Barcolana… bella storia. Abbiamo tagliato il traguardo con il fiocco da bora mentre era quasi bonaccia lì vicino al Castello di Miramare, tirando giù madonne per non avere cambiato in tempo la vela. Il totalizzatore segna comunque 239 esimo posto, non è male per il nostro equipaggio, come molti, dedito più a proteggere la barca da collisioni e raffrescare il verduzzo che a vincere. Ma, si sa, quando sei tra le boe i canini spuntano sempre e allora cominci a pensare che dovevi partire più deciso, schiantare tutti in boa e via così. Con un genoa, un gennaker un po’ magro lì all’arrivo si poteva fare uno slalom tra quelli che hanno sempre le vele troppo cazzate e pensano che la scotta sia un acceleratore, più tiri più vai, anche quando il vento ti soffia dietro l’orecchia e lo senti rinfrescare la schiena, per mangiarne via una cinquantina. La Barcolana, era alla edizione numero 43, resta sempre una grande regata, inarrivabile da molte del mondo per atmosfera. Ha vinto Esimit Europa 2 Gazprom, come l’anno scorso, ma non ha battuto il record per soli due minuti. Alla Cowes Week, non a caso si corre attorno all’isola di Wight, posto dove è nata la Coppa America ma anche il mondo beat dei figli dei fiori e dove di trovano molti motociclisti tatuati per il Tourist Trophy, si divertono e bevono molto. Ma sono di meno, e arrancano faticosamente contro la corrente del Solent. A Sydney e a Auckland si danno da fare in prove più tecniche. Ma non abbiamo notizia di una regata che arrivi a sfiorare i 2000 iscritti. Quest’anno la bora ha tenuto lontana qualche barca e l’edizione record resta quella del 2001 con 1968 iscritti. Quando arrivi attorno al duecentesimo posto per cambiare umore basta guardare dietro: ci sono almeno altre 1500 barche ancora in regata. Quando riparti dopo aver sbarcato l’equipaggio per il porto di ormeggio tanti sono ancora li ad arrancare. Sembra perfino impossibile che ci sia tanta gente che sel a prende così tranquilla e pacifica. E’ anche il giorno della bontà nazionale per Guardia Costiera, Guardia di Finanza, Polizia e tutti gli altri corpi di polizia con forze marittime: collaborativi e gentili da non credere. Altri organizzatori ci hanno provato in altre città, hanno provato a far nascere altri eventi. Non si tratterebbe neanche di concorrenza, perché è evidente che il Tirreno non ha una prova simile. Però forse è il sistema, la città diversa. A Trieste tutti la vogliono, le banchine del porto vecchio si possono riempire senza troppe formalità di mille e più barche. La domanda è: a Genova, Livorno, Fiumara, Napoli potrebbe succedere? Facciamolo succedere.

L’anno scorso il fatturato conquistato all’interno del Gruppo Beneteau dalle barche a motore ha superato quello delle barche a vela. I due marchi principali del gruppo, Beneteau e Jeanneau, hanno sempre fatto la parte del leone nel mercato mondiale delle barche a vela, facendone stabilmente il primo cantiere al mondo. Nonostante gli attacchi portati dal gruppo Bavaria e altri che sono nati nel tempo, come il blocco Dufour- Del Pardo, acquisito da Bavaria dopo un disastro finanziario provocato da un indebitamento eccessivo, peraltro un male comune a molti cantieri finiti in mano ai fondi di investimento. Adesso il gruppo Bavaria tenta il rilancio con il manager Jens Ludman che arriva dalla Ford Europe che ha affidato Del Pardo a Ruggero Gandolfi. Il sorpasso di cui abbiamo scritto è però sintomatico della fatica del mercato delle barche a vela che soffre di tutto: soprattutto mancanza di prodotti nuovi, completi, totali. Per anni la parola “innovativo” si è sposata non con la sostanza ma con il colore, al massimo la velocità e purtroppo la fragilità. Ma dove hanno lavorato tanto i produttori di motoscafi, il layout degli interni per esempio, la barca a vela è per troppo tempo uguale a se stessa, con i letti a cuccia, i bagni strettini, le scale ripide. Mancano anche le vocazioni. Si, mancano i velisti. Ma fermiamoci al prodotto barca, intanto il processo del design che ha perso una delle connotazioni fondamentali della epoca eroica della barca a vela, la figura del progettista velista, di quello che viveva su quello che disegnava e sul mare con una sensibilità di prodotto particolare. In questo panorama, tuttavia le novità ci sono e guarda caso è proprio il gruppo Beneteau che trasforma le suggestioni innovative degli anni scorsi, proposte dai designer più aggressivi, in prodotti di serie prendendo il buono che ha scoperto. Significa che ci si può fidare finalmente a proporre il nuovo che sembrava solo “strano”. Beneteau è partito dal progetto pilota dei Sense e poi ha applicato quello che era stato digerito meglio alla gamma Oceanis, quella da crociera per elezione, che è sempre stata piuttosto classica anche quando era innovativa. I nuovi Oceanis hanno per esempio la carena con lo spigolo a poppa, una forma presa a prestito dalle barche che fanno le regate in oceano (la cui utilità possiamo anche discutere nella crociera), ma soprattutto mettono mano agli aspetti funzionali dentro e fuori in maniera decisa, con spazi diversi, forme diverse. Al momento i modelli nuovi sono tre 41, 45 e 48 piedi, a testimoniare la contaminazione con il mondo del motore e il desiderio di attrarre motoristi pentiti, succede che sulla tuga svetta il roll bar tipico dei motoscafi. Più “normale” il lavoro fatto da Jeanneau con la serie 379, 409, 439, 509, modelli presentati nell’ultimo anno. Il 509, con qualche difettuccio superabile, è una barca davvero completa che dice comunque qualcosa di nuovo nel settore delle ammiraglie medie. Con quindici metri sotto il sedere si può partire per il giro del mondo (anche se esistono molti che lo hanno fatto con barche più piccole) avendo a bordo quelle dotazioni che fanno comfort e autonomia, come il dissalatore, il generatore, talvolta l’aria condizionata, oppure fare una vita quasi terrestre con spazi adeguati, letti grandi. Per gli amanti dell’oceano, delle traversate atlantiche il cantiere francese Amel, fondato da un caparbio personaggio che ha inventato una filosofia del mare, propone il nuovo 55 piedi. La filosofia generale è la vecchia: pozzetto centrale, poche cabine tanta autonomia con molto spazio per chi vive davvero a bordo. La carena e molte funzioni però sono tutte nuove come uno stile degli interni un poco meno spartano. E’ uno dei pochi esempi di barca davvero da crociera, su cui passare anche quindici, venti giorni in navigazione vivendo una vita quasi normale. Molto diverso dal fermarsi ogni sera in un porto con ristorante. Interessante la novità del cantiere danese X Yachts, che con XP 44 presenta una barca da regata crociera, una formula ancora molto usata, in cui dedica più attenzione del solito agli interni, non tanto dal punto di vista della qualità e quantità delle finiture quando da quello degli spazi, delle altezze sopra i letti, delle funzioni. Di tendenza la barca disegnata da Alessandro Vismara e dotata di motore ibrido: oltre al tradizionale diesel un motore elettrico che può funzionare anche da generatore. L’autonomia in regime elettrico è di sei ore, le cabine per i suoi quindici metri sono solo due, ma molto comode. Il panorama dei cantieri italiani è meno brillante, Del Pardo cerca di uscire da una crisi molto dura e presenta un nuovo 39 piedi, numero scelto non a caso, perché il vecchio Grand Soleil 39 è stato uno dei modelli del cantiere, che tuttora conserva una valutazione da usato superiore a molte barche che ne erano concorrenti. La produzione del cantiere di Forli è destinata a cambiare con l’arrivo del nuovo manager e una revisione completa di tutta la gamma che molto probabilmente crescerà di dimensioni. Novità possono arrivare dal cantiere SeRiGi, entrato nell’orbita del vecchio proprietario di Del Pardo, il 37 presentato al Salone di Genova è una “bomboniera”, una piccola grande barche che può piacere a chi sta facendo una operazione di downshift, cioè a chi arriva da dimensioni maggiori e che vuole ritrovare finiture di pregio su una misura più gestibile. La sua tradizione è quella di costruire barche di qualità assoluta, che hanno vissuto alcune stagioni importanti, come concorrente nostrano dei più forti cantieri dell’Europa del nord. Era una scelta particolare di pochi armatori, ma che li ha resi spesso felici. La sua produzione è slittata verso modelli da regata crociera più contemporanei.

Un tempo, mica tanto lontano, i progettisti pensavano solo a riempire come possibile una carena “perfetta”, un’idea che non ha abbandonato alcuni progettisti molto innamorati delle loro forme e troppo sicuri che per le prestazioni non si debba scendere a compromessi. Mah.. il tempo passa per tutti e sono arrivati nuovi strumenti per il progetto e alcuni cantieri furbi hanno capito che era del tutto inutile torturare chi dormiva in dinette con una landa che passava in mezzo al letto, da circondare con le gambe. Qualcuno insomma ha cominciato a capire che spostando un poco il letto si riusciva a mantenere un livello di comfort più umano e la barca non cambiava, oppure che quella landa poteva tranquillamente essere ancorata in un’altra posizione. Sono stati decisivi programmi di modellazione a tre dimensioni che erano impossibili da concepire ai tempi dei piombi e le listelle di pero e dove stava tutto alla sensibilità del progettista “sentire” il vlume. Ma quella nuova è anche una filosofia che cambia leggermente il punto di vista: la barca vista come progetto totale, non come carena riempita. Del resto le automobili sono fatte così: si parte da un abitacolo con misure “ergonomiche” (e questa parola è sempre usata a sproposito nella nautica, tanto che andrebbe abolita) una cellula vitale che definisce la classe della vettura a cui si aggiunge il resto. Le auto sono cresciute di dimensione, per inciso, a parità di cellula per rispettare le norme anti crash e quindi migliorare il livello di protezione. Il modo distratto di gestire gli interni delle barche non è mica abolito del tutto, capita di salire a bordo di novità dove si capisce che l’attenzione dedicata allo spazio è minore di quella dedicata al piano velico. Eppure quattro o sei letti pesano uguale, che siano fatti bene o male, un frigorifero pure, un tavolo da carteggio anche. Spesso il risultato non è una questione di peso, di costo, ma solo di attenzione e volontà. In questa trappola non è caduto il grupo Beneteau, che sta producendo una innovazione tremenda. Il pianetto è quello del nuovo Sun Odyssey 509, una bella macchina da crociera. Ma più si sale in dimensione peggio è, perché alle necessità veliche si aggiungono quelle stilistiche secondo una bizzarra visione del design minimale, nato per togliere la inutile decorazione e premiare la funzione e finito per essere decorazione talvolta senza funzione. Povero Van der Rohe: “the less is more…”. Ma questa è la storia del Post Moderno che vi lasciamo scoprire. Facciamo un esempio? La cabina marinaio… chi possiede un sessanta piedi ha per forza un marinaio: ricco, anche se sa navigare, non vuole lavare il ponte. Il marinaio si contenta, ma perchè su un Beneteau 50 da noleggio si quindici anni fa il problema era risolto con lusso di spazio e su un bestione di oggi non si riesce e si va alla ricerca di alibi, giustificazioni sul fatto che non si fa più grande crociera? E’ strano come alcune esperienze forti di layout di interni, come il progresso di qualche anno fa nell’uso del volume si sia un poco perso per strada. Le cause? Mah da una parte forse l’innamoramento da parte dei cantieri verso una generazione di progettisti troppo giovani usciti dalle scuole di design che hanno per il momento portato innovazione solo nel colore e negli spigoli inutili. Poi forse la atavica necessità di riscoprire l’ovvio.