Luna Rossa ha eluso ogni indicazione del panel che sta svolgendo l’inchiesta sulla morte di Simpson e dopo aver montato la barca in una giornata perfetta per i primi collaudi è uscita in mare. Del resto si sa che la responsabilità, soprattutto nel mondo anglo sassone, è sempre dello skipper… dunque se lo skipper vuol navigare si naviga, soprattutto dopo che si cominciano a scoprire gli altarini. Solo noi in Europa ci facciamo avvolgere da una nuvole di norme a tutela della sicurezza che poi sono solo scuse per tutelare altri che non sono il cittadino, dalle assicurazioni ai responsabili dei collaudi.

Giornata soddisfacente per Luna Rossa, ma anche una bella occasione per dire “ma noi la barche le sappiamo fare”. Artemis, lo sanno un po’ tutti, si rompeva ogni giorno di navigazione. Siccome siamo abituati a convivere con delaminazioni e riparazioni, forse questo  era stato sottovalutato fino a diventare un fatto grave.

Ma il vero pericolo, che si leggeva bene tra le righe della dichiaraizone di Bertelli, è che con l’aiuto del panel si vogliano cambiare le regole, impedendo il foiling, e molto probabilmente era questa la vera dichiarazione di Patrizio che si può forse riscrivere cosi: “se ci impediranno di volare ci ritiriamo davvero”.

La tecnologia è sempre stata aggressiva in Coppa. Perfino la goletta America, la prima, era costruita e pensata forzando le abitudini.
Alcuni J class, che adesso ammiriamo come barche con la B erano costruiti sapendo che i metalli non avrebbero retto nel tempo, solo per correre. Dunque qui è errore di prospettiva pensare che la colpa dell incidente sia del regolamento e non di come era costruita la barca. Al di la di tutte le considerazioni sul potenziale spettacolo e la validità del match racing con questi catamarani. Come ha fatto notare Bertelli con Luna Rossa  hanno navigato 40 giorni senza incidenti. Dunque si può come si e potuto fare il giro del mondo con Cheyenne o Banque Populaire, Club Med che Dalton ben conosce. Il problema vero e che dato un regolamento ETNZ e Luna Rossa hanno fatto buone barche mentre Oracle e Artemis no. E adesso vogliono forse impedire il foiling per tornare in vantaggio.

Ma il titolo riporta un articolo interessante del New York Times, che sintetizza i fatti degli ultimi giorni, che si trova al link qui sotto:

 

http://www.nytimes.com/2013/05/20/sports/americas-cup-changes-are-sought-after-death-of-sailor.html?smid=pl-share

Qui invece il famoso blog SailAnarchy, aggressivo e pungente, si lascia un po andare…

http://sailinganarchy.com/2013/05/20/va-fanculo/

 

 

Patrizio Bertelli volato a San Francisco dopo la tragedia di Artemis ha convocato una conferenza stampa  in cui ha spiegato il punto di vista di Luna Rossa e raccontato i passi fatti in questa settimana. In una situazione che non è molto chiara il team, riunito da Bertelli ha deciso come comportarsi nelle prossime settimane per aumentare la sicurezza dei velisti.  L’equipaggio si è dichiarato fiducioso di poter gestire Luna Rossa e Luna Rossa non accetterà cambiamenti del Protocollo che non siano nella direzione della sicurezza ma che utilizzino la tragedia successa per modificare le regole di regata in maniera che favoriscano altri team. Luna Rossa non accetterà imposizioni dall’alto. Tra le righe si comprende come nelle riunioni che ci sono stati sia concreto il sospetto che qualcuno voglia limitare i vantaggi che Luna Rossa ed Emirates Team New Zealand hanno nel foiling nei confronti dei suoi avversari. Va ricordato che Oracle e Artemis hanno costruito le loro prime barche senza prevedere questa possibilità e tra incidenti e aggiornamenti hanno perso molte settimane di allenamento, mentre Luna Rossa e ETNZ hanno macinato senza incidenti giorni e giorni di allenamento: che le barche siano migliori? Di fatto Oracle e Artemis sono sindacati che hanno una sola barca valida e  la distruzione della prima piattaforma Artemis, che si era comunque già dimostrata inservibile in regata,limita il team nella sperimentazione di ali e componenti.
Dopo la morte di Andrew Simpson è iniziata una settimana di silenzio assordante, in cui nessuno ha sentito il dovere di spiegare fatti semplici. In quello che è accaduto  bisogna accettare anche un dose di fatalità negativa, la storia ci racconta tragedie con ogni tipo di barca ma anche storie di buona sorte, è andata bene a molti velisti con mari ben peggiori e senza assistenza. E’ ovvio fare il paragone con un solitario che naviga a 50 gradi di latitudine sud con pilota automatico planando a 30 nodi e più. C’è chi si è ribaltato e rimasto dentro la barca relitto in una bolla d’aria per giorni prima di essere salvato (uno per tutti il salvataggio di Tony Bullimore).
E’  incredibile che Russell Coutts si sia limitato a poche righe ufficiali e che alle riunioni dei team riprese dalle telecamere abbia mandato James Spithill, certo è il timoniere ma non è l’uomo che ha preso le decisioni che adesso pesano sulla Coppa. Anche Larry Ellison tace, anzi la sera della tragedia ha presentato un libro.
Da mesi questa, nei fatti fondamentali,  è la Coppa del Silenzio, in cui chi la gestisce non sente alcun dovere nei confronti del pubblico che infatti è sempre più lontano e distratto. Non basta nominare una commissione di esperti (senza neanche un italiano… su tre soli sfidanti ci poteva stare). Costruita sullo spettacolo scegliendo barche estreme si fonda su un errore di fondo: pensare che siano la barche e non gli uomini a far la battaglia sul campo e quindi lo spettacolo, e pensare che lo stesso formibabile (bisogna riconoscerlo) sistema di ripresa on board non possa rendere spettacolari barche più sicure e in fondo adatte al match race.  Se non ci piacciono le sportellate tra Luna Rossa e America One del 2000 ci sono quelle in Australia di Dennis Conner con i 12 metri SI. Eppure le regate di Napoli sono state una grande lezione di come il pubblico possa arricchire l’evento e anzi sia fondamentale,  è stato un pubblico incredibili e unico nella vela, ci sono pochi posti e poche regate al mondo dove il lungo mare si riempie di 150 mila spettatori: il Solent per la Whitbread (lacrimuccia per un patrimonio perduto a favore del marketing moderno), Auckland, Sydney, la Bretagna.  Certo, la vela è uno sport difficile da raccontare, da spiegare, ma ci si può riuscire se si esce dalla dimensione “lifestyle” per entrare in quella “sport”: operazione difficile ma del tutto possibile, abbiamo digerito regole e spettacolo ben più complessi.
La disgrazia è stata un colpo feroce in uno sport che vive ancora di snobismo e che crede che la distanza sia un valore.  Non è così, e se la vela è uno sport isolato, che fatica a trovare una dimensione professionale e autentica e quindi sponsor tra i motivi si sono anche proprio in questo modo di gestire il pubblico pensando che non sia un essere intelligente, che ragiona. La folla, per quanto leggera, di solito sa riconoscere i suoi campioni, chi vince bene e chi perde con dignità.

 

http://www.youtube.com/watch?v=xyunIljH63I&feature=youtu.be

 

Il Corriere della Sera riporta una prima dichiarazione di Patrizio Bertelli, raccolta poco dopo l’incidente di San Francisco. “Per continuare la sfida ci devono dare garanzie, altrimenti niente, il team è libero di scegliere se continuare o no,  ma con uno sport estremo servono garanzie”.
Sia Bertelli sia lo skipper Max Sirena fin dall’incidente di Oracle, avevano manifestato molti dubbi sulla sicurezza degli AC 72 e come il rischio per i velisti sia molto salito.
Max Sirena skipper di Luna Rossa ha dichiarato al New York Times “Sono barche troppo potenti, quando si è ribaltato Oracle ho subito pensato che non sarebbe stato l’unico, che gli indenti e le rotture sarebbe stati eventi da temere e con cui confrontarsi. E’ successo di nuovo. Del resto questo è lo sport e questi sono i rischi che ci prendiamo”. Anche durante il varo di Auckland lo scorso anno Sirena e Bertelli avevano dedicato molto tempo al tema della sicurezza. Ogni team ha affrontato allenamenti specifici in piscina e a bordo per saper reagire a queste situazioni nel modo migliore.
C’è da aspettarsi che nei prossimi giorni i team si riuniranno per stabilire un nuovo e piu stringente protocollo di sicurezza sia per gli allenamenti sia per le regate.

Non è la prima volta che si muore in Coppa America, era successo anche con i monoscafi nel 1999, in preparazione per la Coppa del 2000 di Auckland, quando lo spagnolo Martin Wizner è stato colpito alla testa da un pezzo del rigging che si era rotto a bordo della barca spagnola schierata da Desafio Espana di Pedro Campos.

Nella foto Max Sirena e Patrizio Bertelli durante le regate di Valencia nel 2007

Andrew “Bart” Simpson era uno di quei ragazzoni che passano i cento chili, sereni e coscienti della loro forza. Con il timoniere Iain Percy, uno dei grandi talenti della vela inglese, aveva vinto due medaglie alle Olimpiadi, un oro e un argento. Erano cresciuti insieme fin da ragazzi, avevano navigato tanto insieme prima da avversari sui singoli e poi in Star e su tante barche tra cui + 39. Iain era stato anche il testimone di nozze di Andrew. Una storia di successo e talento,  i due navigavano anche su Artemis, sfidante e Challenger of Record per la 34 esima edizione della Coppa America. Gli altri sfidanti che secondo il programma dovrebbero incontrarsi da luglio a fine agosto per conquistare il diritto alla sfida con il defender Oracle, lo ricordiamo, sono Emirates Team New Zealand e Luna Rossa.
Andrew è morto durante un banale allenamento nella baia di San Frnacisco. Intanto la dinamica dell’incidente: mentre la barca navigava a una velocità media, la traversa anteriore, ovvero l’elemento che collega i due scafi davanti all’ala, si è spezzata. A quel punto i due scafi hanno cominciato a muoversi in direzioni diverse, non più trattenuti tra loro, fino a quando si rotto tutto e ribaltato sotto la pressione dell’ala. Non è stato un errore di manovra, ne l’effetto delle condizioni del vento e del mare, è stato un cedimento della struttura a provocare l’incidente.  Il vento era di 18 / 20 nodi, condizioni più leggere di quelle che l’anno scorso avevano portato al ribaltamento di Oracle, spettacolare ma senza vittime. Cadendo nel groviglio di pezzi Andrew Simpson è rimasto intrappolato sott’acqua per dieci quindi minuti assieme a Craig Monk, altro espertissimo marinaio che per fortuna si è ripreso, al contrario di Andrew, una volta riportato a terra. Dopo l’incidente di Oracle del 2012 i team si erano scambiati molte notizie, oltre a proteggere il corpo con abbigliamento adeguato, come il casco e il salvagente sul torace, avevano deciso di adottare una bomboletta personale con l’ossigeno proprio per questi casi. Purtroppo però la bomboletta si può usare se non si perde conoscenza, una volta portato a terra tutti i tentativi di rianimarlo sono stati inutili.
La barca era la prima costruita dal sindacato svedese condotto da Paul Cayard (che in California è di casa), una barca che fin dall’inizio aveva dichiarato le sue debolezze, passando dal mare al cantiere per essere rinforzata proprio nella traversa che ha ceduto. I suoi limiti venivano anche dal fatto che non era progettata per “volare” (foiling) sull’acqua come lo sono Emirates Team New Zealand e Luna Rossa che hanno una struttura totalmente diversa e un assetto in navigazione molto più adatto a questa condizione. Le due barche che si sono ribaltate, anche la prima Oracle, non lo erano ed erano state adattate a questa nuova condizione. L’incidente mortale, e nella vela finora questo rischio era tipico solo di prove impegnative attorno al mondo e con un numero di vittime veramente esiguo, apre la polemica sulla pericolosità di questi catamarani classe AC72 voluti da Russell Coutts per disputare la prossima edizione della Coppa, che è sei sempre stata un palcoscenico per le innovazioni, ma non era mai arrivata a tanto. Di certo la Coppa America, già menomata di molti abituali partecipanti per via della crisi economica ma anche per la scelta di questi catamarani costosi e difficili, non aveva bisogno di questo duro colpo di immagine. Fin dai primi commenti pochi hanno rilevato come la barca si sia banalmente rotta, quasi tutti hanno alzato la bandiera del pericolo o della velocità, peraltro ampiamente annunciati da molti skipper. Ma la velocità massima non è diversa da quella raggiunta dai monoscafi condotti anche da velisti soliari attorno al mondo o a molti trimarani oceanici.
Nelle premesse tutto doveva somigliare allo spettacolo della F1, solo che le auto sono arrivate a un livello di sicurezza dopo anni di esperienza ben diverso.  Tuttavia, va ripetuto, siamo di fronte a una barca che fin dall’inizio aveva mostrato i suoi limiti: quella stessa traversa si era rotta alle prime uscite con gli scafi al traino e con ogni evidenza la struttura non è mai stata adeguata. Dicono che l’arroganza di Juan Kouyoumdjian che fin dall’inizio non abbia voluto ascoltare e guardare strutture diverse da quella che ha impostato abbia un peso in quello che è successo. In una recente intervista su Yacht Capital Giovanni Belgrano, uno dei progettisti di New Zealand, mette in evidenza come Artemis sia una barca pericolosa per la distribuzione di pesi e volumi oltre che per la struttura tradizionale, scelta per avere meno windage ma molto più fragile della X scelta per New Zealand e Luna Rossa.
Del resto un conto è trovarsi in solitario su una barca di diciotto metri in mezzo alle tempeste dei mari del sud e altro e navigare nella baia di San Francisco circondati da gommoni e barche appoggio. Qui non si sfida affatto la natura, non ci sono onde grandi come la barca. La sfida è stata soprattutto con il progetto e la costruzione della barca più che con tutto il resto. Qualcuno forse ricorda gli incidenti senza danni alle persone occorsi anche alle barche tradizionali: Australia One che va a fondo nella baia di San Diego in pochi secondi spezzata in due, senza danni alle persone, oppure nel 2000 Young America miracolosamente tenuta a galla dopo aver subito lo stesso incidente: cedimento della coperta. Cambieranno i regolamenti? Non si sa, di sicuro ci saranno riunioni tra i sindacati e con ogni probabilità gli americani tenteranno di proibire il soling per avere da questo incidente dei vantaggi nei confronti di Luna Rossa e New Zealand. Ad Artemis resta la seconda barca, quella buona, per affrontare le regate di selezione.

 link da vedere:

http://www.guardian.co.uk/sport/2013/may/10/andrew-simpson-dies-yacht-capsizes

http://www.wired.com/autopia/2013/05/americas-cup-boat-crash

http://www.youtube.com/watch?v=99xnJSBRzkE

http://www.independent.co.uk/sport/general/sailing/andrew-simpson-a-landlocked-lad-who-caught-the-sailing-bug-8610276.html

 

Questa intervista è stata realizzata qualche mese fa, ma diventa di estrema attualità in questi giorni…

Giovanni Belgrano è uno dei progettisti più esperti in Coppa America, è tra i fondatori di SP System, che tutti conoscono come azienda riferimento quando si deve costruire in composito avanzato, ha una forte esperienza in struttura, da tempo fa parte del dream team di designer messo insieme da Emirates Team New Zealand con cui ha collaborato anche Luna Rossa. L’accordo di condivisione del design con il team italiano si è concluso con il 31 dicembre, ora non è più possibile condividere dati e progetti. Luna Rossa resta con un ottimo primo scafo, frutto soprattutto del design neozelandese, svilupperà le sue derive e una nuova ala. New Zealand ha un secondo scafo, che ha dimostrato di andare subito forte. Abbiamo incontrato Belgrano nella base kiwi di Auckland poco dopo il varo di Luna Rossa, che nel 2003 era di Alinghi.

Giovanni, in acqua con gli AC 72 mostrano tre scuole di pensiero, avete scelto strade molto diverse soprattutto nella struttura.

“Per disegnare il nostro Ac 72 siamo partiti da Alinghi 41, che avevo disegnato io e che è stata la base per Alinghi 5, da li siamo andati nettamente avanti. La struttura è a X, la migliore per i carichi in gioco e per volare. L’architettura convenzionale di Oracle, con le due traverse, per loro sarà un notevole handicap, è troppo elastica per poter fare il foiling con precisione ad alta velocità, inoltre la loro seconda ala non ha le sofisticazioni della nostra, che è in grado di twistare, cambiare incidenza con il vento secondo la quota. Artemis con la seconda barca ha deciso di ripartire da zero scegliendo una via molto diversa dalla prima, quindi saranno in un ritardo estremo, dubito possano arrivare ad un livello competitivo in tempo. Il cambiamento di rotta significa che si rendono conto di aver sbagliato, la prima barca aveva una distribuzione dei volumi e soprattutto dei pesi molto diversa dalla nostra, che alza subito le prue”.

Come naviga la vostra seconda barca?

“Dopo 10 giorni di prove ed allenamenti nelle prime 3 settimane di navigazione va velocissima, più veloce di quel che ci aspettavamo. E’ senza problemi, come la prima. Cercavamo piccole evoluzioni e raffinamenti, ma abbiamo ottenuto una sorprendente rivoluzione delle prestazioni… e per questo stiamo lavorando come bestie, perché vogliamo trovarne ancora!”.

Quale sarà la innovazione tecnologica più grande di questa Coppa?

“Lavoriamo tanto con i sistemi di misura e di calcolo. Ci sono talmente tante parti della barca che sono sollecitate che bisogna capire come interagiscono una con l’altra. Io sono connesso alla barca e ogni secondo vedo come ogni cambiamento di regolazione sollecita la struttura. Usiamo sistemi di misura con gli strain gauges e fibre ottiche e costruiamo in casa i sistemi di calcolo e condizionamento dei dati. Controlliamo anche la precisione delle regolazioni, che sono fondamentali. Bastano variazioni di mezzo grado nell’angolazione dei foil per cambiare radicalmente velocità. Un altro settore di scoperta saranno le resine e le tecniche di costruzione”.

Queste barche possono davvero rompersi?

“Quando si alza uno scafo, che ci siano 5 o 25 nodi i carichi non cambiano perché si raggiunge in un attimo il massimo dei carichi statici. La poggiata è la cosa più pericolosa e critica: c’è un enorme aumento deli momento raddrizzante dinamico e dell’accelerazione che significa aumento di resistenza che è quello che fa peggio ai catamarani. Tutte le barche moderne fendono e si immergono, fanno wave piercing,significa che quando la prua si immerge non aumenta la sua resistenza e in realtà il suo volume e la forma piano piano la riportano fuori. Anche per questo la coperta è a V e il fondo piatto”.

Con cosa si vince?

“Se vogliamo dividere in percentuale darei il 40% all’ala, agli scafi 15%, alla piattaforma strutturale il 15%, per le appendici il 30%. L’ala insomma fa la parte del leone, è la cosa più importante. All’inizio della progettazione abbiamo usato 4 soluzioni diverse per la piattaforma e siamo andati avanti con tutte per molto tempo, scartando piano piano quello che non serviva. Usiamo moltissimo il CFD, abbiamo fatto un anno e mezzo di test con il 33 piedi e continuiamo a lavorare con gli spessori delle pinne. E’ un lavoro enorme, già un VOR 70 è molto più complesso di un vecchio Coppa America. Abbiamo usato la galleria del vendo di Auckland abbiamo messo subito un ala per capire il coefficiente di portanza e varie volte abbiamo provato le vele, le nostre sono molto più piccole delle altre”.

nella foto uno dei test effettuati in piscina dall’equipaggio di New Zealand per imparare a usare i sistemi di emergenza e le bombolette personali di ossigeno.

Claude Luis Navier è nato nel 1785, George Gabriel Stokes nel 1816. Perché citiamo questi due scienziati in un articolo dedicato a Luna Rossa espressione di sport e tecnica del terzo millennio? Questi due signori sono i padri della dinamica dei fluidi: le equazioni di Navier – Stokes infatti sono alla base di ogni ricerca predittiva che si fa in campo navale e non, un sistema complesso che ha sempre trovato l’ostacolo, o meglio il limite, della potenza di calcolo per essere completamente efficace. Il progresso dei moderni computer ha amplificato la velocità e l‘affidabilità al punto che ormai la sperimentazione in vasca navale, o galleria del vento, per molto tempo ritenuta fondamentale alla riuscita di un progetto, passa in secondo piano. In termini contemporanei si parla di CFD: Computational Fluid Dynamics. Nelle segrete stanze occupate dai progettisti di Luna Rossa, come di tutte le altre barche della Coppa America, un problema da risolvere, anzi spesso “il” problema è come riuscire a verificare rapidamente intuizioni e percorsi dei designer e velisti in un processo bidirezionale che porta al miglioramento della velocità del manufatto barca. Per simulare un catamarano che naviga veloce il dominio fluido è scomposto in decine di milioni di elementi che vengono digeriti da un “cluster” dove possono lavorare simultaneamente 22 nodi da 12 processori l’uno. Il calcolo è un percorso iterativo “what – if” che prevede piccoli cambiamenti delle forme e delle situazioni: maggiore è la potenza di calcolo più grande il numero di simulazioni possibili e maggiore anche l’affidabilità.
Luna Rossa ha acquistato il progetto del suo AC72 da Emirates Team New Zealand, ma questo è stato solo un punto di partenza per lo sviluppo successivo che ha portato i due team, che hanno interrotto la loro collaborazione a termini di regolamento, ad avere barche gemelle in alcune parti ma non in tutto. I catamarani AC 72 hanno due elementi dove questa ricerca fluidodinamica è fondamentale: la vela alare e le derive. C’è chi dice che saranno proprio le derive a fare la differenza perché queste barche si comporteranno come aliscafi in alcune condizioni di navigazione. Per Luna Rossa il responsabile di questo settore è l’ingegnere aerospaziale e nautico (due lauree) Giorgio Provinciali. “Abbiamo scelto di non comprare le macchine ma di appoggiarci a centri di calcolo – dice – non è solo un problema economico ma di aggiornamento degli strumenti. Usiamo il programma FineMarine di Numeca, con una serie di centri di calcolo in Italia. Collaborano con noi per il lavoro di routine Cilea di Milano Segrate, un consorzio italiano di supercalcolo che è stato recentemente raggruppato con Cineca di Bologna e Caspur di Roma. Sono società senza scopo di lucro e hanno un costo per le ore di calcolo molto buono. Anche gli americani di Oracle, che hanno confermato nel loro staff Mario Caponetto, si appoggiano a Cineca. Per le simulazioni sperimentali abbiamo stretto un accordo con il “Tecnopolo della Nautica di Ravenna”. Un altro istituto coinvolto è la vasca navale di Roma Insean, che in questo caso si occupa di fluidodinamica numerica molto competente su cavitazione, fenomeno che riguarda eliche e derive. Il Politecnico di Milano ha un gruppo di lavoro diretto da Fabio Fossati coinvolto nella previsione delle prestazioni del sistema completo. I campi di ricerca non si fermano qui, c’è da esplorare l’interazione tra struttura e fluido, l’impatto della deformabilità delle derive sulle prestazioni, la resistenza in navigazione delle strutture che sono monitorate da centinaia di punti di misurazione con strain gauges o fibre ottiche, una operazione necessaria soprattutto nella fase iniziale. All’ala lavorano due guru della vela, Michael Richelsen cui si deve gran parte dei programmi di modellazione delle vele, e Mike Allan Schreiber (ha vinto 4 volte) con modalità simili per quanto riguarda il calcolo, usano i servizi della Wolfson Unit e della Southampton University.

Il lancio del primo Sense aveva lasciato il segno: una forte novità per la distribuzione degli interni, per l’abitabilità del pozzetto, un ibrido (se così si può dire) che strizzava l’occhio a un mercato nuovo, abituato ai volumi delle barche a motore. Il Sense 55 di queste pagine interpreta in una dimensione più grande le medesime vocazioni. Una barca con tanto spazio, tanta luce, tanta aria. Facile da usare in molte situazioni che sa interpretare diversi ruoli: in rada la gioia di un dialogo senza ostacoli con il mare grazie al grande pozzetto, la possibilità di alzare le panche e circolare senza problemi e oggetti da scavalcare; in navigazione prestazioni da ammiraglia con una carena dotata di due pale del timone, un buon raddrizzamento e un piano velico generoso; in porto agilità di manovra con il sistema di controllo Dock & Go con joy stick realizzato in collaborazione con ZF che si basa su un piede che gira in tutte le direzioni che interagisce con un bow thruster. Negli interni si ritrova la volontà di avere una grande zona living vicina al pozzetto, cui si accede con pochi gradini comodi, grazie anche alle finestre che si aprono verso poppa da dentro ci si sente quasi in un ambiente unico, in continuo dialogo con l’esterno. Un passo avanti nelle dimensioni degli interni: non solo cabine grandi, anche porte, passaggi, di una dimensione sconosciuta per le barche a vela tradizionali. Le due cabine doppie di centro barca sono quanto di meno claustrofobico si sia visto su una barca di questa taglia, in questa posizione infatti lo spazio sopra il letto non è limitato dal pozzetto, come quando le due gemelle sono a poppa e ci si trova a muoversi e guardare sotto un cielino da un paio di metri. Le porte sono enormi e scorrevoli, lasciandole aperte si realizza quasi un open space, pieno di aria e di luce. Ogni cabina ha il suo bagno, la armatoriale di prua, la più tradizionale, lo ha diviso in locale Wc e doccia. La coperta e il piano velico dichiarano attenzione alla navigazione anche impegnativa. Lo racconta ad esempio la rotaia per la trinchetta auto virante abbinata ai punti di scotta regolabili in maniera tradizionale per il genoa, oltre al bompresso per il gennaker o code zero. Il triangolo di prua è largo, ma anche la randa è importante e full battened. In navigazione la carena, larga e con un dislocamento di circa 18 tonnellate, ha un incedere autorevole. Il lavoro dei designer Berret Racopeau ha portato a forme che privilegiano le andature portanti ma che anche contromare conserva un buon comfort. Di solito queste barche molto larghe finiscono per essere molto piatte e quindi piuttosto dure nell’impatto con l’onda. Da una parte il peso, dall’altra le forme aiutano. Le prestazioni sono quelle di una ottima barca a vela, chi pensa ai passaggi atlantici, alle lunghe navigazioni con il vento al giardinetto può pensare al Sense 55 come una scelta azzeccata. Grazie alle due pale non si perde mai il controllo e timonare è facile oltre che comodo visto come sono realizzate le sedute del timoniere, delle vere poltrone. A motore, con 120 cavalli a disposizione, si possono raggiungere importanti velocità, con una crociera di otto nodi e anche qualcosa di più, che significa, e questa volta pensiamo alle bonacce mediterranee, traversate rapide.