L’Italia, sono dati della Fondazione Edison, negli anni pre-crisi si è affermata come forte esportatrice, la prima nel mondo in almeno mille settori diversi. Lo è ancora adesso e la nautica da diporto è al quinto posto in questa particolare classifica dopo  le rubinetterie, i gioielli, le piastrelle, le calzature. La nautica con l’arrivo del sole e della primavera, e non è una battuta, sembra finalmente riprendere fiato ed energia. Almeno nelle dichiarazioni ufficiali, sempre da cogliere con il beneficio di inventario: qualcuno rassicura le banche, qualcuno i clienti che ancora devono firmare il contratto. Annalaura di Luggo di Fiart è ottimista:”Abbiamo venduto oltre le aspettative – dice- soprattutto al sud. Forse c’è un poco più di ottimismo o se vogliamo superficialità, ma Lazio Campania e Toscana sono regioni che ci hanno dato soddisfazioni. Il nord è ancora molto chiuso, ingessato, la Liguria molto ferma. Di certo arriva da noi una clientela più attenta, che viene in cantiere a vedere come viene costruita la sua barca, che cerca e pretende qualità. Chi è pronto a rispondere a queste richieste può uscire bene dalla crisi: noi abbiamo continuato a investire nel prodotto e adesso ne sentiamo i vantaggi”. La ricerca di nuovi prodotti e tipologie è stato un indirizzo iniziato prima della crisi: dallo studio delle nuove esigenze sono nate carene e barche più sostenibili. Pietro Landriani di Selma Bipiemme Leasing dice: “Seppure in un mercato ridimensionato si inizia a vedere una piccola crescita. Sembra finito l’immobilismo da panico degli ultimi mesi e abbiamo recuperato qualcosa. La situazione è migliore di quella dell’anno scorso a anche i colleghi di Assilea si aspettano una crescita”. Il Gruppo Ferretti è stato sottoposto a una forte cura dimagrante, il cui risultato visibile è la concentrazione di molte attività produttive e creative che prima erano lasciate nelle sedi originali dei diversi marchi attorno all’indirizzo principale di Forlì. Lamberto Tacoli racconta: “E’ stato un anno lungo e duro sotto tutti gli aspetti, perfino meteorologici. Oggi c’è un cauto ottimismo, da febbraio abbiamo delle percezioni che non sono solo sensazioni. Il mercato si sta muovendo e abbiamo ordini su tutti i marchi del gruppo soprattutto nelle dimensioni tra 50 e 100 piedi. Oltre avevamo già ordini in casa. Un modello che ci da grande soddisfazione è il Riva Domino 86”. Uno dei più attenti e veloci a reagire alla crisi è stato Paolo Vitelli di Azimut Benetti, che per reagire ha portato le sue barche nel far east, nel nuovo salone dedicato al lusso di Hainan, una nuova meta per il turismo di lusso nel sud della Cina.

Tornando più vicino, alle nostre coste italiane, ancora da valutare il successo degli incentivi di cui è arrivato anche il regolamento di attuazione: gli aiuti per i motori fuoribordo e per la realizzazione di stampi innovativi sono stati tutti prenotati. Si stima che l’incremento al mercato dei fuoribordo possa essere del 5% mentre è più difficile una valutazione per quanto riguarda il successo dell’operazione che spinge verso il rinnovo della produzione i cui vantaggi sono tali dove si può convertire gran parte della laminazione delle carene alle nuove tecnologie. Ucina riafferma che il successo più che economico è politico, perché afferma che la nautica “esiste” e che è strategica per il paese. Dopo qualche anno da Cenerentola si torna in alta classifica. Forse umori portati dal vento, ma anche valutazioni economiche non corrette.

Arrivano anche i porti, questo si che potrebbe servire a uscire davvero dalla crisi. C’è uno schema di disegno di Legge approvato dal Consiglio dei Ministri per la riforma del sistema portuale che rivede la classificazione dei porti e ne prevede i piani regolatori, innova la normativa in materia di Autorità portuali e marittime, interviene sulla disciplina del lavoro temporaneo e sulla concessione di banchine ed aree, riconversione e riqualificazione di aree portuali. E’ questo ultimo punto a interessare molto la nautica da diporto. La cosa non è una novità: sul riuso o riabilitazione dei porti si lavora da molti anni con poco successo. Soprattutto per la resistenza a capire che i flussi del trasporto e della pesca sono cambiati e dove ci sono specchi acquei protetti si fa presto a convertire al diporto. La cosa interessante è che nel disegno esiste la previsione che i Piani Regolatori delle Autorità portuali debbano tener conto che le strutture sotto utilizzate siano destinate al diporto e inoltre acquisisce l’emendamento del Turismo sull’esenzione dei pontili galleggianti stagionali dalla licenza edilizia, che è stato sempre un motivo di gravi contestazioni e lungaggini.

Nella foto l’ingresso del porto di Castel dell’Ovo a Napoli, di fronte agli storici circoli.

La stagione 2010 della nautica da diporto si è aperta sotto il segno della estrema prudenza. Il 2009 era finito sotto il segno della quasi totale immobilità e di poderosi riassetti produttivi che hanno colpito duramente gli addetti impiegati nei cantieri. Non solo: i piazzali sono ancora pieni di barche nuove costruite in eccesso e usate, ritirate con una certa facilità nei momenti buoni del mercato e rimaste ferme sotto le intemperie in attesa di acquirenti. Chi compra, in realtà, se fornito di liquidità e desideri definiti, ha trovato il modo di comprare il nuovo o semi nuovo a prezzi di saldo. I grandi riassetti non hanno risparmiato nessuno. Il Gruppo Ferretti ha lavorato duramente concentrando unità produttive attorno a Forlì nel tentativo di ottimizzare una filiera costruita sul rispetto dei diversi marchi che ne fanno parte, buona per rispettare lo stile ma che ha creato duplicazioni poco economiche. E’ di poche settimane fa la conferma che il marchio Aprea è stato ri-ceduto alla famiglia che lo ha fondato, guidata da Cataldo Aprea. Sorte diversa è toccata al marchio Pershing, una invenzione di Attilio “Tilli” Antonelli, che con la sua impresa e il lavoro dell’amico designer Fulvio De Simoni ha davvero inventato uno stile, sia formale che funzionale. Sua la finestra e semicerchio ripresa perfino sulle auto e poi abbandonata per eccesso di repliche. Sua l’idea di realizzare una barca open ma non troppo, con ambienti protetti e condizionabili. Il gruppo non ha accettato una proposta di acquisto del valore di cento milioni di euro fatta da fondi stranieri che avrebbe messo al riparo il marchio e lui si è dimesso dal ruolo che continuava a ricoprire come anima del cantiere separandosi dalla sua creatura. Il gruppo non ha ceduto perché ritiene il marchio strategico per riconquistare quote di mercato. In casa Azimut Benetti dopo molti mesi di ricorso a cassa integrazione è cambiato l’amministratore delegato di Azimut Yacht, al posto di Federico Martini infatti è arrivato Gianni Cucco, un uomo che ha lavorato a lungo in passato con il fondatore del gruppo Paolo Vitelli. A lui è affidata anche la supervisione di Atlantis, gestita da Alessandro Furfaro.

Mentre si attende il lancio dell’iniziativa di Beneteau nell’ambito delle barche a motore, che ha lavorato per realizzare una nuova unità produttiva a Trieste dedicata alle barche più grandi del marchio Montecarlo, il mercato delle barche a vela ha reagito un poco meglio di quello delle barche a motore: forse più stabile nella passione.

È vero che tutto il comparto, per voce del presidente di Ucina Anton Albertoni ha chiesto aiuti, ha parlato di “nautica dimenticata dal Governo”. Questa la sua analisi: «Il nostro fatturato, che ammonta complessivamente a 6,2 miliardi di euro nel 2009 ha subito un calo di oltre il 30 per cento, pur con una bilancia positiva tra import ed export. Ma il salone di Miami di febbraio ci ha dato indicazioni positive. L’America sarà la prima nazione, penso già nel 2010, a riprendersi, davanti a Ue e Paesi dell’Est. E per noi, che esportiamo il 50 per cento del fatturato, gli Usa sono il secondo mercato, dopo l’Europa. Abbiamo bisogno, però, che venga rilanciato anche il mercato interno, dove va il restante 50 per cento del nostro fatturato». La ricetta per rilanciare il mercato domestico è la solita: posti barca e leasing. Temi ben noti su cui non si lavora mai abbastanza.

Tamburi di guerra suonano anche dopo la ricerca dell’Osservatorio Nautica e Finanza fatto da Pentar, che descrive un “disastro” non tanto sul piano produttivo e di mercato quanto su quello che riguarda il patrimonio netto aggregato delle società che secondo la ricerca si è ridotto di circa il 21%. Anche il risultato netto è per la prima volta pesantemente negativo, rappresentando il 4,2 % del valore della produzione.

“Il settore della nautica da diporto avrebbe bisogno di un supporto solido da utilizzare come base per impiantare il rilancio – è l’analisi di Maurizio Romiti – Si tratta di affrontare i problemi ormai cronici della nautica italiana come per esempio la carenza di infrastrutture che rende difficile il turismo nautico. Anche le imprese del settore debbono dimostrare di aver “imparato la lezione”. Il mercato dovrà essere composto da imprese pronte ad affrontare la competizione internazionale in modo professionale e coerente, costruite attorno alla realtà tecnica e stilistica che già esiste ed è il patrimonio di questo settore. Malgrado tutto ciò, la nautica italiana continua ad avere alcuni indicatori positivi che inducono alla constatazione che il settore poggia su basi solide.”

Il Consiglio dei Ministri ha firmato, all’interno del decreto sugli aiuti all’industria, un provvedimento che contiene  incentivi che riguardano anche la nautica. Si tratta di aiuti per il cambio dei motori fuoribordo e per la costruzione di stampi nuovi dedicati a barche costruite con ridotto impatto ambientale.  Gli incentivi per i motori fuoribordo si sostanziano in sconti del 20% sul prezzo di listino, fino a un massimo di 1000 euro per motori di nuova generazione fino a 100 cavalli e un totale di 10 milioni: significa aiuti per 10 mila motori fuoribordo. Va ricordato che il mercato di queste unità prima della crisi era di circa 23 mila unità, comprese anche le potenze maggiori per cui però lo “sconto” di mille euro è sostanzialmente ridicolo. 
Per quanto riguarda gli stampi sono 200 mila euro a stampo fino a un totale di 10 mila euro.  L’obiettivo è arrivare a produzioni più compatibili con l’ambiente e, allo stesso tempo, migliorare la tecnica di produzione. La conversione verso impianti di lavorazione con procedimenti sottovuoto è avviata da tempo ed è già patrimonio dei cantieri più grandi che si sono attrezzati. All’estero è già necessaria per evitare la diffusione nell’ambiente di stirene ma è praticata anche perchè ci sono vantaggi costruttivi che solo chi ha vecchi impianti vuole ancora sostenere. Ha più di dieci anni l’impianto voluto da Massimo Franchini per il primo Scrimp italiano, cui sono seguite esperienze simili con nomi diversi, per non cadere nel brevetto. Gli stampi non sono poi tanto diversi da quelli tradizionali, ma farlo credere al Governo è stata una bella mossa. GLi industriali dovrebbero sfurttare però l’occasione e non limitarsi a fare vecchie barche con nuove procedure di costruzione, ma inventare barche nuove. C’è molto da fare…. e abbiamo capito che quando il mercato uscirà dalla crisi venderà chi sarà in grado di proporre progetti davvero adeguati alle nuove esigenze economiche.
Altri 80 milioni di euro sono dedicati ai porti di rilevanza nazionale, senza esplicite indicazioni che siano per i marina turistici, anzi, sembra proprio si tratti solo di porti commerciali.

Dice il presidnete di Ucina Anton Albertoni: “Si tratta senza dubbio di un risultato politicamente molto importante per il nostro settore. Per la prima volta ci è stato riconosciuto, grazie al lavoro di questo Governo, lo status di comparto industriale rilevante per il paese, al pari di tessile, meccanica, ecc.; status che la nautica rivendicava da tempo, forte di essere, con i suoi 120.000 addetti, al 5° posto fra i settori trainanti dell’export italiano. Con questo provvedimento il comparto potrà ripartire a più livelli: da un lato attraverso il rilancio della piccola nautica e dall’altro grazie al contributo che la cantieristica potrà dare all’occupazione e al mantenimento delle quote di mercato export”.

Diciamoci la verità: Albertoni in sede pubblica non può dire altro, dalla sua posizione di presidente dell’Associazione Ucina. Insomma può solo ringraziare. Ma la sua sensazione “privata” deve essere davvero diversa  e vicina a quella di tanti operatori e utenti. Gli incentivi, dopo quanto successo negli ultimi anni con le martellate date ai finanziamenti e leasing sono noccioline, consolazioni per spegnere le lamentele.  Anzi sono quasi offensivi: la nautica da diporto fa solo una piccola conquista.

Non voglio aggiungermi a quelli che scrivono che per anni abbiamo cavalcato un successo artficiale, dovuto a un mercato drogato e che adesso è finita pronunciando un ipocrita mea culpa.  Non è pudore, anche perchè non sono mai stato complice fino in fondo del sistema: ho sempre conservato l’ironia e il distacco per non credere fino in fondo che il mercato del “lusso” o del “lifestyle” erano, sono, vita reale. Ho capito che erano un mercato, ho proposto al mio ex editore una rivista che ne cogliesse le opportunità economiche e abbiamo realizzato qualcosa di veramente innovativo che interpretava anche il lusso editoriale di un packaging esclusivo. La riflessione era che non si può scrivere di barche di lusso e accettarne la pubblicità su un supporto da poveri.  Il mercato delle barche di lusso è esploso peggio degli altri, e sembrava che non dovesse finire mai.
La nautica vera però è fatta di molte altre cose, anche se la sua immagine è spesso identificata con le poche decine di barche che affollano la Costa Smeralda. Perchè ce ne sono migliaia possedute da gente del tutto normale: una flotta di pensionati, pre pensionati, appassionati, ragazzi, ragazzi di cinquanta anni, che possiede la barca per la sua vera destinazione d’uso: vivere il mare.
Nel mio recente passato di direttore di rivista nautica (anzi tre), più di una volta sono stato “ripreso” per la mia eccessiva sincerità nei confronti del sistema marketing – industriale della nautica da diporto. In poche parole credo che il pubblico abbia un sesto senso per comprendere i valori concreti e che alla fine la continua e persistente proposta di quello che non va (per esempio le barche senza tradizione e qualità) abbia finito per rendere “in-credibili” le riviste. Può sembrare senno di poi ma non lo è: una affermazione che ho fatto qualche Salone di Genova fa, in un convegno sulla comunicazione in cui ho provocato la ribellione di una certa parte dell’uditorio dicendo che i cantieri attraverso le loro pressioni ci stavano costringendo a scrivere “follie” e che presto non ci avrebbe più creduto nessuno, infatti i lettori sono sempre meno. La crisi certo ha una colpa, ma anche la  difficoltà di credere a quello che è scritto. Oggetti sul mercato da anni che vengono proposti come “il primo al mondo, il più tecnologico”. Sono nati marchi che erano “l’espressione di una artigianità maniacale, taylored sull’armatore” che altro non erano che barche costruite su stampi a fine carriere dismessi dai cantieri migliori. 
Il web, grazie ai suoi costi ridotti, attraverso le comunità spontanee ha cominciato a scrivere qualche verità. Sul Web non arriva il responsabile marketing a dire “allora se non scrivi che la mia barca fa 33 nodi ti tolgo la pubblicità”. I cantieri non hanno capito che dovevano, devono, sostenere le riviste nella loro credibilità se vogliono dare valore alle loro pagine pubblicitarie.

Dicono che non si debba toccare prima di vincerla…. ma quando l’ho vista li, nella Base 8 di Bmw Oracle, circondata da gente al limite del coma etilico ho pensato: “e io quando posso vincerla… e quando mi ricapita”… mi sono messo in coda per prenderla finalmente in braccio. Avevo fatto tante foto, ma mai così. La prima volta che ho sentito parlare di Coppa America è stato attorno agli anni 80. Allora navigavo sull’Ec 26 dell’amico Enrico. Sesta classe Ior, progetto Ceccarelli. L’equipaggio della prima Azzurra usciva in mare a Porto Corsini: quando vedevo l’albero di comparire tra le dighe correvo con la moto a dare un occhio. Quella che adesso consideriamo una vecchia pentola per noi giovani velisti era fantascienza. Durante le regate di Newport l’unico collegamento era la radio, qualche articolo sulla Gazzetta, ma due giorni dopo. Da allora ho inseguito la Coppa con quella vena di follia che può finire per rovinarti la vita. Ho fatto della vela un mestiere, sono diventato anche direttore di Vela e Motore e lo sono stato per quindici anni. La Coppa vive molte leggende, alcune sinistre. Ma è troppo bello prenderla, alzarla, toccarla…. Quanto pesa? Ah, si alza bene, più leggera di quel che sembra, ma neanche così leggera come quelle coppette che si vincono all’invernale. L’hanno costruita i gioiellieri della regina Vittoria, Garrard a Londra. Ne sono stati fatti due esemplari, è stata pagata 100 Ghinee ma ormai il suo valore è senza misura. E’ il Trofeo dello sport internazionale che si disputa ininterrottamente dalla sua nascita, se si esclude qualche parentesi bellica. Una delle leggende racconta che il secondo esemplare sia stato comprato da Ted Turner e sostituito con l’originale. Dunque la vera Coppa America sarebbe rimasta sul caminetto dell’inventore della CNN che l’ha vinta nel 77, ultimo “gentlemen driver” a riuscirci prima dell’era Conner e del professionismo attuale. Ci voleva provare Bertarelli…. ma abbiamo visto com’è andata. Insomma, io al momento mi contento della foto… che è già tanto.

Antonio Vettese

Nasce in questi giorni da un impulso meditato, un nuovo sito dedicato alla navigazione. Dopo la mia uscita da Vela e Motore, di cui sono stato direttore per quindici lunghi anni, ho iniziato a studiare con decisione il “problema” del web e di come è interpretato dalle riviste e dai professionisti del settore. Oltre che del mio futuro.  Ho compreso subito che dopo anni di limiti imposti dalla necessità di proteggere la rivista cartacea e dalla difficoltà a liberarsi dai vecchi linguaggi e strategie qui è tutto libero. E’ il foglio bianco degli architetti, ricordo degli studi giovanili, è la voglia di una creatività nuova. E’ adesso il momento di una rivoluzione totale delle connessioni (non solo tecnologiche), iniziata tempo fa, ma che adesso vive davvero con tutti gli strumenti e le potenzialità per creare comunità e informazione. In questo panorama abbiamo, io e alcuni amici, la convinzione che comunque la vecchia professionalità, la qualità di quello che si scrive e si dice, sarà apprezzata. Anzi ricercata. Un sito di informazione non può essere solo il collettore di comunicati stampa pubblicati senza modifiche, commenti, interpretazioni, dove si pensa che a vincere sia solo la frenesia dell’aggiornamento. Si, è una ricetta, ma non è l’unica.  Abbiamo scelto di utilizzare Word Press, un programma “open source”, non a caso: anche i contenuti devono essere liberi, costruiti attorno alla comunità del mare, alle sue esigenze e diversità. Bisogna ridurre la distanza tra il lettore e consumatore e il “giornalista” che però deve restare una risorsa, un gestore dell’informazione. A qualcosa deve pur servire aver navigato su quasi tutte le barche più innovative che sono state messe in mare negli ultimi venti anni. Dunque la missione è raccontare il mare, la vela, la navigazione. Si comincia piano, con la voglia di esplorare e comprendere. Da qualche parte, di là di questo oceano di novità, arriveremo di sicuro.  I lavori, come potete vedere sono assolutamente in corso. Non abbiamo nessun timore a condividere la graduale evoluzione, anzi accettiamo consigli.

Antonio Vettese