hotel ora ti chiedono: “siete qui per l’America’s Cup?”. Questo cambio è piuttosto impressionante, ed è uno dei motivi per cui l’evento si svolgerà alla fine di agosto. Perché non c’è bisogno di riempire gli hotel in agosto, luglio o giugno, ma di prolungare la stagione. Avevamo ricevuto offerte da altre città; vorrei citare Malaga, Jeddah e Cork. Barcellona però è al centro dell’Europa e può ospitare eventi con i J Class, i Maxi, i 12 metri S.I. e altro ancora.

Louis Vuitton torna alla Coppa, forse è utile anche per riportare un’atmosfera per certi versi mai dimenticata. Cosa ne pensa?
Sì, sicuramente. Louis Vuitton resta sinonimo di America’s Cup e riporterà molto più di un’atmosfera. È un partner che, come ha dimostrato in 40 anni di storia, oltre al prestigio, sa come garantire la crescita dell’evento attraverso una collaborazione positiva e costruttiva.

Cosa vi aspettate dall’AC40?
Tra quelli formati dalle donne e dai giovani, ci saranno 24 squadre provenienti da 12 Paesi, comprese le sei che partecipano alla Coppa. L’equipaggio deve essere composto atleti che hanno la nazionalità di bandiera. Credo che alcune di queste squadre non sarebbero venute se non avessimo spostato la sede in Spagna. Barcellona si è rivelata ancora una volta un’ottima scelta. Più grandi sono i numeri, più pesanti sono le responsabilità, poiché le infrastrutture, il numero di persone, la durata dell’evento e gli obblighi logistici aumentano in proporzione.

E gli sfidanti? Gli piace il Barcellona?
Penso che i team siano soddisfatti di Barcellona. Mi sarebbe piaciuta anche Malaga, perché è una città più piccola, e Cork perché è una bellissimo campo di regata e si parla inglese e sarebbe stato più facile per le squadre comunicare.

È ancora vero che vincerà la barca più veloce?
In un certo senso questo è sempre stato vero. Con il foiling siamo passati però a un altro livello, che continuo a scoprire ogni giorno. Una volta raggiunta una certa velocità, intorno ai 50 nodi, il comportamento del foil lancia sfide diverse: la cavitazione infatti apre le porte a problemi completamente diversi. Quindi l’obiettivo non è quello di raggiungere la velocità più alta in assoluto, ma di mantenere la velocità media più elevata per tutta la regata.

Il gioco dell’America’s Cup sta cambiando nelle acque di Barcellona?
Facciamo un paragone con le corse automobilistiche: se si guida su un circuito molto accidentato, si devono avere un diverso assetto delle sospensioni, un set di pneumatici particolare, ecc. A Barcellona, le imbarcazioni navigheranno nel in prevalenza mosso. Di conseguenza dobbiamo adattare la forma e le dimensioni dello scafo e del foil a queste condizioni.  Progettisti e ingegneri ci dicono che è necessario un approccio diverso rispetto ad Auckland, dove si navigava principalmente in acque piatte.

Parliamo sempre di tecnologia e a volte dimentichiamo degli uomini che conducono le barche.
Il ruolo dei velisti non è meno importante di prima. E, a queste velocità, ogni piccolo errore è molto più costoso rispetto a dieci anni fa. È interessante: la tecnologia aumenta, ma anche le capacità dei velisti devono migliorare. Adesso cinque secondi per prendere una decisione possono essere troppi. Non si può guardare solo 20 metri davanti a sé, ma 200 metri più avanti. La vela in Coppa America è cambiata molto dopo l’edizione a Bermuda. Questi sono ormai aeroplani sull’acqua.

Uno dei punti di forza di ETNZ è la presenza di un cantiere navale.
Un aspetto positivo di Team New Zealand è che siamo l’unico team ad avere il proprio cantiere navale. Durante il Covid, avevamo portato delle roulotte in cantiere per far dormire lo shore team.  Siamo stati in grado di esprimere molte ore di lavoro anche ogni volta che siamo rimasti chiusi in lockdown, cosa che sarebbe stata difficile per un cantiere commerciale. Avere un cantiere proprio significa essere più veloci: si possono fare errori ma anche correggerli. Non bisogna aspettare che un fornitore metta a posto le cose e così si possono stabilire delle priorità.

Cosa racconta di Grant Dalton?
Il team che vince l’America’s Cup deve gestire l’evento, decidere le regole, ecc. Credo che Grant faccia probabilmente il lavoro di 20 persone anche perché tutti vogliono avere a che fare direttamente con lui. Per quanto riguarda il team, il suo punto di forza è saper identificare i punti deboli, concentrarsi su di essi e migliorare. È interessante notare che alcuni dei migliori team manager di Coppa America di tutti i tempi (Blake, Coutts, Dalton) sono neozelandesi. Si conoscono tutti fin dalla scuola, dove la maggior parte dei ragazzi impara a navigare. Anche perché nessuna località della Nuova Zelanda dista più di 100 km dalla costa.

Con il ritorno della Coppa in Europa, come ci si può evolvere senza applicare formule del passato?
Si può continuare ad andare avanti senza trasformare l’evento in uno spettacolo come sta facendo la Formula Uno. Ci sono diversi modi per farlo. Ad Auckland abbiamo introdotto un livello di copertura completamente nuovo, grazie alla qualità delle trasmissioni televisive. Volevamo che i commentatori spiegassero al pubblico cosa stava accadendo e perché. Le TV libere da diritti hanno reso felici i tifosi e gli sponsor. Abbiamo introdotto regola di nazionalità piuttosto rigida e ricordato che la vela non è uno sport d’élite. La Nuova Zelanda e l’Italia sono i Paesi che seguono di più l’America’s Cup, ma stiamo lavorando per ampliare il pubblico.

Ha una squadra preferita?
Team New Zealand è forte, ma ricordo anche che nella storia dell’evento nessuna squadra ha mai vinto tre volte di fila. Oggi, NYYC American Magic sembra molto in forma e molto concentrato. Tom Slingsby è estremamente forte. Terry Hutchinson ha il talento e l’esperienza per organizzare la squadra e gestire la campagna. Direi che gli americani sono i favoriti tra gli sfidanti.

 

 

 

Inizia la edizione numero 35 della America’s Cup. Si corre alle Bermuda, isole in mezzo all’Atlantico che oltre alle braghe corte da indossare con i calzini lunghi hanno ispirato a William Shakespeare il tema de La Tempesta: nei bar di Londra raccontano del naufragio della Sea Venture nel 1609 sui banchi di corallo a nord dell’isola e lui elabora.  La battaglia navale che si annuncia molto intensa è tra gli attori nella Coppa America numero 34 di San Francisco, è una re-match con qualche cambiamento: la misura delle barche, un timoniere. Il defender è Oracle, il sindacato del ricchissimo Larry Ellison condotto da Russell Coutts (uomo che ha vinto di più in Coppa)  che ha affidato l’equipaggio a James Spithill. Il challenger è Emirates Team New Zealand, che partecipa al match come defender o challenger fin dal 1995 con la sola interruzione del 2010. Il team è protetto da Matteo De Nora, di origini italiane, condotto da Grand Dalton un coriaceo organizzatore. Il timone è affidato a Peter Burling.  Si corre solo nei week end e questo lascia un buco enorme nel pubblico, ma apre la possibilità ai team di “ricostruire” le barche. E’ un vero vantaggio? Mica tanto, perché lo è per entrambi. Si corre al meglio di quindici regate, quindi la Coppa va al primo che vince sette regate. Sono tante. Il programma potrebbe finire domenica prossima o lunedì, se tutto fila come da programma. Per il primo week end  previsto vento debole che dovrebbe favorire i neozelandesi.

Nel 2010 a Valencia James Spithill a 31 anni è stato il più giovane timoniere a vincere la Coppa America, governava il mostruoso trimarano BMW Oracle e ha battuto Alinghi. In questi giorni Peter Burling può battere il suo record di gioventù: ha suoi 26 anni un sorriso neozelandese, la sua mascella forte ha una vaga somiglianza con quello sir Edmund Percival Hillary che a 34 anni ha scalato per l’Everest meritando di finire ritratto sulle banconote da 5 dollari neozelandesi. A Peter potrebbe davvero capitare un destino simile: la Nuova Zelanda vuole e ha bisogno della Coppa, non è solo una questione sportiva è per dare impulso a industria e turismo. Si sono già incontrati nelle fasi preliminari e Oracle ha vinto il confronto, tuttavia non è determinante: tutti i team sono cresciuti in questa fase di allenamento.

Nel mondo e nel villaggio della Coppa quasi tutti tifano kiwi, alle Bermuda sono gli unici tifosi, come sempre arrivati numerosi e pieni di bandiere, kiwi di pezza e infradito. I kiwi piacciono, sarà il peso delle sconfitte o più verosimilmente quel filo sottile che unisce il pubblico dagli atleti autentici.
Intendiamoci, non che l’equipaggio di Oracle non lo sia. Sarebbe un’offesa, chi non ricorda Spithill poco più che adolescente che in partenza a Auckland ingaggiava lotte feroci  nella Coppa del 2000. James Spithill e Tom Slingsby  sono marinai raffinati, e sulla carta forse pure più forti di Emirates almeno nel match race e infatti quello che si teme di più è l’aggressività di Spithill in partenza, dove sanno tutti che non lo batte nessuno.   Quello che non piace è la sottile arroganza del team americano, che ha sempre strappato il risultato con una certa violenza e poi per aver imposto al mondo conservatore della vela i catamarani volanti e un loro programma di regate già più o meno pronto per la prossima edizione, da correre nel 2019 con le stesse barche.

Quattro anni gli americani fa partivano con due punti di svantaggio, meritati per aver “taroccato” gli AC 45, le barche con cui correvano il circuito preliminare. Adesso ne hanno uno di vantaggio per aver vinto le fasi preliminari dove regatavano assieme ai challenger. Un punto  che può essere determinante come riconosciuto da tutti. Attenzione, nel gioco dei punteggi è un meno uno per New Zealand, significa che Oracle deve comunque vincere sette regate e i kiwi otto.

Non solo quello, hanno un vantaggio un poco più complesso da spiegare. I neozelandesi in qualità di sfidanti hanno avuto la possibilità di costruire una sola barca. Ai defender invece due che in realtà non hanno in realtà costruito. Ma… Softbank Team Japan ha usato una piattaforma  (di dice così del catamarano) costruita dal cantiere di Coutts ed Ellison in Nuova Zelanda praticamente identica a Oracle e per i requisiti di nazionalità bastano poco più di due metri di prua costruita nel paese di bandiera per far diventare magicamente tutta la barca di quella nazionalità. Insomma, cambiando le due prue rosse la barca giapponese diventa americana. Potrebbe servire per una capriola, per un guasto. Questo potrebbe consentire agli americani di essere un poco più aggressivi, meno conservativi soprattutto in partenza.