Il Corriere della Sera riporta una prima dichiarazione di Patrizio Bertelli, raccolta poco dopo l’incidente di San Francisco. “Per continuare la sfida ci devono dare garanzie, altrimenti niente, il team è libero di scegliere se continuare o no,  ma con uno sport estremo servono garanzie”.
Sia Bertelli sia lo skipper Max Sirena fin dall’incidente di Oracle, avevano manifestato molti dubbi sulla sicurezza degli AC 72 e come il rischio per i velisti sia molto salito.
Max Sirena skipper di Luna Rossa ha dichiarato al New York Times “Sono barche troppo potenti, quando si è ribaltato Oracle ho subito pensato che non sarebbe stato l’unico, che gli indenti e le rotture sarebbe stati eventi da temere e con cui confrontarsi. E’ successo di nuovo. Del resto questo è lo sport e questi sono i rischi che ci prendiamo”. Anche durante il varo di Auckland lo scorso anno Sirena e Bertelli avevano dedicato molto tempo al tema della sicurezza. Ogni team ha affrontato allenamenti specifici in piscina e a bordo per saper reagire a queste situazioni nel modo migliore.
C’è da aspettarsi che nei prossimi giorni i team si riuniranno per stabilire un nuovo e piu stringente protocollo di sicurezza sia per gli allenamenti sia per le regate.

Non è la prima volta che si muore in Coppa America, era successo anche con i monoscafi nel 1999, in preparazione per la Coppa del 2000 di Auckland, quando lo spagnolo Martin Wizner è stato colpito alla testa da un pezzo del rigging che si era rotto a bordo della barca spagnola schierata da Desafio Espana di Pedro Campos.

Nella foto Max Sirena e Patrizio Bertelli durante le regate di Valencia nel 2007

Andrew “Bart” Simpson era uno di quei ragazzoni che passano i cento chili, sereni e coscienti della loro forza. Con il timoniere Iain Percy, uno dei grandi talenti della vela inglese, aveva vinto due medaglie alle Olimpiadi, un oro e un argento. Erano cresciuti insieme fin da ragazzi, avevano navigato tanto insieme prima da avversari sui singoli e poi in Star e su tante barche tra cui + 39. Iain era stato anche il testimone di nozze di Andrew. Una storia di successo e talento,  i due navigavano anche su Artemis, sfidante e Challenger of Record per la 34 esima edizione della Coppa America. Gli altri sfidanti che secondo il programma dovrebbero incontrarsi da luglio a fine agosto per conquistare il diritto alla sfida con il defender Oracle, lo ricordiamo, sono Emirates Team New Zealand e Luna Rossa.
Andrew è morto durante un banale allenamento nella baia di San Frnacisco. Intanto la dinamica dell’incidente: mentre la barca navigava a una velocità media, la traversa anteriore, ovvero l’elemento che collega i due scafi davanti all’ala, si è spezzata. A quel punto i due scafi hanno cominciato a muoversi in direzioni diverse, non più trattenuti tra loro, fino a quando si rotto tutto e ribaltato sotto la pressione dell’ala. Non è stato un errore di manovra, ne l’effetto delle condizioni del vento e del mare, è stato un cedimento della struttura a provocare l’incidente.  Il vento era di 18 / 20 nodi, condizioni più leggere di quelle che l’anno scorso avevano portato al ribaltamento di Oracle, spettacolare ma senza vittime. Cadendo nel groviglio di pezzi Andrew Simpson è rimasto intrappolato sott’acqua per dieci quindi minuti assieme a Craig Monk, altro espertissimo marinaio che per fortuna si è ripreso, al contrario di Andrew, una volta riportato a terra. Dopo l’incidente di Oracle del 2012 i team si erano scambiati molte notizie, oltre a proteggere il corpo con abbigliamento adeguato, come il casco e il salvagente sul torace, avevano deciso di adottare una bomboletta personale con l’ossigeno proprio per questi casi. Purtroppo però la bomboletta si può usare se non si perde conoscenza, una volta portato a terra tutti i tentativi di rianimarlo sono stati inutili.
La barca era la prima costruita dal sindacato svedese condotto da Paul Cayard (che in California è di casa), una barca che fin dall’inizio aveva dichiarato le sue debolezze, passando dal mare al cantiere per essere rinforzata proprio nella traversa che ha ceduto. I suoi limiti venivano anche dal fatto che non era progettata per “volare” (foiling) sull’acqua come lo sono Emirates Team New Zealand e Luna Rossa che hanno una struttura totalmente diversa e un assetto in navigazione molto più adatto a questa condizione. Le due barche che si sono ribaltate, anche la prima Oracle, non lo erano ed erano state adattate a questa nuova condizione. L’incidente mortale, e nella vela finora questo rischio era tipico solo di prove impegnative attorno al mondo e con un numero di vittime veramente esiguo, apre la polemica sulla pericolosità di questi catamarani classe AC72 voluti da Russell Coutts per disputare la prossima edizione della Coppa, che è sei sempre stata un palcoscenico per le innovazioni, ma non era mai arrivata a tanto. Di certo la Coppa America, già menomata di molti abituali partecipanti per via della crisi economica ma anche per la scelta di questi catamarani costosi e difficili, non aveva bisogno di questo duro colpo di immagine. Fin dai primi commenti pochi hanno rilevato come la barca si sia banalmente rotta, quasi tutti hanno alzato la bandiera del pericolo o della velocità, peraltro ampiamente annunciati da molti skipper. Ma la velocità massima non è diversa da quella raggiunta dai monoscafi condotti anche da velisti soliari attorno al mondo o a molti trimarani oceanici.
Nelle premesse tutto doveva somigliare allo spettacolo della F1, solo che le auto sono arrivate a un livello di sicurezza dopo anni di esperienza ben diverso.  Tuttavia, va ripetuto, siamo di fronte a una barca che fin dall’inizio aveva mostrato i suoi limiti: quella stessa traversa si era rotta alle prime uscite con gli scafi al traino e con ogni evidenza la struttura non è mai stata adeguata. Dicono che l’arroganza di Juan Kouyoumdjian che fin dall’inizio non abbia voluto ascoltare e guardare strutture diverse da quella che ha impostato abbia un peso in quello che è successo. In una recente intervista su Yacht Capital Giovanni Belgrano, uno dei progettisti di New Zealand, mette in evidenza come Artemis sia una barca pericolosa per la distribuzione di pesi e volumi oltre che per la struttura tradizionale, scelta per avere meno windage ma molto più fragile della X scelta per New Zealand e Luna Rossa.
Del resto un conto è trovarsi in solitario su una barca di diciotto metri in mezzo alle tempeste dei mari del sud e altro e navigare nella baia di San Francisco circondati da gommoni e barche appoggio. Qui non si sfida affatto la natura, non ci sono onde grandi come la barca. La sfida è stata soprattutto con il progetto e la costruzione della barca più che con tutto il resto. Qualcuno forse ricorda gli incidenti senza danni alle persone occorsi anche alle barche tradizionali: Australia One che va a fondo nella baia di San Diego in pochi secondi spezzata in due, senza danni alle persone, oppure nel 2000 Young America miracolosamente tenuta a galla dopo aver subito lo stesso incidente: cedimento della coperta. Cambieranno i regolamenti? Non si sa, di sicuro ci saranno riunioni tra i sindacati e con ogni probabilità gli americani tenteranno di proibire il soling per avere da questo incidente dei vantaggi nei confronti di Luna Rossa e New Zealand. Ad Artemis resta la seconda barca, quella buona, per affrontare le regate di selezione.

 link da vedere:

http://www.guardian.co.uk/sport/2013/may/10/andrew-simpson-dies-yacht-capsizes

http://www.wired.com/autopia/2013/05/americas-cup-boat-crash

http://www.youtube.com/watch?v=99xnJSBRzkE

http://www.independent.co.uk/sport/general/sailing/andrew-simpson-a-landlocked-lad-who-caught-the-sailing-bug-8610276.html

 

Questa intervista è stata realizzata qualche mese fa, ma diventa di estrema attualità in questi giorni…

Giovanni Belgrano è uno dei progettisti più esperti in Coppa America, è tra i fondatori di SP System, che tutti conoscono come azienda riferimento quando si deve costruire in composito avanzato, ha una forte esperienza in struttura, da tempo fa parte del dream team di designer messo insieme da Emirates Team New Zealand con cui ha collaborato anche Luna Rossa. L’accordo di condivisione del design con il team italiano si è concluso con il 31 dicembre, ora non è più possibile condividere dati e progetti. Luna Rossa resta con un ottimo primo scafo, frutto soprattutto del design neozelandese, svilupperà le sue derive e una nuova ala. New Zealand ha un secondo scafo, che ha dimostrato di andare subito forte. Abbiamo incontrato Belgrano nella base kiwi di Auckland poco dopo il varo di Luna Rossa, che nel 2003 era di Alinghi.

Giovanni, in acqua con gli AC 72 mostrano tre scuole di pensiero, avete scelto strade molto diverse soprattutto nella struttura.

“Per disegnare il nostro Ac 72 siamo partiti da Alinghi 41, che avevo disegnato io e che è stata la base per Alinghi 5, da li siamo andati nettamente avanti. La struttura è a X, la migliore per i carichi in gioco e per volare. L’architettura convenzionale di Oracle, con le due traverse, per loro sarà un notevole handicap, è troppo elastica per poter fare il foiling con precisione ad alta velocità, inoltre la loro seconda ala non ha le sofisticazioni della nostra, che è in grado di twistare, cambiare incidenza con il vento secondo la quota. Artemis con la seconda barca ha deciso di ripartire da zero scegliendo una via molto diversa dalla prima, quindi saranno in un ritardo estremo, dubito possano arrivare ad un livello competitivo in tempo. Il cambiamento di rotta significa che si rendono conto di aver sbagliato, la prima barca aveva una distribuzione dei volumi e soprattutto dei pesi molto diversa dalla nostra, che alza subito le prue”.

Come naviga la vostra seconda barca?

“Dopo 10 giorni di prove ed allenamenti nelle prime 3 settimane di navigazione va velocissima, più veloce di quel che ci aspettavamo. E’ senza problemi, come la prima. Cercavamo piccole evoluzioni e raffinamenti, ma abbiamo ottenuto una sorprendente rivoluzione delle prestazioni… e per questo stiamo lavorando come bestie, perché vogliamo trovarne ancora!”.

Quale sarà la innovazione tecnologica più grande di questa Coppa?

“Lavoriamo tanto con i sistemi di misura e di calcolo. Ci sono talmente tante parti della barca che sono sollecitate che bisogna capire come interagiscono una con l’altra. Io sono connesso alla barca e ogni secondo vedo come ogni cambiamento di regolazione sollecita la struttura. Usiamo sistemi di misura con gli strain gauges e fibre ottiche e costruiamo in casa i sistemi di calcolo e condizionamento dei dati. Controlliamo anche la precisione delle regolazioni, che sono fondamentali. Bastano variazioni di mezzo grado nell’angolazione dei foil per cambiare radicalmente velocità. Un altro settore di scoperta saranno le resine e le tecniche di costruzione”.

Queste barche possono davvero rompersi?

“Quando si alza uno scafo, che ci siano 5 o 25 nodi i carichi non cambiano perché si raggiunge in un attimo il massimo dei carichi statici. La poggiata è la cosa più pericolosa e critica: c’è un enorme aumento deli momento raddrizzante dinamico e dell’accelerazione che significa aumento di resistenza che è quello che fa peggio ai catamarani. Tutte le barche moderne fendono e si immergono, fanno wave piercing,significa che quando la prua si immerge non aumenta la sua resistenza e in realtà il suo volume e la forma piano piano la riportano fuori. Anche per questo la coperta è a V e il fondo piatto”.

Con cosa si vince?

“Se vogliamo dividere in percentuale darei il 40% all’ala, agli scafi 15%, alla piattaforma strutturale il 15%, per le appendici il 30%. L’ala insomma fa la parte del leone, è la cosa più importante. All’inizio della progettazione abbiamo usato 4 soluzioni diverse per la piattaforma e siamo andati avanti con tutte per molto tempo, scartando piano piano quello che non serviva. Usiamo moltissimo il CFD, abbiamo fatto un anno e mezzo di test con il 33 piedi e continuiamo a lavorare con gli spessori delle pinne. E’ un lavoro enorme, già un VOR 70 è molto più complesso di un vecchio Coppa America. Abbiamo usato la galleria del vendo di Auckland abbiamo messo subito un ala per capire il coefficiente di portanza e varie volte abbiamo provato le vele, le nostre sono molto più piccole delle altre”.

nella foto uno dei test effettuati in piscina dall’equipaggio di New Zealand per imparare a usare i sistemi di emergenza e le bombolette personali di ossigeno.